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Umanistiche: Il bello della Macchia

Rassegna stampa

 

 Firenze celebra il centenario della morte di Giovanni Fattori, padre dei Macchiaioli, con un ricco programma di eventi, che si apre con la mostra a Villa Bardini. E i maestri della "macchia" sono protagonisti di una grande rassegna a Venezia, a Palazzo Franchetti Era il 30 agosto del 1908 quando Giovanni Fattori morì a Firenze, in un'aula dell'Accademia di Belle Arti di via Ricasoli, dove insegnava da quasi un trentennio. Aveva 83 anni e tre vedovanze alle spalle, ed era già considerato uno dei grandi vecchi dell'arte italiana, progenitore della pittura moderna. Come racconta la sua studiosa più nota, Francesca Dini, non aveva mai avuto un atteggiamento da leader, né al tempo della "macchia", né più tardi quando dal seme della ricerca macchiaiola scaturì una stagione pittorica nuova e diversa, quella dei naturalisti toscani. E soprattutto non approfittò mai del suo ruolo di professore accademico per imporre una sua propria maniera. Certo fu, che dopo il 1870, con la graduale dissoluzione del gruppo storico dei Macchiaioli e la conseguente affermazione in Toscana di altre tendenze artistiche dal naturalismo al divisionismo e simbolismo, quello che rimaneva un punto di assoluto riferimento era la straordinaria fedeltà di Fattori ai principi del realismo sulla base della scuola del francese Courbet. Apparve chiaro che "papà Fattori" era il caposcuola dell'epopea macchiaiola infarcita di fermenti risorgimentali, e delle vedute maremmane. E nel centenario della morte di Giovanni Fattori, Firenze si mobilita per orchestrare una parata di eventi non da poco, con quattro mostre tematiche, un'iniziative editoriale e un convegno nazionale sul restauro che si spalmano per tutto il 2008, in un progetto firmato da Carlo Sisi, uno dei massimi esperti dell'Ottocento, che prende il via il 19 marzo con un piccolo grande gioiello espositivo "Fattori e il Naturalismo in Toscana" a Villa Bardini fino al 22 giugno, sotto la cura della Dini.

 

Giovanni Fattori nasce a Livorno il 6 settembre 1825. Dopo aver studiato con G. Baldini a Livorno, nel 1846 si trasferisce a Firenze. A Firenze, nel 1847, Giovanni diventa allievo di Giuseppe Bezzuoli (autore di grandi quadri storico-romantici). Il 1848 vede Giovanni Fattori coinvolto nei moti risorgimentali, con il compito, modesto ma pericoloso, di fattorino del Partito d'Azione, ossia di distributore di fogli "incendiari". L'anno seguente assiste all'assedio di Livorno che lascerà in lui un'impressione indelebile.
Le battaglie risorgimentali, che saranno tante volte oggetto delle sue pitture, sono per lui la strada per raggiungere non solo l'unità d'Italia, ma soprattutto un mondo sociale nuovo, libero, onesto e giusto. All'inizio del 1852 inizia a frequentare il Caffé Michelangelo sito in via Larga, dove si ritrovano gli artisti Odoardo Borrani, Telemaco Signorini e Vito d'Ancona che intorno al 1855, costituiscono il gruppo dei Macchiaioli. A Firenze si entusiasma anche del colore di Domenico Morelli, ma Giovanni Fattori non aderisce subito alle nuove esperienze e fino al 1859 dipinge in maniera tradizionale, seguendo il gusto romantico. Al 1854 risale l'Autoritratto, primo quadro di qualità elevata, intonato su un cromatismo terso di toni bruni e bianchi accesi. Fra il 1855 e il 1857 Giovanni Fattori partecipa alle diverse edizioni della Promotrice fiorentina, nelle quali espone dipinti di argomento storico-letterario. Determinante per l'orientamento artistico di Giovanni Fattori è l'incontro con Nino Costa, per consiglio e incoraggiamento del quale Giovanni Fattori presenta al concorso per la celebrazione della guerra del 1859 (vincendolo) il "Campo italiano dopo la battaglia di Magenta" (1862), il primo quadro italiano di storia contemporanea. Nel 1861 esegue I fidanzati e il Ritratto della cugina Argia. Si trasferisce a Livorno per alleviare le sofferenze della moglie, malata di tisi; esegue tre grandi dipinti: Acquaiole livornesi, Le macchiaiole e Costumi livornesi. Nel 1867, dopo la morte della moglie, Giovanni Fattori è ospite di Diego Martelli a Castiglioncello, dove esegue i ritratti di lui e della moglie. Nel 1869 viene nominato professore all'Accademia di Firenze. Alcuni anni più tardi, nel 1873, Giovanni Fattori compie il primo viaggio a Roma, dove esegue alcuni dipinti, come i Barrocci romani. Nel 1875 è a Parigi con alcuni allievi; al ritorno è ospite della famiglia Gioli a Fauglia, dove dipinge amabili ritratti femminili. Nel 1880 esegue Lo scoppio del cassone e Lo staffato. A quel tempo comincia a trattare soggetti campestri, che lo portano nel 1885 a soggiornare presso il principe Tommaso Corsini nella tenuta della Marsigliana. In quell'occasione Giovanni Fattori trae spunti per alcuni suoi quadri quali La marca dei puledri e il Salto delle pecore, esposti entrambi a Venezia nel 1887. In questi anni ottiene anche la cattedra di paesaggio all'Accademia di Firenze, dove dal 1869 insegna come incaricato. Alla fine del decennio esegue il Ritratto della figliastra e quello della seconda moglie. Nel 1905 si risposa per la terza volta con Fanny Martelli, anch'essa ritratta in uno dei suoi dipinti. La sua attività è intensa fino all'estrema vecchiaia, come dimostrano le numerose opere che espone con regolarità alle rassegne d'arte italiane e straniere. Giovanni Fattori muore a Firenze il 30 agosto 1908.
E' stato il maggior pittore della macchia e forse di tutto l'ottocento italiano. Giovanni Fattori spesso nel corso della sua vita aveva sostenuto di non credere che per fare un artista occorra la cultura esatta e tuttavia questo essere <> é stata forse la sua principale arma, quella che gli ha permesso di essere solo se stesso, un artista libero creatore, privo di condizionamenti culturali.
Un'indagine mirata e selettiva sulla vocazione naturalista, sulla predilezione per la pittura dei campi, che ha immortalato con grande reverenza nei confronti della realtà, seppur tinta di un velo di nostalgia, l'ariosità di ampi paesaggi e la bellezza di una natura incontaminata, la pacata semplicità del lavoro nei campi e degli animali che ne fanno parte come i placidi buoi e gli imprevedibili cavalli, ma anche le salde contadine e i tonici popolani, la selvatichezza di boschi e colline, la freschezza di fiumi. Insomma, un viaggio suggestivo nella Maremma di fine Ottocento attraverso una quarantina di opere, per lo più di grandi dimensioni, che rivelano però un gioco insolito di accostamenti stilistici tra l'artista e alcuni epigoni toscani della generazione successiva, i vari Tommasi, Sorbi, Cecconi, Micheli, Panerai, Gioli, Cannicci, Ferroni. Pittori naturalmente più giovani. Di alcuni fu maestro, di tutto fu grande amico. Un legame che non impedì loro di esternare tutta l'irrequietezza nell'assecondare le mode del tempo a cercare plausi oltre i confini nazionali, inseguendo atteggiamenti da transfughi impressionisti, sedotti irrimediabilmente da quelle frenesie parigine. A differenza di Fattori che rimase fedele fino alla morte a un realismo senza retoriche, asciutto e sintetico.

"Fattori fu capace di cogliere con umile devozione la religiosità di un gesto, un attimo di vita - racconta Francesca Dini - Lo stile è nudo, vigoroso, aderente ad una realtà che solo l'artista sa vedere e sa svelare, perché per Fattori come per Courbet la pittura non deve applicarsi alla riproduzione mimetica delle apparenze della realtà, bensì deve saper esprimere attraverso le forme del vero il sentimento più profondo del tempo contemporaneo". E la mostra racconta bene questo temperamento e questa sensibilità, sviscerando la sua intima partecipazione alla Toscana delle piccole grandi cose, dell'umile vita di ogni giorno, delle terre vergini e bellissime, del selvaggio west maremmano. E la sua modernità, a tratti visionaria, è rivelata dalla scelta di ardite scenografie di taglio cinematografico, fotogrammi spettacolari, memorie palpitanti di inconfondibile angolo di mondo. E nell'attesa del grande omaggio che dedicherà a Fattori la sua Livorno, con un'antologica monumentale in programma dal 20 aprile al 6 luglio ai Granai di Villa Mimbelli, l'ala del Museo Fattori dedicata alle esposizioni temporanee, che vanterà ben 280 opere selezionate per ricostruire l'intero arco produttivo del maestro della macchia, attraverso dipinti, disegni e acqueforti, dalla pittura accademica al vero di natura, i Macchiaioli, continuano ad essere presenti più che mai in attività espositive italiane.

Dopo la grande rassegna "Macchiaioli. Sentimento del vero" che, tra il 2007 e il 2008 ha toccato prima Palazzo Bricherasio a Torino, poi il Chiostro del Bramante a Roma, si è aperta a Venezia, a Palazzo Cavalli Franchetti la rassegna "I Macchiaioli. Capolavori della collezione Mario Taragoni", visitabile fino al 27 luglio, che documenta una passione particolare, fatta di cuore e di stile, di raffinatezza e coraggio, quella del noto finanziere economista, "gran borghese" degli anni Trenta, dirigente a Genova della Banca d'America e d'Italia, che amava i Macchiaioli a tal punto da comprarne e collezionarne in gran quantità - la Taragoni è una delle pochissime dedicate all'Ottocento arrivate praticamente intatte fino ad oggi. Ma non li amava in modo generico e indifferenziato: "Sapeva tutto dei macchiaioli - avverte Antonio Paolucci presidente del comitato scientifico - Era ben consapevole che la fase davvero innovativa e la stagione pienamente compiuta della macchia, si realizzano quando le novità tecniche sperimentate sul quadro di figura vengono applicate al paesaggio en plein air o a quello speciale paesaggio moderno che è l'interno borghese. Eppure all'interno del movimento macchiaiolo, Mario Taragoni era attratto dagli aspetti più obliqui, più intimistici, più sperimentali di quella stagione e di quegli autori. Sosta sotto la pioggia del vecchio Fattori, il Lega febbrile e visionario degli anni tardi, le varianti sentimentali e eccentriche di Armando Spadini e di Mario Puccini, toccavano la sua sensibilità di collezionista più delle opere improntate a squisito equilibrio formale uscite dalla stagione di Castiglioncello e di Piagentina. Sotto questo aspetto la raffinata antologica dell'Ottocento toscano raccolta in Palazzo Franchetti assume importanza scientifica non irrilevante perché apre una prospettiva se non inedita certamente inusuale sul movimento macchiaiolo. Una prospettiva, un punto di vista inventati e sperimentati da un colto collezionista che aveva letto i libri, studiato e valutato critici, storici, galleristi ma che poi, in ultima analisi, aveva saputo guardare con i suoi occhi e decidere con la sua mente e con il suo cuore".









Postato il Mercoledì, 09 aprile 2008 ore 20:48:05 CEST di Maria Allo
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