Immaginate di
avere un figlioletto nella scuola elementare. Sono settimane che si
esercita per mandare a memoria la parte che gli è stata assegnata nella
recita natalizia. Si è sottoposto alla prova dei costumi, ha indossato
alucce di cartapesta e ha provato i passi sulla pedana dell’aula magna
dell’Istituto; in qualche caso ha provato l’entrata in scena
direttamente sul palco del Teatro Municipale. Arriva il giorno della
recita, vi recate sul posto con un nodo alla gola, i nonni al seguito,
i fazzoletti pronti e tutto l’occorrente tecnologico per poter girare
un video, per poter scattare qualche foto, perché l’evento è di quelli
da conservare gelosamente tra le cose di famiglia e da vedere e
rivedere infinite volte, per anni. Ma ecco che...
Ma ecco che qualcuno vi blocca all’entrata: “Siamo spiacenti: è vietato
effettuare riprese, in ossequio alla legge sulla privacy”.
Immaginate di essere quel bambino. Il giorno del compito in classe di
Italiano desiderate solo una cosa, che la prof vi assegni una bella
traccia, una di quelle che vi permettano di parlare un po’ della vostra
vita, delle cose che vi accadono ogni giorno, delle persone su cui
contate e di quelle che vi hanno tradito. Insomma, vi piacerebbe
raccontare qualcosa di vostro, vorreste avere il tempo e il modo di
esprimere le vostre opinioni sulle piccole e grandi questioni che si
muovono intorno a voi. Niente da fare. La prof entra in classe e detta
il più anonimo e il più neutrale e il più glaciale tema che si possa
immaginare. “Mi raccomando, ragazzi: non metteteci niente di personale,
altrimenti non potrei correggerli, non potrei rileggerli a voi in
classe, non saprei dove custodirli. Violerei le norme sulla privacy.”
Immaginate di essere uno studente grandicello, che ha la patente e va a
votare. Avete sostenuto l’esame di maturità. E’ stato pubblicato il
vostro credito scolastico, è stato pubblicato il punteggio raggiunto
nelle prove scritte. Resta solo da sommare il punteggio della prova
orale e saprete com’è andata. Vi recate a scuola, i tabelloni sono
affissi e un manipolo di curiosi già si alza sulle punte per trovare il
proprio nome e il proprio punteggio finale. Vana speranza. Se siete
stati fortunati troverete scritto “Esito positivo”; altrimenti “Esito
negativo” (Esame di Stato 2007/2008). Proprio così, con uno stile
lessicale e una portata semantica che rasentano il macabro. “Esito
negativo” ha in sé qualcosa di ospedaliero, da esame del sangue e delle
urine. Chi ha immaginato questa formula assertiva deve essere un patito
di polizieschi all’obitorio, di scena del crimine, un lettore accanito
di Patricia Cornwell. Ma lui, il dirigente ministeriale, l’ispettore
ministeriale, il consulente ministeriale che stabilisce come si
compilano i tabelloni degli esami da affiggere nelle scuole, vi
risponderebbe che è stato costretto ad escogitare quella formula per
non infrangere il codice della privacy.
Tre casi che possono apparire comici, paradossali, fantasiosi, e che
invece rappresentano la prassi quotidiana in migliaia di scuole
italiane. La normativa sulla Privacy, che pure nasce dalla legittima
necessità di tutelare i dati sensibili delle persone, soprattutto dei
minori e soprattutto in un periodo in cui Youtube ha rivoluzionato il
nostro modo di rapportarci agli altri, si è aggrovigliata nella rete
degli eccessi. Nel timore di incorrere in qualche sanzione, ci si è
trincerati dietro un muro di esagerazioni.
Basterebbe un po’ di buon senso, un’elementare dose di equilibrio da
distribuire equamente lungo tutta la filiera, dagli addetti alla
scrittura della norma a coloro che sono responsabili della sua
applicazione: basterebbe poco per riprenderci la nostra sana normalità.
(di Roberto Tortora http://terpress.blogspot.com)
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