È
positivo che il tema della “valutazione” sia tornato ad emergere nelle
ultime settimane, in alcune riflessioni di associazioni professionali
(anche se, su qualche aspetto, non se ne condividono le conclusioni) e
nelle considerazioni di soggetti istituzionali, come il commissario
Invalsi. Si tratta di un argomento da sempre caro all’Anp – che a più
riprese ne ha fatto oggetto di studi ed analisi ed anche di proposte –
ma sempre trascurato, quando non apertamente considerato come un tabù
per molti altri attori del sistema di istruzione.
Ancor più positivo è che qualcosa si cominci finalmente a fare in
concreto – sia pure in via sperimentale e fra mille resistenze – per
passare dalle parole ai fatti: dalle prove Invalsi alla sperimentazione
Vales allo schema di decreto sul sistema nazionale
di valutazione. Certo, tutto è perfettibile: ma il vecchio argomento
polemico secondo cui si può “fare di meglio” comincia ormai a mostrare
la corda. Migliorare si può, ma è bene farlo sulla base dell’esperienza
e non di astratte analisi “pregiudiziali”, che nella pratica servono
solo a rinviare sine die il momento della decisione.
Se mai, il rischio che noi intravvediamo è che possa accadere con la
valutazione quello che è accaduto in un recente passato con l’autonomia
delle scuole: avversata da tutti per lungo tempo, poi improvvisamente
“diventata di moda”, quando non era più possibile ignorarla. Ma sulla
quale tutti si dicono d’accordo a parole, salvo non metterla in
pratica.
Noi siamo convinti che nelle questioni complesse – e questa lo è –
occorre prima di tutto distinguere per capire. Cerchiamo quindi di
prendere in considerazione alcune delle criticità più frequentemente
richiamate.
- È vero che i test Invalsi sono soprattutto “misurazione” di
apprendimenti e non “valutazione”, nel senso pregiato del termine. E
tuttavia, nessuna valutazione può prescindere da una misurazione. Il
problema non è se il test Invalsi costituiscano (o sostituiscano) il
servizio nazionale di valutazione: è che – se non si fanno – si parla
del nulla. E dunque, perfettibili che siano, occorre farli: o comunque
non si può chiedere che non si facciano fin che non saranno perfetti.
Non lo saranno mai, se non sono costantemente effettuati, messi alla
prova e modificati per migliorarli.
- È vero che la “valutazione sommativa” non basta e che la “valutazione
formativa” è indispensabile: ma le due cose non sono in alternativa. La
valutazione formativa è il quotidiano della didattica ed accompagna
tutto il percorso: ma ci sono momenti di passaggio e scadenze in cui
occorre tirare delle conclusioni, sia pure provvisorie e superabili. La
contrapposizione fra “voti” e “giudizi” è un falso problema: fino a
quando si costruisce e si accompagna il percorso di crescita, il
giudizio è uno strumento più ricco e flessibile. Quando si tratta di
capire dove siamo arrivati (e di renderlo noto all’esterno), il voto (o
la misura quantitativa) ha il merito di essere molto più diretto ed
intellegibile.
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