La mamma, Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione,si sorprende:
«Ma guarda!Non fa mai così, è la prima volta che piange». Però inquadra
subito il problema con l’occhio dell’educatrice: «Giorgio, scusa,
porta la sdraiètta », ordina per telefono, con la «è» larga-chepiù-
larga-non-si-può dei bresciani. Il marito accorre premuroso dalla
camera. In effetti la seggiolina reclinabile è il rimedio che ci
voleva: Emma si tranquillizza. Era stufa di giacere nella carrozzina.
Dopo due ore d’intervista, per nulla soddisfatta dall’eloquio fluviale
della madre, la bimba richiama di nuovo l’attenzione con strepiti
inconsolabili. «Ha fame». La Gelmini dosa sei misurini di latte in
polvere Humana 1. «Cavolo, ho dimenticato la mollettina per chiudere il
sacchetto ». Peccato che il barman abbia scaldato troppo l’acqua nel
biberon. Il dorso vellutato della mano ministeriale, sottoposto al rito
dello spruzzo preventivo, si rivela un termometro inattendibile, come
del resto aveva previsto Palmiro Togliatti già nel secolo scorso: «Chi
fa politica deve avere la pelle dell’elefante». Alla prima poppata la
dolcissima lattante caccia un urlo disumano e assume tutti i colori
dell’iride. M’improvviso pompiere. Immergo il biberon nel secchiello
del ghiaccio che di norma accoglie le bottiglie di Cristal Roederer.
«Lo vede che cosa succede a importunare le mamme in vacanza?». Ha
ragione. Un po’ mi sento in colpa. «Per penitenza deve promettermi che
questa sarà un’intervista rivoluzionaria».
Tutto quello che vuole, ma rivoluzionaria in che senso?
«Nel senso che lei non riuscirà a farmi parlare male di tutti, come
succede nelle interviste».
Non nelle mie.
«Qui proveremo a parlar bene di qualcuno».
Per esempio?
«Di Silvio Berlusconi. Sta un chilometro avanti a tutti. Un
caterpillar».
La notizia qual è?
«Lo vogliono ammazzare, questo mi pare chiaro. Ma lui rimane al
centro dell’agone politico. Da 16 anni nessuno riesce a schiodarlo da
lì. Gianfranco Fini s’è scontrato e ha perso. Pier Luigi Bersani
scappa a gambe levate appena sente nominare le elezioni anticipate.
Pier Ferdinando Casini lo critica tutti i giorni ma poi ci va a cena
insieme. Umberto Bossi ha capito che il federalismo può passare solo
con l’amico Silvio. Antonio Di Pietro ha costruito le sue fortune sul
nemico da abbattere. E più lo combattono, più lo rafforzano. Ben venga
la guerra a Berlusconi, tanto alla fine ne esce sempre vincitore».
Fortuna che la sinistra non se n’è accorta.
«Quando lo vedi sotto pressione, quello è il momento in cui dà il
meglio di sé. Voi giornalisti, con i vostri scenari, di solito siete
indietro di un mese rispetto alla sua testa».
Senta, io ero venuto qui anche per parlare della casa di Montecarlo.
«Ma allora non ha capito! Di Fini non parlo. Ma scusi, se le ho appena
spiegato che voglio solo parlar bene di qualcuno! Pensi a Gianni Letta.
Saggio come pochi, utile come pochissimi, dolce come nessuno. Riassume
in una sola persona il sindaco, il parroco, il farmacista e il
maresciallo dei carabinieri che un tempo avevano a cuore le sorti di
ciascun paese d’Italia. Ecco, lui svolge la stessa funzione per il
Paese con la “p” maiuscola».
Messaggio ricevuto. Lei è colomba, come Letta, e vuole la pace con Fini.
«Sono colomba, sì. In questa vicenda hanno giocato interessi di
parlamentari vicini al presidente della Camera che volevano dimostrarsi
più realisti del re. Però Fini ha sbagliato nel contrapporre due
valori fondanti del Partito della libertà, garantismo e legalità». (Si
mette bene: sta parlando male di Fini). «La cosa peggiore è che ha
dato l’impressione di agitare la bandiera della legalità per far
dimettere Berlusconi. Lui dice che non era nelle sue intenzioni. Però,
quando ha chiesto l’allontanamento dei politici indagati, è
precisamente quella cosa lì che tutti hanno capito. E ciò ha minato il
rapporto fiduciario col leader del Pdl».
Quindi?
«Siamo stati eletti per governare. Se alle dichiarazioni di principio
non seguiranno i fatti, non tireremo a campare. Niente papocchi, tipo
terzo polo o governo tecnico. Subito alle urne. Dicono che andare a
nuove elezioni è da irresponsabili? No, è da irresponsabili la
palude, la perdita di tempo, il tradimento degli elettori, il
sabotaggio delle riforme».
È vero che il premier è furioso perché i suoi più stretti collaboratori
gli avevano prospettato come molto più esiguo il numero dei deputati
finiani?
«Ho avuto la sensazione che qualcuno perseguisse la rottura tra
Berlusconi e Fini solo perché quando una torta viene divisa tra meno
contendenti si possono fare le fette più larghe».
Si sussurra che lei subentrerà a Denis Verdini come coordinatrice
unica del Pdl.
«Berlusconi non me ne ha mai parlato. Io mi preoccupo solo di fare
bene il ministro. Alla ripresa dell’anno scolastico ci attende la
riforma della scuola superiore, che finalmente sancirà la parità fra
licei e istituti tecnici. In Italia ogni anno le aziende cercano, per
assumerli, 70.000 profili professionali che la scuola non forma.
Questa riforma darà dignità al lavoro manuale. Col collega Maurizio
Sacconi siamo riusciti a introdurre il contratto di apprendistato,
con cui i giovani potranno mettersi alla prova».
Ma se fra novembre e marzo si tornasse alle urne, il suo ruolo quale
sarebbe? La definiscono «una macchina da voti».
«I voti li prende Berlusconi. Certo, girerei per le piazze. La Lega
insegna: guai a imborghesirsi! Il Carroccio è un grande partito del
Nord, elemento di stabilità per l’intero governo. Ma già Forza Italia
era il partito più votato nel Settentrione. E anche nel Meridione. A
maggior ragione dev’esserlo il Pdl, alleato leale ma non succube della
falange bossiana».
Com’è arrivata in politica?
«Per passione, a 21 anni. Abitavo a Desenzano. Era il 1994. Sentii il
discorso della discesa in campo di Berlusconi e corsi a iscrivermi al
club di Forza Italia del mio paese. La prima battaglia fu per
rovesciare la Giunta di sinistra. Fui eletta presidente del Consiglio
comunale. Poi assessore provinciale. Infine consigliere regionale».
Tradizione di famiglia. Suo padre Italo, scomparso nel 2003, era stato
sindaco di Milzano, nella Bassa bresciana, per la Dc.
«Io non mi ero mai occupata di politica».
Ha nostalgia della Democrazia cristiana?
«No. Ma ho rispetto per quella storia».
Pensi a quanti leader ha avuto la Dc: De Gasperi, Fanfani, Moro,
Andreotti, Scelba, Tambroni, Gonella, Rumor, Cossiga, Forlani, De
Mita, Gava, Prodi, Piccoli, Bisaglia, Taviani, Colombo. Un elettore di
oggi pensa a un premier del Pdl dopo Berlusconi e non gli viene in
mente nessuno.
«La leadership è carismatica. Dopo di lui, sempre lui. La sinistra
parla tanto dei giovani. Berlusconi li mette nel governo. È stato
l’unico a svecchiare l’età media della politica».
Il vostro primo incontro quando avvenne?
«Nel maggio del 2005 ad Arcore, subito dopo il successo alle elezioni
regionali. Avevo raccolto 17.000 preferenze uniche, superando pezzi
grossi come Margherita Peroni e Franco Nicoli Cristiani che erano alla
loro seconda o terza legislatura. Parlammo per una mezz’oretta.
Berlusconi mi chiese: “ Ma come hai fatto a prendere così tanti
voti?”. Risposi: ho battuto il territorio, andando cascina per
cascina. Di lì a pochi giorni mi nominò coordinatrice regionale di
Forza Italia in Lombardia. Una scelta eversiva. Anche incauta. Ma lui
agisce così, d’istinto».
A me risulta che a presentarla al Cavaliere sia stato Giacomo
Tiraboschi, il capo dei giardinieri di Villa San Martino.
«Vero. Che è anche il produttore di Melaverde su Rete 4. Sa come
conobbi Tiraboschi? Durante una puntata sulle limonaie del Garda che
Edoardo Raspelli e Gabriella Carlucci vennero a girare proprio a
Limone. Io partecipai come assessoreprovinciale all’agricoltura».
Ma il premier è così seduttivo come raccontano, con le donne?
«Non è seduttivo solo con le donne. Dispiega un carisma speciale in
tutti i rapporti interpersonali. Riesce a cogliere subito che cosa sei
capace di fare e te lo fa fare. Un autentico rivoluzionario, privo di
pregiudizi».
A parte l’alitosi da aglio, la stretta di mano sudata, i baffi, la
pinguedine.
«È attento all’estetica. Ma quando s’è innamorato di Giuliano Ferrara,
che anche per me è una delle più belle teste in circolazione, non si è
certo lasciato condizionare dal peso: l’ha nominato suo ministro. Lo
stesso con le donne. Mi dica quale altro governo della Repubblica ha
avuto cinque ministre. Il Cavaliere è un talent scout, che manda
avanti chi se lo merita. Guardi invece la sinistra: mai una faccia
nuova. Massimo D’Alema e Walter Veltroni facevano già parte
dell’arredo di Botteghe Oscure quando c’era da disputarsi la
successione ad Achille Occhetto. Preistoria».
Provò disagio quando Berlusconi fu messo in piazza per la sua notte
brava con Patrizia D’Addario?
«Disagio no. Però mi stupì molto che la battaglia politica si fosse
immiserita fino a quel punto, spostandosi sul piano privato. Ma i fatti
alla fine prevalgono sulle maldicenze. Se Barack Obama scende a picco
nei sondaggi e Berlusconi no, significa che gli italiani badano ai
fatti, non a ciò che scrive La Repubblica. Ecco, ora mi fa parlare dei
fatti che i giornali non riportano mai? Me l’ha promesso».
Non posso sottrarmi. Ma sia telegrafica.
«Penso ai provvedimenti presi dal governo Berlusconi nei primi due anni
di legislatura. Ricostruzione dell’Abruzzo. Emergenza rifiuti in
Campania. Salvataggio dell’Alitalia. Blocco degli sbarchi di immigrati
clandestini. Piano carceri. Ritorno al nucleare. Nuovo codice della
strada. Ripresa delle grandi opere. Ci vorrebbe una pagina solo per
le riforme: federalismo fiscale, processo civile, università, scuola
superiore, pubblico impiego».
Di pagine ne ho due, ma temo che non basterebbero.
«Abbassati gli stipendi a politici, magistrati e alti dirigenti
pubblici. Tagliate del 10% le spese dei ministeri. Ridotte del 20% le
autoblù. Nessun aumento delle tasse. Nessuna decurtazione di stipendi e
pensioni. Bonus elettricità, bonus gas, bonus vacanze. Social card ai
più bisognosi. Fondo per i nuovi nati: 85 milioni di euro. Fondo di
garanzia per le giovani coppie impegnate nell’acquisto della prima
casa: 24 milioni di euro. Abolizione dell’Ici sulla prima casa».
Ho capito.
«Un attimo. Piano casa per 100.000 nuovi alloggi popolari in cinque
anni. Stop all’aumento dei mutui nel 2008 per venire incontro alle
famiglie strozzate dalla crisi economica che non ce la facevano a
pagare le rate. Aumento di 20 milioni di euro per il fondo affitti.
Blocco dell’esecuzione degli sfratti per tutto il 2010».
Va bene.
«E la politica estera dove me la mette? Risoluzione della crisi
Russia-Georgia. Riavvicinamento Usa-Russia.G8 all’Aquila. Chiusura
della questione coloniale con la Libia».
Con Gheddafi abbiamo finito?
«No. Ho lasciato indietro il lavoro. A difesa delle famiglie, delle
imprese e dell’economia reale nel solo 2009 sono stati stanziati 55,8
miliardi di euro. Abbiamo contrastato il lavoro nero con oltre 100.000
controlli dell’Inps che hanno individuato 1 miliardo e 253 milioni di
contributi non versati. Della lotta alla criminalità non parlo».
Consideriamola un fatto acquisito.
«Quella i giornali sono costretti a registrarla per forza. Ha fatto
catturare più latitanti mafiosi il ministro dell’Interno in carica che
quelli succedutisi negli ultimi 20 anni».
È un’intervista vacanziera,dobbiamo tornare alle frivolezze.
Dichiarazioni d’amore per lei su Facebook: «Sei carina, voglio
invitarti a cena». Firmato Luca Ernegro.
«Però...».
«Prima di essere un ministro, sei una gran bella donna». Antonello
Paradiso.
«Oh là! Ci sono anche paginate di ingiurie».
Tinto Brass la trova decisamente sexy e dice che le ha chiesto di
poter proiettare i propri film nelle scuole: «Sono più educativi delle
pellicole di guerra!».
«Non mi risulta. Né che me l’abbiachiesto né che siano educativi».
Il conduttore Francesco Facchinetti, figlio del tastierista dei Pooh,
ha confessato: «A me Mariastella piace di brutto. Sarà per
quell’occhiale serioso,sarà che ha tutta questa voglia di riforme...
La cosa mi suona ambigua».
«In effetti sono un po’ fissata con le riforme. Ma non oserei mai
riformare Dj Francesco».
Lei abita a Padenghe e viene in vacanza a Limone, 40 chilometri in
linea d’aria. O ama molto il Garda o è molto refrattaria ai
cambiamenti.
«Amo molto il Garda. Anzi, chiederò alla collega Michela Vittoria
Brambilla, ministro del Turismo, d’aiutarmi a promuoverlo».
Sarebbe interesse privato in atti d’ufficio.
«Assolutamente sì, e con questo? Non vedo perché si parli sempre e solo
dei Vip che cercano casa sul lago di Como».
Casca male: la Brambilla risiede lì.
«Appunto: deve dimostrare d’essere imparziale. Se conoscesse il Garda,
George Clooney avrebbe affittato una villa qui. Quand’è nata Emma, mi
sono trasferita in un appartamento più grande nei pressi del Senato,
assediato da traffico, rumore e smog. Il fine settimana dalle mie parti
per me è già vacanza».
Prima dove abitava a Roma?
«In un minialloggio in via Arenula».
Da laureata in giurisprudenza puntava al ministero della Giustizia che
ha sede lì, confessi.
«No,è che costava poco d’affitto,mentre adesso mi tocca pagare 2.500
euro al mese. Non volevo diventare ministro né della Giustizia né
dell’Istruzione».
E che cosa le sarebbe piaciuto fare?
«Da bambina sognavo di diventare ballerina. Ho studiato danza classica
per sei anni».
Avrebbe potuto fidanzarsi con Roberto Bolle, pensi che occasione
sprecata.
«Mi è andata bene lo stesso».
Giorgio Patelli, «geologo bergamasco dai modi galanti», narrano le
cronache rosa.
«Ci siamo conosciuti due anni e mezzo fa a una cena tra amici, a
Milano».
Dove? In una casa privata?
«Non si può dire,si capirebbe tutto.Non c’entra la politica, comunque.
E da lì abbiamo bruciato le tappe: fidanzamento, matrimonio, figlia».
La descrivono «molto cattolica, bambina all’oratorio, studentessa alla
scuola dei preti». Però s’è sposata civilmente.
«Giorgio è divorziato, alle sue seconde nozze. Avrei preferito
sposarlo religiosamente. Non posso chiedere l’assoluzione: non c’è».
Da bambina dove andava in vacanza?
«Non ci andavo. Continuavo a frequentare la mia parrocchia di confine,
a Gottolengo, dove don Giuseppe lasciava che maschi e femmine
giocassero insieme a pallavolo e a basket. Un punto di ritrovo sano:
catechismo, film, recite teatrali. Altro che i luoghi di aggregazione
d’oggi, tipo i pub, dove più in là della birra non si va. Mio padre,
agricoltore, aveva scavato un laghetto artificiale, 30 metri per 15,
accanto alla nostra cascina di Pavone Mella. Con i miei tre fratelli
mi tuffavo lì».
Credevo che oltre a Cinzia ci fosse solo Giuseppe, suo fratello
maggiore.
«C’era anche Rodolfo. Perse la vita a 33 anni in un incidente a
Pontevico. Nella nebbia si schiantò contro un camion che aveva invaso
la carreggiata. Morì sul colpo. Perciò ho a cuore l’educazione
stradale nelle scuole».
Ad aprile è diventata mamma. A giugno ha perso la sua, di mamma. È come
se il testimone della vita fosse passato a lei.
«E io l’ho passato a mia figlia, che infatti di secondo nome si chiama
Wanda, come la nonna. Mia madre era malata da circa sette anni,
ultimamente aveva difficoltà di parola. Ma prima di morire ha potuto
vedere questa nipote e gli occhi parlavano per lei».
Ha rivelato che, appena entrata in politica, sua mamma «si preoccupava
da morire». Si sente in colpa?
«No. Era una donna forte. Mi ha insegnato a spendermi per quello in cui
credo. Semmai sono io ad avere qualche senso di colpa verso mia
figlia,anche se penso che l’amore si misuri dalla qualità, e non dalla
quantità, del tempo che i genitori riservano ai loro bimbi».
Parliamo della quantità.
«A Roma dormiamo nello stesso letto, Emma e io, sole solette. Alle 8 le
do il biberon. Poi leggiamo i giornali, ma non mi sembra molto
interessata. Dalle 9alle 14 sta con la tata. Alle 14 rientro dal
ministero e rimango con lei fino alle 16. Quindi torno a viale
Trastevere, da dove non rincaso mai prima delle 20.30. Nel week-end ci
rifugiamo a Padenghe. Avrebbe diritto alla tessera Freccia alata».
Come le è saltato in mente di dichiarare a Io Donna che le neomamme in
astensione obbligatoria sono delle privilegiate?
«Intendevo dire che non tutte le donne possono permettersi di stare a
casa per molti mesi dopo il parto. Pensavo alle contadine del mio
paese o alle negozianti di Sirmione, costrette a tornare al lavoro col
figlio al collo. Si è voluto capovolgere il mio ragionamento per farmi
passare dalla parte del torto».
Marina Corradi, figlia del grande Egisto, le ha rivolto un’esortazione
dalle pagine di Avvenire : «Signora Ministro, si prenda il tempo più
bello».
«Ho cercato di ascoltare quel consiglio. Infatti sono tornata a Roma
dopo un mese. Ma un ministro ha anche dei doveri verso la nazione. Non
potevo accantonare la riforma universitaria per dedicarmi solo a mia
figlia».
Dev’essere un inferno l’avanti e indrè dalla capitale con un frugoletto
di pochi mesi.
«È impegnativo. Ma sono avvantaggiata rispetto a tante mamme. Per
esempio approfitto del volo di Stato che da Milano porta nella
capitale il presidente Berlusconi, i ministri Giulio Tremonti, Ignazio
La Russa e Roberto Calderoli, senatori e deputati».
Converrebbe aprire il Parlamento del Nord.
«Perché no? Ma Tremonti non lo permetterà mai. Si duplicherebbero le
spese».
Il congedo parentale di cui si può fruire dopo i tre mesi di vita del
bambino, per un totale di 180 giorni retribuiti solo in parte, andrebbe
ampliato o ridotto?
«Né ampliato né ridotto. Semplicemente servono più investimenti. In
Italia manca un welfare dell’infanzia, fatto di asili nido e bonus
bebè. Penso anche al quoziente familiare, che consentirebbe di
suddividere il reddito in base al numero dei componenti della famiglia
e applicare quindi aliquote fiscali più basse».
Perché alla neomamma insegnante non concede di mettersi in
aspettativa senza stipendio e senza scatti di anzianità per tutto il
tempo che desidera? Lei assume una supplente, che le costa pure meno.
«Sbagliato. Si creerebbero supplenti a vita. Già mi trovo a dover
gestire 150.000 precari, un’eredità pesantissima. La continuità
didattica è un valore».
Un anno fa le chiesi: come farà a mettere un tetto del 30% alla
presenza di alunni extracomunitari se in alcune classi arrivano
oltre il 90%? Mi rispose: «Il come lo decideremo». L’ha deciso?
«L’ho fatto. C’è stata una verifica al ministero, prima delle vacanze,
con i direttori scolastici regionali. La redistribuzione degli alunni
immigrati all’interno del plesso,o nei plessi vicini,è arrivata
all’87%».
Ma se mia cognata insegna in una classe dove ci sono 21 figli di
immigrati su 21, mi spiega con quali italiani li integra?
«In alcune zone di Milano e Roma, e nelle metropoli in genere, permane
un certo margine di scostamento. Così pure in realtà difficili come
Prato, dove la presenza degli immigrati cinesi è massiccia».
Mia cognata insegna a Verona.
«Certo che è ben sfortunata sua cognata. Nessuno ha la bacchetta
magica per risolvere i problemi della scuola. Lei pensi solo a questo:
in Italia ci sono più bidelli, 165.000, che carabinieri, 112.000.
Dopodiché le pulizie sono state affidate alle cooperative, con
raddoppio della spesa. E abbiamo le scuole sporche. Sarà mica colpa
del ministro Gelmini?».
Sa che cosa dicono i suoi detrattori? Che la Gelmini propone ma
Tremonti dispone. Lei non sarebbe altro che la cesoia d’oro con cui il
ministro dell’Economia sfronda i bilanci della scuola pubblica.
«Dormo serena. I soldi delle tasse sono dei cittadini, non di
Tremonti. Si progetta insieme, tenendo conto delle risorse. Questo non
è il governo dello scaricabarile, ma del gioco di squadra. Non
riusciranno a farci litigare».
Il ministro Renato Brunetta ha litigato con Tremonti proprio sul
rigore.
«Eh, ma quelle sono liti fra professori».
«Taglia, taglia,l’alunno raglia». Non c’è un po’ di verità in questo
slogan scandito durante gli ultimi scioperi della scuola?
«Se lei va a controllare le classifiche, l’alunno ragliava anche in
anni di vacche grasse. Il governo Berlusconi ha stanziato 1 miliardo
di euro per l’edilizia scolastica, il centrosinistra solo 300 milioni.
Sarebbero questi i tagli?».
Bersani dice che i docenti sono i veri eroi moderni, perché tamponano
il disagio sociale nelle periferie.
«Ma sì, sono d’accordo. Se non fosse che il demagogo Bersani ci
propina queste frasi per strappare l’applauso. Gli insegnanti che per
decenni hanno visto applicare nella scuola le ricette di Bersani &
C. non è che sianocosì contenti della sinistra, visto che un
docente di scuola secondaria superiore guadagna, con 15 anni
d’anzianità, meno di 30.000 euro lordi l’anno,tredicesima compresa,
contro i 50.000 di un collega tedesco e i 40.000 abbondanti di un
finlandese. Che poi non si comprende quale sia la ricetta del Partito
democratico. Non solo per la scuola: anche per l’economia,la
sicurezza,l’immigrazione. Bersani non ha ricette per niente. È la
tragedia dell’Italia: manca un’opposizione».
Ma lei ha aumentato gli stipendi?
«Una parte dei 2 miliardi di euro risparmiati grazie ai tagli della
finanziaria 2009 servirà per recuperare gli scatti di anzianità dei
lavoratori della scuola, che altrimenti resterebbero bloccati per
tre anni come stabilito dall’ultima manovra».
Fra i suoi interventi,c’è stata la reintroduzione del voto in decimi
nella scuola primaria. È davvero convinta che un numero in pagella
aiuti un alunno a crescere?
«Sono convinta che la chiarezza aiuti sempre. Ero arrivata a leggere
giudizi astrusi, compilati con lo stampino. Almeno un 5 è un 5 e un 8
è un 8, senza giri di parole».
Com’è che la Puglia è in testa alla classifica nazionale dei diplomati
con lode? Per non parlare del resto del Sud: ben 26 al liceo
scientifico Leonardo Da Vinci di Reggio Calabria, contro i 3 del
classico Tito Livio di Padova.
«Quando due anni fa rilevai che questi dati rimandavano a una
maggior disinvoltura degli insegnanti meridionali nell’assegnare i
voti, fui sepolta dalle critiche. Prima di me il governatore della
Banca d’Italia, Mario Draghi, aveva detto la stessa cosa - “un
quindicenne su cinque nel Mezzogiorno versa in una condizione di
povertà di conoscenze, anticamera della povertà economica”- e
nessuno aveva osato fiatare. Non è un’accusa, ma un dato di realtà su
cui riflettere, un divario da colmare. La dispersione scolastica al
Sud è di 10 punti superiore alla media europea».
Qual è stata la percentuale dei bocciati quest’anno?
«È salita dal 10,9% all’ 11,4%, perché è rimasta la severità nelle
valutazioni. Ci sono stati 10.000 bocciati col 5 in condotta».
Dobbiamo considerarlo un successo o un disastro?
«Ripetere l’anno è sempre molto brutto. Ma promuovere tutti d’ufficio
è peggio».
A luglio ha varato il Piano nazionale per la qualità e il merito,
affidandolo a Roger Abravanel, manager di formazione McKinsey. L’altro
suo consulente di fiducia è il professor Giorgio Israel. Come mai la
sua scelta è caduta su due intellettuali ebrei? Badi bene, le avrei
chiesto la stessa cosa se si fosse scelta due esperti di religione
musulmana o protestante.
«Pura coincidenza. Sono arrivata ad Abravanel dopo aver letto il suo
libro Meritocrazia . È un civil servant che non vuole nemmeno essere
pagato.Lo fa solo per restituire alla società un po’ del tanto che la
vita gli ha regalato».
Un altro suo consulente è il mio amico Renato Farina, oggi
parlamentare Pdl, o sbaglio?
«È una persona meravigliosa. All’ora di cena mi manda un Sms che è una
specie di preghiera».
Ascolta, si fa sera.
«Renato Farina lo adoro. Confesso questa mia passione».
Suo consigliere politico è il deputato Giorgio Stracquadanio, un
dinamitardo, l’esatto contrario di lei.
«Coincidentia oppositorum . Lui è un incendiario, molto più bravo di
me nelle arringhe contro la sinistra. Del resto, 40 anni di
sessantottismo nella scuola non si cancellano dalla sera alla mattina,
un po’ di grinta ci vuole».
Lei che avvocato era prima di diventare ministro?
«Facevo la praticante nello studio dell’avvocato Alberto Scapaticci, a
Brescia. Mi occupavo di cause civili. Liti fra coniugi. Al momento
della separazione, ricordo d’aver visto una coppia contendersi persino
le tazzine del caffè. Quando l’amore si trasforma in odio,qualsiasi
pretesto diventa buono per scannarsi. Fu un’esperienza molto triste».
È ancora una fan di Vasco Rossi?
«Sì. Alcune sue canzoni sono bellissime».
Per esempio?
« Albachiara».
Un inno all’autoerotismo femminile.
«Macché, macché, ma cosa dice?».
Nella strofa finale: «Qualche volta fai pensieri strani / con una
mano, una mano, ti sfiori, / tu sola dentro la stanza / e tutto il
mondo fuori».
«Non l’avevo mai colta,non entriamo in questi dettagli, non mi rovini
Albachiara».
Il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, voleva negare il Teatro
Romano al cantautore Morgan, quello che ha confessato di utilizzare la
cocaina come antidepressivo: «Un esempio negativo per i giovani».
Vasco Rossi vuole una vita spericolata, ha usato le amfetamine, dice
che la marijuana non è più pericolosa dell’alcol. Come ministro
dell’Istruzione dovrebbe cambiare idolo, non crede?
«Non mi faccia il bigotto. Amo anche Mina, Tiziano Ferro, Francesco
Renga. E pure Adriano Celentano, ma solo quando canta, non quando
parla».
È favorevole alla caccia, ho letto. Perché nel Bresciano c’è la
Beretta oppure perché le piacciono gli uccellini allo spiedo?
«Mai mangiati. Rispetto una tradizione che affonda le sue radici
nella notte dei tempi e che è strettamente connessa alla cultura
contadina. Non nego che nel mio territorio l’industria delle armi
abbia anche un considerevole risvolto economico».
Se il suo collegio elettorale fosse a Sanremo, sarebbe favorevole
alle rose.
«Questo lo dice lei. Non demonizziamo la caccia».
Quando ha un dubbio serio, con chi si confida?
«Con mio marito. Essendo estraneo alla politica, è molto lucido,
equilibrato».
Le è capitato di confrontarsi col suo predecessore Giuseppe Fioroni?
«Sì, ma poi ci siamo persi di vista. Spero di poter riprendere il
dialogo».
A sua sorella maestra, sindacalista della Cgil, ha mai chiesto
consiglio?
«Come no. È una donna g pragmatica, non ideologizzata, che si occupa
dell’integrazione dei bambini immigrati. Era molto d’accordo sul tetto
del 30% di alunni stranieri nelle classi».
Non si chiede mai: ma perché ho accettato l’incarico di ministro?
«Qualche volta. Specie quando mi rendo conto che la gente non crede
che i ministri lavorino 15 ore al giorno».
Nel tempo libero che cosa le piace fare?
«Non dare interviste. Abbiamo finito?»