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Riforma: La valutazione degli insegnanti. (Note a margine di un tentativo di rivincita politica)

Redazione
Nei modi in cui si è voluto introdurre la valorizzazione del merito degli insegnanti si puo' leggere un progetto di normalizzazione del mondo della scuola, fino ad oggi autonomo rispetto al potere politico e protetto da norme costituzionali, che rendono ancora oggi, nonostante le malversazioni subite, sacra la libertà intellettuale degli insegnanti.

I responsabili dell'amministrazione l'hanno venduta al pubblico come lo strumento per sradicare l'inerzia professionale degli insegnanti,per ridare serietà ed efficienza al loro lavoro, per premiare quelli che si rompono la schiena, trascurati da decenni di egualitarismo salariale, unica politica promossa dai sindacati, ma anche accettata da una categoria ormai fuori dal mondo.

Dal disprezzo e dall'ignoranza del mondo della scuola e del lavoro degli insegnanti non posson nascere buoni frutti e ce ne sono di cattivi nelle pieghe dei dispositivi della Legge Delega n.107 del 13 Luglio 2015. Una legge che va letta unitamente al Regolamento sul sistema di valutazione in materia di istruzione e formazione (Dpr n.80 del 28/3/2013), anche se i due testi non sono perfettamente tra di loro congruenti. Il frutto più velenoso è la forte spinta che viene data a rovinare la scuola della libertà, della collaborazione e dell'equità sociale, disegnata dai decreti delegati del '74, per impiantare quella dell'intimidazione, della concorrenza e del darwinismo sociale.

L'atteggiamento peggiore dell'amministrazione, mostrato nelle vicende che hanno portato alle scelte della cosiddetta BUONA SCUOLA, è stato quello di avere irriso, utilizzando i megafoni servili di quasi tutti i media, il dramma e la sofferenza di una categoria che si vedeva sconciati il proprio status giuridico e il proprio lavoro, presentandoli come resistenza al rinnovamento della scuola, come testarda, ottusa volontà di sottrarsi al giudizio sul proprio lavoro;come una volgare pretesa di impunità. Il Governo ha voluto fare capire che si stava impegnando doverosamente a suscitare in un ambiente ostile e arretrato la linfa vitale della cultura della valutazione.

Sulla valutazione del servizio,soprattutto se piegata alla logica dei premi e delle punizioni, da sempre si registrano perplessità e avversione degli insegnanti. E non solo in Italia, se si deve dire tutta la verità. Non credo che lo facciano perchè vogliono sottrarsi alla responsabilità di dare conto del proprio operato, ma per il timore che la valutazione non venga fatta in un contesto di garanzie, che la rendano un mezzo per migliorare il proprio lavoro e il servizio complessivo erogato dalla propria scuola.

Gli insegnanti temono e non a torto che si cerchi arbitrariamente la perfezione e non il miglioramento possibile in condizioni date. Che la ricerca ossessiva del risultato privi il loro lavoro della dimensione educativa. Che siano spossessati della loro autonomia e della loro dignità professionale per essere sottoposti alle angherie di un capo e alle bizzarrie premiali del Comitato di Valutazione.

Nella campagna di informazione del Governo, a prescindere da quello che poi è stato davvero fatto, si è dato spazio e indiscussa credibilità ad una "concezione esorbitante" (D. Nicoli) della valutazione, all'idea cioè che basti ricorrere ad un qualsiasi sistema di valutazione per ottenere la qualità dei processi formativi. Dietro questo convincimento fermenta l'ideologia che fa dell'azione formativa un artefatto assimilabile ad un processo produttivo. Un processo che consentirebbe la trasformazione delle risorse in ingresso (input) in esiti finali (output), concepiti essenzialmente come perfomance suscettibili di osservazione e misurazione.

L'eterno sogno dell'assoluto controllo dei processi formativi e della razionalizzazione delle attività didattiche;l a ricorrente illusione tecnocratica di cancellare passioni, emozioni ed inconvenienti del faccia a faccia. Ma se è solubile il problema degli imput, è pura arroganza ritenere solubile quello degli output (D. Nicoli). Nell'azione formativa non è possibile l'eliminazione degli imprevisti e non è per nulla scientifico ridurla a ciò che è misurabile, come amano e presuppongono molti sistemi di valutazione.

Nell'insegnamento è impraticabile un rigoroso e stretto obbligo di risultato. "Non si può attendere che un insegnante istruisca un numero prescritto di alunni in tempi dati" (Ph. Perrenoud).

L'insegnamento è un lavoro ad alto contenuto tecnico-professionale, che per fortuna si deve avvalere di varie e significative dimensioni della personalità del docente. Non è solamente un affare di intelligenza e di competenza; è un lavoro sull'umanità delle persone e pertanto soggetto alla sconfessione dei fatti. Anche nelle migliori condizioni di apprendimento l'alunno può per vari motivi non essere in grado di rispettare il patto formativo con l'insegnante e la scuola e potrebbe anche ad una certa età decidere di non onorare l'impegno di ascoltare e di studiare.

L'autore dell'apprendimento è lo studente; l'insegnante crea le condizioni nelle quali lui POSSA E VOGLIA far proprio quanto propostogli. Sarebbe opportuno e giusto, quindi, prima di parlare di valutazione degli insegnanti, di valorizzazione del loro lavoro, che con rigorosa chiarezza fossero definiti per ogni qualsiasi pratica educativa sia i fattori di riuscita, sia i fattori di insuccesso e soprattutto fossero definite le regole del giuoco, che vanno rispettate.

Il lavoro dell'insegnante ha una dimensione giuridico-amministrativa che ne condiziona spazi e autonomia e si rende efficace solo in un consistente, costante lavoro collegiale: non è uno scandalo, pertanto, poter dire che il fallimento di un insegnante non appartiene solo a lui; c'è una parte, anche se non grande, che spetta ai colleghi e all'organizzazione complessiva della scuola. Lo stesso vale, beninteso, per il successo formativo.

Il lavoro dell'insegnante proprio perchè fondato su relazioni tra persone è piegato quotidianamente alle emergenze degli eventi ,da loro vissuti o subiti, che possono metterne in crisi la regolarità; l'insegnamento non si può fare in vitro, a prescindere dai problemi delle persone, se vuole mantenere la sua dimensione umana. Tra insegnanti e alunni c'è di mezzo l'istituzione in cui si realizza; c'è l'estrazione sociale dell'insegnante e dell'alunno; c'è la pressione della società; ci sono le diverse tipologie di personalità che interagiscono e confliggono. E' molto difficile ridurre la relazione educativa alla semplice e nitida esperienza dell'apprendimento.

Soggetto alla mutevolezza dei tempi e degli umori delle persone e agli accidenti dell'organizzazione in cui viene a collocarsi, l'insegnamento è per definizione una professione complessa e difficile, se non proprio impossibile come diceva Freud.

Nel sapere di un buon insegnante si fondono saperi teorici, saperi procedurali, saperi esperenziali, saperi sociali, saperi d'ambiente e sul suo lavoro, sulla trasformazione, cioè, del suo sapere in azione formativa non è facile, come sembra, esprimere un giudizio e tantomeno un giudizio al riparo di risentimenti personali.

Guy Le Boterf afferma che in modo prevalente due sono i giudizi che vengono formulati sull'azione di un qualsiasi professionista: il giudizio di efficacia e il giudizio di conformità. Nel primo si riconosce che l'attività è stata realizzata con competenza, perchè ha permesso di raggiungere i risultati previsti: si tratta di un giudizio, afferma lo studioso francese, che può essere formulato solo da persone capaci di verificare e di attestare che tutto sia andato in porto come previsto e dovuto. Nel secondo si riconosce che l'azione professionale è stata messa in opera soddisfacendo certi criteri di realizzazione. Si tratta di un giudizio che può essere formulato solo da esperti di quel particolare ambito professionale. Nel nostro caso da insegnanti e/o da uomini di scuola. Diciamo che non tutti si possono permettere il lusso di valutare il lavoro di un insegnante..

D'altra parte se i giudizi sugli insegnanti non sono di questo tipo, nella valutazione si rischia di giudicare la loro persona e non le loro prestazioni professionali.

Ma chi dovrebbe stabilire il merito degli insegnanti? Secondo quanto viene detto nei commi 127 e 129 dell'art.1 della legge 107 dovrebbero essere i membri del rinnovato Comitato di Valutazione, composto da tre docenti, di cui uno scelto dal Consiglio di Istituto, da due genitori nella scuola primaria o da un genitore e uno studente nelle superiori, da un componente esterno individuato dall'USR tra docenti, dirigenti tecnici e dal Dirigente Scolastico che lo presisede. Sul modo in cui verranno scelti i genitori e gli studenti non ci si può lavare le mani rifacendosi all'autonomia delle singole scuole. In una materia delicata e gravida di rischi come la valutazione del servizio sono necessarie regole serie, valide, universalmente apprezzate.

Alcuni problemi affiorano subito, a colpo d'occhio. La durata del Comitato di Valutazione è di tre anni, ma è molto difficile che durino tre anni i rappresentanti dei genitori e degli alunni, che preferibilmente dovrebbero essere maggiorenni per le responsabilità connesse alle decisioni che dovrebbero/potrebbero prendere.

I compiti del Comitato sono relativi alla valorizzazione della funzione docente, diciamo all'assegnazione del bonus; i motivi per assegnarlo non dovrebbero essere diversi da quelli presi in considerazione per giudicare l'idoneità di un docente all'insegnamento dopo l'anno di prova. In questo caso, però, sono esclusi (direi doverosamente) sia i genitori sia gli studenti.

A conferma dell'eccentricità delle nuove disposizioni viene detto, nel punto 5 del comma 129, che il Comitato di Valutazione nella sua composizione rinnovata provvede ai sensi dell'ancor valido art.448 del D.Lvo 297/94 a valutare il servizio di un docente, che per suoi motivi l'abbia richiesto, sulla base dei seguenti elementi di giudizio: qualità intellettuali, preparazione culturale e professionale, pubblicazioni, diligenza, comportamenti a scuola, efficacia dell'azione didattica ed educativa, sanzioni disciplinari, eventuali aggiornamenti, attività di sperimentazione, collaborazione con altri docenti e con gli organi collegiali," ogni altro elemento che valga a delineare le caratteristiche e le attitudini personali alla funzione docente". Il Comitato con i due genitori o con un genitore ed un alunno scelti a caso o non si sa come..

Chi dice valutazione, dice criteri di riferimento. I criteri per "valorizzare" gli insegnanti per i primi tre anni sono individuati dal Comitato di Valutazione. Solo successivamente dal Ministero emanerà proprie linee-guide, fatti tutti i dovuti incontri con le categorie interessate e letti tutti i report, formulati da chi ne ha avuto il compito. Se non è follia.. Meno male che si tratta, almeno fino ad oggi, di un bonus e che le scuole per questa ingegnosa operazione disporranno mediamente di pochi fondi!

I criteri dovrebbero essere desunti dal Comitato di Valutazione dalla qualità dell'insegnamento, nonchè dal successo formativo e scolastico degli studenti,dai risultati in relazione al potenziamento delle competenze, dalla innovazione didattica e metodologica, nonchè dalla collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione delle buone pratiche.

Il Comitato di Valutazione è un organo tecnico collegiale e pertanto può operare soltanto in presenza di tutti i suoi componenti; ragione per cui vanno previsti i sostituti per tutti i suoi componenti, nel caso che qualcuno si dovesse assentare. Se è un organo tecnico, però, dovrebbe essere composto solo da persone competenti, perchè tutti abbiano di diritto e di fatto pari dignità e pari capacità in ogni fase delle operazioni che sono tenuti a fare.

E' miserabile demagogia pensare che il lavoro dell'insegnante possa essere tecnicamente giudicato e addirittura premiato da componenti di un comitato, la cui unica qualità potrebbe essere quella di genitore o di alunno, anche se digiuni di qualsiasi rudimento docimologico.

Mettendo insieme tutte le norme che riguardano la valutazione si vede bene che il Ministero è riuscito a trovare il modo per fidelizzare una minoranza in ogni scuola, disposta alla qualunque cosa per intascare il bonus, ma non quello per allontanare le persone che danno scandalo o per la loro ignoranza o per la loro condotta.

prof. Raimondo Giunta








Postato il Venerdì, 23 ottobre 2015 ore 03:00:00 CEST di Nuccio Palumbo
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