Nei decenni
passati l'ascensore sociale ha fatto salire settori
importanti della società dal piano terra ai piani intermedi e talvolta
anche ai piani superiori dell'edificio sociale. Da molto tempo, però,
si trova in panne, perchè si è inceppato il motore che lo mandava
avanti:il sistema di istruzione, la capacità di creare lavoro, il
coraggio del rischio economico. Se dovesse tornare a funzionare, come
si spera, occorrerebbe procedere alla sopraelevazione e alla
ristrutturazione degli spazi esistenti per fare posto a quanti sono in
attesa di prenderlo.
Non si riesce a trovare il bandolo della matassa: coniugare sviluppo ed
equità, garanzie sociali e competizione sul mercato internazionale. Il
ciclo storico della redistribuzione delle risorse in funzione di
politiche di integrazione e di protezione sociale, iniziato nel secondo
dopoguerra e propiziato dalla divisione internazionale tra blocchi
politici contrapposti e da prassi neo o para colonialistiche con i
paesi detentori di ricchezze naturali,pare si sia definitivamente
concluso. Non ci sono risorse aggiuntive, nè si ha la forza con i gli
strumenti possibili di uno stato democratico di spostare quelle che ci
sono da un settore all'altro della società.
Pare anzi che questa sia l'ultima delle preoccupazioni dei governi,
anche di quelli che vogliono essere dichiarati di sinistra. Nelle
nazioni in crisi si è proceduto non solo allo smantellamento di alcuni
settori della spesa pubblica, ma anche a un programmato indebolimento
contrattuale dei lavoratori, che in Italia è diventato polverizzazione
dei diritti e delle tutele e impoverimento salariale.
L'esito non del tutto in previsto è stato quello di cacciarsi
nella stagnazione e di rinviare ad altro millennio la redistribuzione
delle risorse e delle opportunità. Questo genere di
politiche si è potuto fare e si puo' continuare a
fare per effetto dello svuotamento dei partiti e dei
sindacati, ridotti al silenzio, privati della facoltà di
partecipazione alle scelte di interesse nazionale e anche
incapaci di portare avanti battaglie di civiltà e di giustizia come
sono stati capaci di fare nel loro passato.
Si dovrebbe pensare con più onestà intellettuale al periodo in cui
tutele sindacali e partecipazione politica hanno consentito uno dei più
lunghi periodi di sviluppo economico e sociale della nazione. A suo
fondamento il mercato interno,che in genere non si regge con la
precarietà e con i bassi salari...
Il restringimento dello spazio pubblico, unito alla crisi di fiducia
nella politica e al crescere delle disuguaglianze, contrariamente a
quel che si dice rende più difficile il governo di una società, segnata
anche da fratture culturali, etniche e religiose.
Una società che non dà opportunità e speranze finisce per
sfilacciarsi,per corrodersi dentro, per lacerarsi in conflitti, per
incattivirsi, per involgarirsi; finisce per indebolire il senso di
appartenenza alla propria comunità e di entrare in un circolo che
proprio virtuoso non è e da cui sarà difficile uscire.
Le politiche di redistribuzione dello Stato Sociale non sono ripetibili
come nel passato e hanno bisogno di una rigorosa manutenzione, che
dovrebbe eliminare sprechi e parassitismi, ma non mettere in
crisi ampi settori della società o spingere verso la marginalità
sociale porzioni consistenti della popolazione, che una volta erano
tutelate.
Come si gestisce questa nuova fase? Nessuno ha le ricette pronte, anche
se non mancano soluzioni possibili, non facili e nemmeno indolori.
Occorrono chiarezza di impostazione, energia, studio,spirito di
sacrificio, buon esempio, coesione e consenso sociale: condizioni che
non si creano sbaraccando le oraganizzazioni sociali e i partiti,
irridendo alle opinioni altrui, imponendo soluzioni anche se non
ragionevoli, nè condivise. Cinismo e abilità non sostanziano la
responsabilità pubblica, nè tantomeno la capacità di governo: cose di
cui si ha un disperato bisogno.
La società dei due terzi, alla quale fa riferimento la politica di
tutti i governi di questa sciagurata Seconda Repubblica, continua a
imporre le sue scelte e le sue paure e condiziona l'attuale stato di
difficoltà, inasprendo i conflitti sociali e spingendo verso la
precarietà nuove e vecchie generazioni.
Da una parte la società degli inclusi e dei garantiti, con la sicurezza
dei propri patrimoni, delle proprie posizioni sociali e del proprio
futuro; sicuri i primi dei no che devono dire (alla mobilità
sociale,all'espansione dei diritti,alle garanzie sociali); dall'altra i
tanti abitanti del mondo della precarietà e della provvisorietà, che
vogliono integrarsi,salvarsi,ma discordi nei progetti nelle condizioni,
nelle aspettative e forse destinati alla sconfitta.
La prosecuzione di questo stato di cose comincia a richiedere prezzi
sociali esorbitanti e uscirne è un atto di responsabilità nei
confronti delle nuove generazioni.
Le istituzioni, i partiti, i sindacati, le organizzazioni della società
civile, le aziende, le scuole, le università, la chiesa si prendano la
propria parte di responsabilità. Non dovrebbe essere impossibile
pensare che si possa vivere più decentemente di come avvenga:
basterebbe che si rinunciasse a parte irrisoria delle proprie
convenienze. Ma per favore niente più slides e tweets.
Prof. Raimondo Giunta