Tanto si
può dire e scrivere su Leonardo Sciascia, scrittore, saggista,
giornalista, intellettuale siciliano che proprio in questi giorni
ricorre il centenario della sua nascita (Racalmuto, 8 gennaio 1921). Si
può dire della sua professione di maestro elementare, di “scoli vasci”
(come amava dire); dei suoi straordinari romanzi che raccontano la
Sicilia in maniera “spietata e illuminata”; delle sue lucide analisi
sui mali dell’isola; del suo impegno politico che lo ha visto prima
consigliere comunale a Palermo (1975-77) con il Partito Comunista, poi
eletto al Parlamento nazionale (1979-83) con il Partito Radicale, e
componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di
via Fani e sul sequestro e l’uccisone di Aldo Moro, e della Commissione
parlamentare sul fenomeno della mafia; delle sue famose polemiche,
l’ultima, a due anni dalla sua scomparsa, nei confronti dei magistrati
che si occupavano di mafia. A me piace dire del suo amore “smisurato e
ragionato” per la Sicilia e per il suo paese d’origine, Racalmuto, un
piccolo centro in provincia di Caltanissetta, di cui tanto scrisse nei
suoi undici romanzi; del suo attaccamento, del suo “intenso e intimo”
senso di appartenenza a questa terra, “Ce ne ricorderemo di questo
pianeta” (“Così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una
certa attenzione questa terra, questa vita la meritano”). Attraverso i suoi scritti, soprattutto con “Il giorno della civetta”, pubblicato nel 1961, il suo romanzo più celebre e più venduto, il primo ad essere tradotto all’estero, fece capire a tutt’Italia cos’è la mafia, considerata prima di lui, quasi un fenomeno folcloristico, ne spiegò la pericolosità, i meccanismi psicologici e culturali, il radicamento con la società arcaica siciliana.
“Tutti amiamo il luogo in cui siamo nati, e siamo portati ad esaltarlo. Ma Racalmuto è davvero un paese straordinario”, con questa espressione scritta nel romanzo, “La Sicilia come metafora”, del 1979, Sciascia dichiarò il forte legame con il suo paese, la sua “celeste prigione”, e lo espresse in molte sue opere, come in “Parrocchie di Regalpetra”, dove racconta i suoi ricordi d’infanzia. Ma Ragalmuto, per Sciascia, non è soltanto un spazio fisico, ma è metafora della Sicilia, un luogo pieno di problemi e di contraddizioni, di inquietudini e di delusioni, di miserie e di ipocrisie, ma è comunque un “luogo unico al mondo”, da amare, da ripagare, da onorare. Un luogo da cui trarre energia e vitalità per scrivere dell’uomo, per raccontare della libertà, del coraggio di vivere da uomini liberi, del senso di etica e di giustizia, del principio di uguaglianza, per combattere le perfidia del potere, l’arroganza, l’ignoranza, l’oscurantismo. Innanzitutto l’uomo e la sua ragione.
Sciascia, “maestro” illuminista e illuminato. Quanto ci manca Leonardo Sciascia al giorno d’oggi, nella Sicilia e nell’Italia dei nostri tempi! Quanto ci manca il suo “sapere”, la sua analisi lucida, la sua capacità di leggere e di decifrare l’animo degli uomini, il suo capire il senso profondo dell’umanità, di intuire i mali oscuri della società. Con intelligenza ed eleganza, con arguzia e coerenza, e anche con ironia e umorismo, e con una leggera punta di bonaria irriverenza, come solo i siciliani sanno essere. Leonardo Sciascia interprete “inflessibile ed esemplare” del suo tempo e della sua Sicilia.
Angelo Battiato

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