Pluralità dei
saperi, pluralità dei linguaggi, pluralità delle intelligenze: questo è
l'universo conoscitivo in cui si collocano le scuole del terzo
millennio.La forma scuola è costretta a rinnovarsi e a proporre un'idea
di educazione che non può essere più ritagliata su misura del
primato logico-linguistico o peggio ancora su una particolare figura di
studente, estratta dall'ambito sociale che sul possesso di un codice
linguistico ampio e ricco ha fondato e legittimato le proprie posizioni
sociali.
Bisogna chiedersi se l'istruzione ,così come è ancora
configurata, prepari gli studenti ad affrontare i problemi e le sfide
della società contemporanea; se li prepari a capire le trasformazioni
in atto e i riflessi che hanno sulla vita quotidiana; se gli fornisca
strumenti per una vita soddisfacente; se riesca a infondere rispetto
per le regole fondamentali della convivenza civile (N. Bottani).
La missione educativa della scuola, oggi, non è solo quella di
arricchire una persona di sempre più varie e complesse conoscenze,
ma anche quella di formare cittadini consapevoli dei propri
mezzi,in grado di orientarsi nelle molteplici vicende della vita,
capaci di affrontare l'incertezza e di sviluppare apposite strategie di
adattamento alla realtà.
L'intelligenza e la conoscenza non sono più gli unici attributi
strategici della persona e quindi non possono essere le uniche
finalità dell'attività formativa, come avveniva nel passato.
Per raggiungere questi obiettivi è necessario liberare del tempo
scolastico, occupato da un'infinità di argomenti, e impiegarlo per
esercitare gli studenti a mobilitare le proprie risorse cognitive
affrontando quei problemi che riescono a dar un senso al proprio
sapere. La giustificazione dell'esistenza delle istituzioni educative è
costituita dalla convinzione che i saperi acquisiti siano trasferibili
alle situazioni ,che un giovane dovrà affrontare nel mondo per il quale
si suppone che la scuola lo prepari.
Non si chiede con questo di voltare le spalle al sapere, ma di
riconciliare la scuola con il senso più nobile e umanistico del sapere:
aiutare l'uomo a pensare il mondo e ad agirvi con efficacia.
(Romainville)
Si dovrebbe voltare le spalle solo ai saperi utilizzati come
distinzione di classe e a quelli di cui non si sa per quali motivi li
si insegna.
In funzione di queste prospettive scaturiscono gli inviti ad
orientare il processo di insegnamento/apprendimento alla
formazione di competenze chiave o strategiche o trasversali,come dir si
voglia. E' un problema serio che solleva importanti questioni e
qualche difficoltà.
Il fatto che ogni disciplina abbia un proprio statuto epistemologico, a
volte irriducibile a quelli di altre discipline, dovrebbe fare
riflettere ed invitare ad un certo grado di prudenza nel cercare a
qualsiasi costo di individuare elementi transdisciplinari
nell'organizzazione del lavoro scolastico con la speranza di giungere
più facilmente all'acquisizione di competenze trasversali.
L'interdisciplinarietà ,come presupposto della trasversalità, non si
decreta. Scaturisce dai problemi che bisogna affrontare. "La
preoccupazione dello sviluppo delle competenze non ha niente a che
vedere con la dissoluzione delle discipline in una generica brodaglia
trasversale. (...) Il tutto trasversale non conduce più lontano del
tutto disciplinare"(PH. Perrenoud).
Uno pedagogista come B.Rey afferma: "Trovo vana e vanitosa la
pretesa di insegnare agli allievi a osservare, a comparare, a pensare,
a dedurre ad adottare delle strategie riflessive etc,etc,.Che essi
imparino, piuttosto, un po’ di matematica, un po' di letteratura, un
po’di storia, un po' di biologia, un po' di lingue straniere". Non hanno
torto: il vero conflitto non è tra conoscenze e competenze, ma tra
accumulazione delle conoscenze e capacità di servirsene.
Si cerca di passare dalla pedagogia del sapere e della conoscenza alla
pedagogia del saper fare e del sapere agire. Questo comporta spostare
l'attenzione dell'attività formativa dai contenuti alla persona, dal
sapere alla capacità di apprendere, dall'insegnamento
all'apprendimento. Le conoscenze e i saperi sono ancora i
fini, ma assumono rilievo come ambito e mezzi dell'azione
formativa.
Si sollecita un cambio di sguardo ,di prospettiva per fare della
persona la misura del sapere e per assegnare un senso
all'apprendimento, sperando in questo modo di formare un'umanità
più ricca di consapevolezza e di capacità.
E' una proposta bella e suggestiva, ma si corre qualche rischio
ed è difficile convincere e convincersi che non bisogna partire dal
sapere, ma dall'alunno e dalle sue esperienze per organizzare un
curriculum.
Per contrastare procedure didattiche che renderebbero inerti,
astratti e formali i saperi e le conoscenze ;per dare spazio alla
responsabilità e al protagonismo dell'alunno non è affatto
necessario che si debba ridimensionare il valore dei contenuti nei
processi formativi. Lo sviluppo e l'incoraggiamento di un atteggiamento
attivo dello studente a rigore implica un sovvertimento dei
metodi di insegnamento, delle procedure didattiche ,ma non
l'irrilevanza dei contenuti e dei saperi.
Per essere in grado di partecipare alla vita sociale ed esercitare i
diritti di cittadinanza bisogna prima partecipare alle grandi
tradizioni del sapere, fatto possibile se una persona viene istruita,
riesce a portarsi all'altezza delle conoscenze e dei saperi che è
necessario possedere. Nell'enciclopedia del sapere scolastico ci devono
essere contenuti che sono FINI e ci possono e debbono essere contenuti
che senza scandalo sono MEZZI per gli scopi e gli interessi che
di volta in volta devono essere presi in considerazione per rispondere
alle esigenze della società.
Ci si attende che la scuola prepari per l'avvenire ,ma ci si attende
anche che la scuola sia il luogo della trasmissione dei valori e
della cultura, delle tradizioni, della storia della società alla quale
appartiene. Questa duplice esigenza crea delle tensioni, che occorre
stabilizzare; le antinomie a scuola hanno una soluzione nella gestione
della complessità e non nella loro semplificazione. Cambiare
prospettiva, punto d'osservazione non deve significare indebolire
il ruolo e il significato dei saperi scolastici, come il ruolo degli
insegnanti nell'attività di formazione. Non se ne ricaverebbe alcuna
utilità.
La scuola è l'unico luogo dove è possibile trasmettere e fare
appropriare alle nuove generazioni le basi di una cultura comune,
unico fondamento per la convivenza e la cittadinanza. La cultura comune
non è data, però, da alcune discipline, ma da alcuni specifici
contenuti, da principi e valori storicamente determinati e condivisi e
non si riduce ad un insieme di competenze chiave.
La cultura comune deve consentire la costruzione dell'identità
individuale, così come la pluralità delle fonti che la costituicono
deve educare all'accettazione delle differenze. "Non si tratta di
abbracciare tutto ciò che è possibile sapere,ma di apprendere bene ciò
che non è consentito ignorare"(J.Ferry-1881).
Prof. Raimondo Giunta
(Dirigente scolastico in pensione)