Sono passati quasi
cinquant'anni ed ogni volta che si tenta una qualsiasi malversazione
della scuola c'è sempre un ministro o un sottosegretario che ci
annuncia di avere finalmente sradicato la malapianta del ' 68, causa
universale di tutti i guai di cui non si riesce venire a capo nella
scuola, in fabbrica, in famiglia, nella società.
Il '68 è stata la ribellione di massa dei giovani contro ogni forma di
autorità con cui si devono fare i conti, contro le regole imposte senza
alcuna ragione; è stato un urlo di gioia e di libertà giovanile
contro ogni logica che si nutre di divieti, che non vogliono essere
messi in discussione.
A partire da quell'anno stata messa in pista un'esigenza radicale
di libertà: vietato vietare. Se ne è avuta tanta paura, che ancora
assilla quanti hanno paura dei veri cambiamenti. Eppure se si pensa a
tutte le innovazioni di costume e dei rapporti umani che
distinguono l'attuale momento, si dovrebbe riservare a quella
generazione più di un gesto di gratitudine. E invece nemmeno a distanza
di tanto tempo si riesce ad essere sereni ed equi con chi ha voluto
toccare il cielo, ma di fatto ha perso in più di un fronte di
battaglia. In Italia è stata l'unica generazione che non ha preso il
potere, scavalcati da quelli che erano venuti prima e da quelli che
sono venuti dopo. Altrove le cose sono andate diversamente.
La convergenza, che si è venuta a creare, tra questa tempesta
libertaria e le frange radicali dei vecchi movimenti di sinistra,
ai tempi incui erano vivi i miti della rivoluzione armata, ha in parte
deviato e poi snaturato il significato e gli esiti di quegli anni. Una
responsabilità che ricade in parte cospicua su quanti che, per
età e posizione politica, non hanno saputo comprendere, guidare e
trasformare positivamente un'esplosione di vitalità di una generazione
che reclamava il proprio spazio in società. Si ricorda ancora
l'intervista di Luigi Longo su Rinascita, forse l'unico segnale di
apertura.
La deviazione della protesta verso la lotta armata, il terrorismo, la
violenza è stata conseguenza oltre che del settarismo proprio dei
movimenti politici nascenti anche del fatto che in quegli anni non
erano disponibili forme di espressione, di rappresentazione e di
comunicazione politiche diverse da quelle che sembravano vivissime ed
efficaci, anche se poi si vedrà che erano arrivate al loro
momento conclusivo: le molteplici versioni del marxismo, che ispiravano
le vicende e le lotte rivoluzionarie, quest'ultime operanti nel terzo
mondo e nel sud-est asiatico.
Un linguaggio in cui non credevano tanti che l'usavano e l'avevano
usato e che in mano ad una nuova generazione rivela ancora una certa
capacità di seduzione e di orientamento e che riesce ad imprimere
alle aspirazioni legittime e comprensibili dei ventenni un indirizzo
esclusivamente politico e una tensione conflittuale sul piano sociale,
che non accettava mediazioni.
La generazione del '68 negli stati occidentali è stata l'ultima ad
usare ampiamente il linguaggio della rivoluzione, ma anche a darle il
colpo finale per gli esiti che ne sono derivati.
Ma non le può essere addebitato a colpa. Le tradizioni, i linguaggi, le
forme simboliche i giovani li trovano, li modificano, li storpiano, ma
non li inventano. Cosa sarebbe successo se altra fosse stata la
tradizione, altro il linguaggio disponibile? Si dice che la storia non
si scrive con i se..
Si può, però, affermare che quella stagione ha lasciato un grande
patrimonio di aspirazioni, di progetti, di aspettative, di
sensibilità che andrebbe coscienziosamente storicizzato e valutato. E'
da lì che comincia la modernizzazione delle società occidentali.
Di quel ciclone impetuoso qualcosa puo' essere ripreso in
considerazione: si pensava in grande, si pensava collettivamente. Non
c'erano destini individuali, carriere, posti di comando, ma
un'aspirazione di solidarietà, di sicurezza, di fluidità sociale, di
tanta, tanta libertà, di partecipazione.
La diga di contenimento contro cui sono andati a sfasciarsi quel
movimento e quella generazione è stato in Italia il sistema politico,
le sue tradizioni politiche e culturali, i suoi equilibri, i suoi
rapporti interni ed esterni, il suo irrigidimento, da cui deriverà la
sua decomposizione. Laddove questo non si è verificato (Francia,
Germania gli stessi USA) si è avuto un processo di rinnovamento della
classe dirigente che ha consentito di avere uno sviluppo sicuro ed
equilibrato della società.
prof. Raimondo Giunta