Sono
un’insegnante di una scuola media, scrivo perché mi sento coinvolta nel
dibattito sul mondo della scuola sulle pagine del Corriere. In
particolare, facendo riferimento all’articolo di Elvira Serra
(Corriere, 2 dicembre), condivido la replica di Lucrezia Stellacci,
capo dipartimento Istruzione al Ministero, la quale pone attenzione
alle diverse categorie di insegnanti che operano nel mondo della
scuola: i “Missionari”, i “Professionisti” e quelle che si impegnano
“al minimo sindacale”. Dall’articolo emerge soprattutto il grande
assente nella scuola: “Il merito”. Come afferma la dott.ssa Stellacci:
“Non c’è valutazione dei docenti, non c’è carriera, non c’è controllo”
e, aggiungo io, non c’è meritocrazia verso gli insegnanti che,
nonostante lo scarso riconoscimento del loro lavoro da parte di alcuni
presidi della società civile e nonostante il non adeguato stipendio,
cercano di impegnarsi al massimo per rendere la scuola migliore. È così
difficile inserire obbligatoriamente una valutazione all’interno delle
scuole pubbliche da parte di persone competenti che valutino l’operato
degli insegnanti? Un paio di anni fa, ricordo che era passata una
circolare con la proposta di una valutazione dei docenti, ma la maggior
parte aveva risposto negativamente. Questo dovrebbe essere un obbligo,
non una libera scelta! Solo così si potrà veramente rendere applicabile
un sistema di valutazione degli insegnanti. Se fossimo in Germania o
nei Paesi in cui c’è un alto senso civico, il lavoro di ogni docente
potrebbe essere affidato semplicemente alla propria coscienza e questo
non metterebbe in pericolo la qualità del lavoro, dal momento che i
valori di onestà e rispetto sono sedimentati nella coscienza di quei
cittadini. Ma poiché siamo in Italia (noto come il paese dei “furbi”),
visto che la propria coscienza è “affidabile” solo in una piccola parte
della popolazione, bisognerebbe, se s i vuole rendere migliore la
nostra scuola, avere maggior controllo sull’operato degli insegnanti.
Colgo l’occasione per estendere questo principio non solo al mondo
scolastico, ma a tutti i lavori statali. Vorrei che quando si parli di
lavoro nel settore del pubblico, venissero alla mente parole come:
professionalità, efficienza, entusiasmo, voglia di migliorare lo Stato
per il quale lavoriamo. Invece, oggi, il lavoro pubblico è sinonimo di
appiattimento, burocrazia, vecchio: ha odore di muffa. Quanti anni o
decenni dovremo attendere prima i poter dire che il sistema scolastico
italiano è uno dei migliori d’Europa?
Valeria
Belloni (Interventi & Repliche, Corriere della Sera)