«È giusto che un alunno capisca in modo chiaro se ha lavorato bene o no»
Corriere della sera di Lorenzo Salvia
«Ho visto l’appello che arriva dalla Francia. Ma la mia è una delle
riforme di cui vado più orgogliosa, non ho alcun ripensamento. Anzi».
In Italia il voto in numeri alle elementari è ricomparso nel 2008,
insieme al 5 in condotta e al maestro unico. Un ritorno al passato sul
quale il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini non ha cambiato
idea: «Proprio nei primi anni di scuola, quelli cruciali per la sua
crescita, un bambino deve capire in modo chiaro se il lavoro che ha
fatto va bene oppure no. Altrimenti che messaggio pedagogico gli diamo,
che va sempre tutto bene?». Allora in Italia furono in molti a
criticare quella scelta, sollevando gli stessi dubbi dell’appello
firmato anche da Daniel Pennac. E’
davvero giusto ed utile infilare un bimbetto di sei anni in un
meccanismo di competizione che lo rincorrerà per tutta la vita? E non
c’è il rischio che un 4 o un 5 possono segnarlo per tutta la vita (non
solo scolastica)?
«È chiaro — risponde il ministro — che bisogna evitare traumi ai più
piccoli e quindi, specie nei primissimi anni, ci può essere una certa
elasticità nella valutazione. Ma questa tolleranza, che i maestri
conoscono bene, non va confusa con l’assenza di giudizio, che rischia
di non far capire allo studente se sta seguendo il percorso giusto
oppure no». Come spesso accade la linea iniziale è stata poi
ammorbidita. È vero che alle elementari sono tornati i voti numerici ma
è anche vero che il giudizio non è scomparso. La circolare del
ministero che ha tradotto in pratica la riforma ha specificato che il
maestro, se vuole, può accompagnare il voto con un breve commento. Non
solo. Perché altre circolari ministeriali spiegano nel dettaglio il
meccanismo del cosidetto incremento, che consente di promuovere anche
chi è rimasto sotto la soglia del 6.
Ma al di là degli aspetti tecnici il problema è culturale. «Non bisogna
aver paura dei numeri — dice il ministro — semmai i genitori dovrebbero
temere quei giudizi fumosi e quelle valutazioni astruse in cui si
poteva dire tutto ed il contrario di tutto». Ed è qui che la questione
esce fuori dalle scuole. La pagella delle elementari con il voto in
numeri è sparita in Italia nel 1977. A prendere il suo posto è stata la
cosiddetta scheda personale dell’alunno, con i giudizi analitici e
descrittivi, fiumi di parole che spesso costringevano i maestri a
scrivere piccolo piccolo pur di non uscire dai margini. Una scelta che
alcuni videro come uno degli effetti dell’onda lunga del ’68, quando la
parola eguaglianza andava più di moda della parola differenza. Ed è
proprio a questa interpretazione che si richiama il ministro
dell’Istruzione per spiegare la sua scelta di allora: «L’appello degli intellettuali francesi si
richiama proprio a quel tipo di scuola e di visione del mondo che ho
sempre contrastato. Un modello dove va tutto bene, ed è meglio
cancellare la severità altrimenti chissà cosa potrebbe succedere».
All’epoca qualcuno la accusò di voler dare un messaggio più politico
che scolastico, di non pensare alla scuola ma solo a rassicurare le
famiglie. Il pedagogo Benedetto Vertecchi disse che si rivolgeva a chi
era andato a scuola prima del 1977, quando i voti c’erano ancora, per
tranquillizzarli e dire «stiamo ricostruendo la scuola che avete
conosciuto voi». Interpretazione che ancora adesso il ministro Gelmini
respinge con forza: «I numeri hanno il pregio della chiarezza e proprio
per questo vanno usati con misura, come del resto sanno fare i maestri
italiani. Ma credo sia importante dare ai nostri ragazzi un giudizio
comprensibile sul lavoro che fanno. Fin da piccoli hanno bisogno di una
scala di valori, altrimenti avranno l’impressione che è sempre tutto
uguale».
I voti fanno bene ai bambini?
I voti fanno bene ai bambini? Secondo il ministro
dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, «sì, perché aiutano a crescere ed
è giusto che un alunno capisca in modo chiaro se ha lavorato bene o
no». Di diverso avviso è la psicologa dell’età evolutiva Silvia Vegetti
Finzi, per la quale, attraverso la valutazione dei bambini con il voto,
«si rischia l’umiliazione». I piccoli, in realtà, «andrebbero
valorizzati per le loro specificità». Il dibattito arriva dalla
Francia, dove un movimento di pensiero chiede di abolire i voti. In
Italia sono stati reintrodotti nel 2009 dopo 32 anni. MILANO — In base
all’articolo 3 del decreto Gelmini, dall’anno scolastico 2008/2009 alle
elementari e alle medie la valutazione dell’apprendimento degli alunni
— sia quella periodica (prove scritte e interrogazioni), sia annuale
(pagelle) — viene espressa con i numeri dall’1 al 10: la restaurazione
di una prassi che era stata abolita nel 1977.
La questione dei voti a scuola è da sempre oggetto di studi e commenti
da parte degli esperti, e di discussioni che non possono fare a meno di
un certo tasso di ideologia: se nel 1977 la loro abolizione ubbidiva
alla volontà di attenuare l’atteggiamento selettivo e esaltare quello
egualitario, il decreto Gelmini di due anni fa valorizza di nuovo
un’impostazione che punta alla chiarezza e, fin dagli esordi nella
carriera scolastica, alla «meritocrazia». Ora venti intellettuali
francesi, tra i quali il celebre psichiatra infantile Marcel Rufo, il
neurologo e psicanalista Boris Cyrulnik e lo scrittore Daniel Pennac,
hanno firmato una lettera aperta per l’abolizione dei voti nei primi
anni di insegnamento. «La cultura del voto è ancora molto presente
nella scuola francese, storicamente portata alla selezione. I voti
bassi sono demotivanti, vissuti come una sanzione e sono
controproducenti ai fini di un possibile miglioramento», si legge
nell’appello. A parere dei firmatari, «l’ossessione della graduatoria
rinchiude progressivamente gli allievi nella spirale del fallimento,
mentre la fiducia in sè è indispensabile al successo scolastico». Il
linguista Alain Bentolila ha bollato la proposta come «ridicola»: «Il
compito del maestro non è umiliare l’allievo dicendogli "va bene
piccolo mio, di più non puoi fare", ma spronarlo a fare di più. Un
insegnante ha il diritto e il dovere di dire a un bambino che può
migliorare». Il ministro dell’Educazione nazionale Luc Chatel ha
chiarito che non ha intenzione di togliere i voti: «Aiutano i bambini e
i genitori a valutare meglio progressi e difficoltà, e a porsi degli
obiettivi». Ma il dibattito ormai è riaperto.
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