L’interrogativo
che mi piacerebbe ci ponessimo, come uomini e donne di scuola e come
persone interessate alle cose scolastiche, è se il gran parlare che si
fa di meritocrazia e premialità possa aiutarci a costruire una scuola
migliore
Dio solo può sapere se la
sperimentazione di cui ha bisogno la scuola italiana debba avere
come obiettivo prioritario quello di premiare gli insegnanti
migliori.
L’interrogativo che mi piacerebbe ci ponessimo, come uomini e donne di
scuola e come persone interessate alle cose scolastiche, è se il
gran parlare che si fa di meritocrazia e premialità possa aiutarci
a costruire una scuola migliore. Perché,
il senso e l’obiettivo di tutti i nostri ragionamenti credo si
possano riassumere in “cosa fare e come fare per cercare di superare le
criticità più vistose del nostro sistema”.
Se uno chiedesse oggi a un Dirigente Scolastico - ma anche a tanti
insegnanti avveduti - quale dovrebbe essere la prima mossa per
garantire ai consigli di classe e al funzionamento
didattico risultati più positivi, penso che, tra le risposte che
ci si potrebbe aspettare, le più “gettonate” (oltre ovviamente a
quella di percorsi di carriera più remunerativi), sarebbero le
seguenti: favorire lo sviluppo di professionalità più preparate ed
esperte e più consapevoli (soprattutto del fatto che la scuola è
diventata “di massa” e che questo richiede trasformazioni profonde nei
contenuti e nei modi di fare scuola); ma, anche, liberare le scuole dal personale
inadatto all’insegnamento.
Risposte che comportano almeno tre cose importanti e legate tra di
loro: un reclutamento accorto del personale, un investimento sulla
formazione e lo sviluppo professionale, forme trasparenti di
valutazione delle performance essenziali dell’insegnamento (tenuta
d’aula, promozione degli apprendimenti, pratiche valutative eque e
formative).
Cose, si dirà, “risapute e stanche”.
Ma che stanno ancora lì.
Comunque, se conveniamo almeno sulla prima priorità richiamata
(tralasciamo qui la seconda, per ragioni facilmente comprensibili),
resta da capire se gli obiettivi delle sperimentazioni ministeriali per
premiare i “bravi” c’entrino, almeno in questa fase, con i
miglioramenti necessari per dare vitalità al nostro sistema di
istruzione e muovano qualcosa in questa direzione.
A rileggere i documenti ministeraili sulle due sperimentazioni, i
rilievi critici che ne emergono non riguardano tanto i termini (il che
cosa e il come) delle due proposte (sui cui meccanismi tanti e tante
scuole, tra l’altro, hanno espresso diffusa contrarietà), quanto
piuttosto la filosofia che c’è dietro: tutta “imbragata” – almeno così
a me sembra - di ideologia meritocratica e di premialità di profilo
ambiguo. E quindi poco attenta a cogliere ciò di cui la scuola ha
effettivamente bisogno
oggi per rinnovarsi e innovare.
Infatti, l’obiettivo di cui si parla per queste sperimentazioni (
studiare come identificare sia quelle scuole che presentano un “valore
aggiunto” più elevato rispetto alle altre, sia “quegli insegnanti sulle
cui capacità umane e professionali nessuno ha da discutere”), per
quanto collocato dentro un discorso apparentemente ambizioso, non
sembra corrispondere a nessuna delle necessità del sistema scuola
in questa fase. E’ altra cosa. E tra gli effetti possibili ci vedo in
primo luogo quello di essere distorsivo/diversivo rispetto a
obiettivi di coinvolgimento e motivazione del personale sui temi
del rinnovamento. Anzi. Penso che possano risultare addirittura
controproducenti sul clima interno di scuola. Almeno sotto il
profilo delle relazioni interpersonali e le necessarie collaborazioni
di cui vive un proficuo lavoro docente. Ma già altri sono
intervenuti su questi aspetti.
Non è il caso di ribadire che le considerazioni svolte non sono dettate
da ‘pregiudizi’ di segno negativo verso la valutazione del lavoro
docente, come di tutti gli altri lavori scolastici (a partire,
ovviamente, da quello del dirigente); che anzi essa è fondamentale per
qualsiasi organizzazione.
L’interrogativo oggi è se la valutazione prevista dalle sperimentazioni
ministeriali sia in questa fase lo strumento più adatto per motivare
docenti e scuole all’impegno su terreni di qualità, attraverso premi
una tantum e i meccanismi previsti; oppure no.
Siccome non riesco a vedere una risposta positiva, cerco di portare
oltre il ragionamento.
Recuperando comunque in esso sia la modalità operativa della
sperimentazione, ma con altri contenuti e finalità, sia le misure
premiali, come strumento per riconoscere professionalità e lavoro, ma
con una logica diversa.
Lo metto sotto forma di domanda: non è forse più opportuno oggi
chiamare le scuole a sperimentare e sperimentarsi su cose più
stringenti e più legate alle questioni che dovremmo (parlo qui
delle Superiori) affrontare e che dovrebbe essere compito
dell’Amministrazione sollecitare e promuovere?
Per esempio: su come ragionare in termini di competenze nella
progettazione e nella pratica didattica; su come costruire i
dipartimenti per superare finalmente la separatezza delle discipline di
asse; su come attrezzarsi perchè la certificazione delle competenze per
i nostri ragazzi del biennio (che dovremmo affrontrare a giugno
prossimo per la prima volta); su come ci prepariamo alle prove INValSi
del prossimo maggio, ormai obbligatorie per tutti; su come garantire
equità e trasparenza e
valenza formativa alle procedure valutative.
Non è più opportuno, in questa fase, esercitarsi su queste cose,
sperimentare queste cose?
Certo, ci vorranno linee guida, il supporto di esperti e studiosi,
modelli credibili e coerenti col principio della trasparenza, della
rendicontazione del proprio operato e dei suoi risultati. Che è un po’
l’”armamentario” previsto anche per le due sperimentazione ministeriali.
Su questo vorremmo che il Ministero, attraverso Comitati Tecnico
Scientifici e strutture di supporto, chiamasse le scuole a pensare e
sperimentare.
A questo tipo di impegno e ai risultati migliori vorremmo che
l’Amministrazione destinasse le risorse finanziarie previste. Vorremmo
che si potesse dire alle scuole che ai docenti impegnati sulle
priorità individuate si danno non solo supporti organizzativi e
professionali, ma anche soldi per premiare il lavoro di ricerca e la
qualità delle risultati.
E’ questa la premialità che vorremmo si incoraggiasse, perché potrebbe
fare bene ai nostri Istituti.
Il punto che dovrebbe comunque essere ben saldo è che nelle
professionalità della scuola non sono ammessi livelli di
competenze scadenti e che la premialità va collegata a prestazioni
aggiuntive e ai risultati connessi, soprattutto sul terreno della
ricerca-azione e della sperimentazione di proposte che sviluppino
e favoriscano motivazione e protagonismo diffuso.
Un’ultima considerazione.
L’ANDIS di Milano, su queste sperimentazioni ministeriali, dopo una
corretta analisi, attenta a cogliere aspetti positivi e negativi,
suggerisce, con riferimento alle criticità del modello proposto, una
via d’uscita i cui termini si riportano testualmente: “Le risorse stanziate per i ‘premi’
potrebbero essere utilizzate nella sperimentazione per compensare
l’impegno della scuola e dei
docenti che aderiscono volontariamente. Perché un collegio dovrebbe
aderire al progetto sperimentale quando il ‘premio’ riguarderà solo
alcuni? Sarebbe invece utile sperimentare la valutazione dei docenti,
all’interno della valutazione delle scuole, coordinando meglio i due
progetti.”
Ma - mi chiedo - con questo tipo di proposta, non siamo ancora dentro
un’agenda tutta ministeriale delle priorità e in una logica di fatto
subalterna a una visione ideologica dei problemi che ci affliggono e
delle loro soluzioni? Siamo sicuri che l’intreccio complementare delle
due sperimetazioni previste (per premiare i docenti e le scuole) ci
porterà – come nel documento
si prevede - ad affrontare in modo sensato e corente le questioni vere
della riforma? La concatenazione proposta (che tradurrei, se non ho
capito male, in questi termini:“valutiamo le scuole e quelle che
risulteranno premiate distribuiranno i premi tra i ‘bravi’ da
individuare secondo i criteri ministeriali”) non pone a sua volta altri
interrogativi? Cosa ne facciamo, per dirne una,
dei “bravi” delle scuole non premiabili? Non saranno gratificati solo
perché operano, forse con maggiori meriti, in scuole un po’ più
scalcinate?
Ritengo invece che questa proposta ANDIS sarebbe molto più sensata e
interessante – e concreta – se la si ancorasse ai ragionamenti che ho
cercato di svolgere sia sulle priorità (e le modalità operative delle
sperimentazioni da mettere al centro del lavoro delle scuole), sia sul
senso da dare ad una idea di premialità che non sia svilita da
preminenti preoccupazoni meritocratiche.
O no? (da ScuolaOggi di Antonio Valentino)
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