Le parole
non hanno quasi mai un significato semplice, univoco: il loro contenuto
deriva dal contesto in cui sono inserite, vincolo che, violato, conduce
allo stravolgimento del senso delle comunicazioni.
Il DDL del governo, infrangendo tale principio, ha semplificato,
banalizzandolo, il problema educativo.
1 - Autonomia
delle istituzioni scolastiche
Carica di significato la scelta del riferimento legislativo: la legge
15 marzo 1997 n° 59 “conferisce al
governo la delega ad emanare, entro nove mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi”.
Si tratta di una norma superata, senza valore: il DPR 275/99 avrebbe
dovuto essere il fondamento del disegno di legge.
L’errato richiamo normativo ha un’inequivocabile valenza: respingere
l’idea di scuola veicolata dal decreto attuativo.
Il DDL del governo Renzi non affronta la complessità del problema
scolastico, rifiuta di considerare che la scuola è un sistema, rigetta
la disposizione “l’autonomia delle
istituzioni scolastiche si sostanzia nella progettazione e nella
realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione
mirati allo sviluppo della persona umana” e ripropone l’antico
modello fondato sull’insegnamento delle singole materie.
La superficialità caratterizza l’elaborazione governativa: il buon
padre di famiglia, prima di modificare l’esistente, ne studia il
comportamento, ne analizza l’evoluzione e capitalizza l’esperienza. In
altri termini: il governo avrebbe dovuto indagare sull’efficacia della
disposizione sull’autonomia e, se avesse letto i POF elaborati dalle
scuole, avrebbe costatato che la progettazione educativa, la
progettazione formativa, la progettazione dell’istruzione sono pratiche
sconosciute.
Il significato del DDL governativo è: torniamo al passato; validiamo
l’attività delle scuole che hanno sistematicamente eluso la legge.
2 – Il
dirigente scolastico
Il DDL ignora i dettami delle scienze dell’organizzazione, principi che
la vigente normativa ha fatto propri. Il problema educativo non è stato
studiato, non è stata riconosciuta la sua dimensione, responsabilità e
potere sono stati accentrati in un unico soggetto. E’ stato stravolto
l’art. 37 del decreto legislativo 150/2009 che “rafforza il principio di distinzione tra
le funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e
le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza”,
principio posto a fondamento dei decreti delegati del 74.
Affiora nuovamente la superficialità del DDL: se fossero stati presi in
considerazione gli ordini del giorno che i dirigenti scolastici hanno
stilato per convocare gli organismi collegiali sarebbe emersa la
sistematica elusione della legge. Un esproprio, la sterilizzazione
degli organi di governi che, sradicati dal loro terreno vitale, hanno
perduto incisività e, di conseguenza, la partecipazione è stata
scoraggiata.
Il significato del DDL governativo è: premiamo i presidi, diamo loro
più potere per ricompensarli della battaglia condotta per impedire
l’ammodernamento dell’istituzione.
3 – Merito
e premialità
Didattica e insegnamento sono i parametri indicati nel disegno di legge
che il dirigente scolastico utilizzerà per valutare i docenti. Anche in
questo caso la superficialità impera: la legge 53/2003 ha sostituito il
termine scuola con SISTEMA EDUCATIVO DI ISTRUZIONE E DI FORMAZIONE per
indicare i traguardi verso cui l’istituzione deve muovere.
La didattica e l’insegnamento assumono una propria significatività
solamente se i problemi formativi, i problemi educativi, i problemi
dell’istruzione sono stati affrontati e sono state prefigurate
strategie risolutive. La lettura dei POF avrebbe svelato la desolante
situazione in cui opera l’istituzione.
Il significato del DDL governativo è: torniamo al tempo delle note di
qualifica per affermare la supremazia dei dirigenti scolastici, per
incentivare la cieca obbedienza del docente.
Enrico Maranzana
zanarico@yahoo.it