Celebriamo la
Giornata della Memoria, come ogni anno, con la proiezione di film,
documentari, interviste, illustrazioni, mostre e tavole rotonde, per
spiegare ciò che non si può spiegare, per narrare l’inenarrabile, per
descrivere la vita nei campi di Auschwitz, Birkenau, Buchenwald,
Mauthausen, Dachau, nei tristi luoghi del dolore e del martirio che
danno terrore a noi "che viviamo sicuri, nelle nostre tiepide case". E
anche quest’anno vogliamo raccontare, in diretta dal passato, la vita
dei lager con la voce, viva e tremante, degli häftlinge, dei
testimoni-sopravvissuti, di chi ha visto, ai confini del mondo, la
bocca dell’inferno, l’abisso della ragione, il Gòlgota dell’uomo.
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it
Gentile Signora,
ho conosciuto il prof. Carmelo Salanitro a Mauthausen verso la metà di
Agosto del 44, io ero arrivato ai primi del mese, prima di allora ero
stato in carcere a Firenze, poi nel campo di Fossoli e, per qualche
giorno, in quello di Bolzano.
Come era l’uso per i nuovi arrivati, con i miei compagni fummo
assegnati ad un Blocco di quarantena, mi sembra il n° 21, devo spiegare
che il termine “quarantena” non va inteso in senso sanitario, si
trattava di alcune baracche, separate con un muro dal resto del campo,
dove si restava “depositati” per un periodo che poteva essere di un solo
giorno o molto più a lungo ( io, per esempio, ci restai per quasi u
mese). Dopo si passava, in casi piuttosto rari, a uno dei blocchi che
noi chiamavamo “liberi” perché i prigionieri potevano circolare “
liberamente” all’interno del campo, oppure, e avveniva sempre più
frequentemente, si era trasferiti in uno dei tanti campi, più piccoli o
meo piccoli, che dipendevano da Mauthausen e che erano sparsi in tutta
la regione. Le condizioni di vita erano più o meno le stesse del campo
principale come nei campi dipendenti.
Dopo circa una settimana dal nostro arrivo tutti i compagni arrivati
con me da Bolzano furono trasferiti a Gusen ( un campo dipendente), io
solo fui passato al Blocco 16, sempre di quarantena, dove ero il solo
prigioniero italiano, gli altri erano polacchi, russi ed ebrei polacchi.
Finalmente un giorno, direi tra il 15 e il 20 di agosto, arrivò nella
nostra baracca un piccolo gruppo di prigionieri francesi ed italiani
che venivano direttamente da Dachau ( un altro campo principale), tra
loro c’era il Prof. Salanitro con tre ex soldati italiani detenuti nel
carcere militare di Peschiera, che dopo l’8 settembre erano stati
deportati dai tedeschi a Dachau. Nei blocchi di quarantena si era
assegnati a vari lavori ma soltanto saltuariamente e si passava tutta
la giornata nello spazio antistante la nostra baracca, quindi eravamo
sempre insieme con Salanitro e i tre di Peschiera. Con il professore
diventammo subito amici, io avevo preso la maturità classica nel mese
di Maggio (in tempi di guerra l’anno scolastico era sempre più corto),
poco prima di essere arrestato e con lui ritrovavo un po’ del mio mondo
e probabilmente anche lui rivedeva in me gli allievi del suo Liceo e
con me ritrovava un po’ del suo “tempo perduto” .
Anche i “tre di Peschiera” erano molto uniti con Salanitro che
conoscevano già da Dachau, non so per quali reati fossero stati, a suo
tempo, condannati dai tribunali militari ma certo erano tre bravissimi
ragazzi, uno, se non ricordo male, si chiamava Giuseppe Giuffrida ed
era di Zafferana, degli altri, dopo tanti anni, non ricordo i nomi.
Ma soprattutto mi affascinava Salanitro per la sua forza morale e la
sua umanità, anche a uno studentello come me appariva evidente la sua
intelligenza e la sua profonda cultura, eppure era di una semplicità
che lo rendeva subito simpatico a tutti.
Mi raccontava del suo arresto, dovuto a delazione, dei pesanti
interrogatori subiti dalla polizia fascista, del lungo periodo
trascorso in carcere, della detenzione nel campo di Dachau dove, mi
diceva, si stava “abbastanza” meglio che a Mauthausen.
Mai l’ho sentito, non dico pentirsi, ma neanche mettere in dubbio di
avere fatto bene a fare quello che aveva fatto e che lo aveva condotto
in quell’inferno. Insomma passammo, in certo modo, dei giorni
piacevoli. Certo non era il circolo del golf… però va anche detto che
in quel periodo a Mauthausen non si stava malissimo, si soffriva la
fame, ma non si moriva di fame, faceva caldo, in quarantena si lavorava
poco o niente. Quindi il nostro consumo calorico era limitato… insomma
si poteva sopravvivere, anche Salanitro stava bene, era in buone
condizioni sia fisiche che morali ed era, come tutti, ottimista. Ben
diverse sarebbero state le nostre condizioni quando arrivò l’inverno e
dovevamo lavorare 12 ore al giorno con venti gradi sotto zero e con le
razioni ulteriormente ridotte.
Ma soprattutto era il nostro morale che era alto: la guerra andava
bene, ad est come ad ovest l’armata rossa e gli alleati erano vicini
alle frontiere tedesche e speravamo che come aveva fatto nella prima
guerra mondiale la Germania, piuttosto che subire l’invasione del suo
territorio, si sarebbe arresa. Così non fu, purtroppo, ma questa
speranza, che poi risultò vana, ci aiutava a sopravvivere e tutti
pensavamo che al più tardi a Natale saremmo stati a casa.
Dopo una decina di giorni di “questa dolce vita”, Salanitro e gli altri
tre amici furono trasferiti, con altri, in un campo dipendente, non
seppi quale. Ci abbracciamo affettuosamente e Salanitro mi dette il suo
indirizzo di Adrano, mi sembra Via Rocca Romana o qualcosa di simile.
Non li vidi più. Qualche giorno dopo fui trasferito in un altro campo,
quello di Linz 3, dove rimasi fino al 5 maggio 1945 quando fummo
liberati.
Nella pagina de “I vivi e i morti di Michele” trascritte nella raccolta
degli Atti del Convegno ho letto che Salanitro arrivò a Mauthausen nel
dicembre 44, posso precisare che, come ho raccontato, ci era stato già
nell’Agosto, questa discordanza di date si spiega bene col fatto che
erano frequenti i passaggi dal campo principale ai dipendenti e
viceversa.
E’ passato più di un mezzo secolo, ormai, ma il ricordo di quei giorni
è sempre vivo e incancellabile. Infatti, Primo Levi diceva che dai
campi di sterminio non si esce mai.
(Lettera di Francesco Messina,
deportato a Mauthausen, a Maria Salanitro Scavuzzo, nuora del martire
antifascista adranita, professore del Liceo "Mario Cutelli")