L'alternanza
tra scuola e lavoro, modello su cui la Germania ha costruito il proprio
successo economico, in Italia stenta a decollare e gli ultimi numeri
testimoniano la "marginalità" a cui questo strumento per ora è
relegato. I dati, presentati a Lecco in occasione della seconda
giornata nazionale sul tema dell'alternanza, mostrano una crescita del
20% nel numero di studenti coinvolti, saliti a quota 227mila nell'anno
scolastico 2012-2013.
Crescita importante, che tuttavia non deve far dimenticare i livelli
storicamente bassi di utilizzo dello strumento, in grado oggi di
coinvolgere appena l'8,7% degli studenti italiani. L'alternanza, cioè
lo svolgimento di periodi formativi all'interno di aziende, è
realizzata nel 45,6% delle scuole secondarie ma all'interno di questo
campione lo squilibrio è evidente, con il 44,4% di istituti
professionali, il 34,2% di istituti tecnici, il 20% dei licei.
Come risultato, solo il 2,4% degli studenti liceali sperimenta
concretamente la vita dell'impresa durante il proprio percorso di
studio.
"C'è molto da fare - spiega il vice presidente per l'education di
Confindustria Ivan Lo Bello - perché noi oggi subiamo un deficit di
orientamento che provoca un forte disallineamento tra domanda e offerta
di lavoro. L'azienda ha una funzione formativa essenziale e noi
dobbiamo provare a cancellare l'idea, molto diffusa in Italia, che la
cultura tecnica sia di serie B. Il nostro sistema scolastico va
innovato".
Il monitoraggio annuale di Indire evidenzia un utilizzo ancora
residuale dello strumento, che al momento coinvolge in Italia 3177
istituti, con un impegno annuo limitato ad un centinaio di ore, (con
risultati peggiori al sud e primato negativo in Basilicata con appena
74 ore all'anno) decisamente poche per poter parlare di un vero e
proprio apprendimento all'interno dell'azienda.
"Eppure la strada è questa - aggiunge Giovanni Maggi, presidente di
Confindustria Lecco - perché l'obiettivo finale per noi è sempre e
comunque quello di trovare per i giovani un posto di lavoro: avvicinare
i giovani alle imprese significa offrire maggiori chance e magari non
costringerli ad emigrare". "In apparenza si tratta di cose semplici -
aggiunge Marco Campanari, presidente della Fondazione Badoni - che
tuttavia non si riescono a realizzare. Per noi si tratta di formazione
sul campo, che dovrebbe avere pari dignità rispetto alle ore di
lezione".
Altra difficoltà in Italia è quella di impostare un percorso che abbia
una sua continuità: il 51,1% dei programmi di alternanza scuola-lavoro
si sviluppa infatti nell'ambito di un percorso annuale, solo l'11,1%
abbraccia un triennio di studi.
Tra gli ostacoli principali allo sviluppo dello strumento vi è la
difficoltà delle scuole nel rivedere l'organizzazione degli orari,
fondamentale per prevedere l'uscita degli studenti e la loro presenza
in azienda: solo il 22,1% delle scuole lo fa, il restante 77,9% non
modifica nulla.
Luca Orlando
Ilsole24ore.com