Gli Italiani? Siamo
maestri in tante cose, ma in una in particolare non temiamo
rivali: nella pratica della menzogna cortese e nell’arte della
adulazione. Naturalmente, ci vuole molto "garbo" per rendere gradevoli
codeste due "virtù" ai fini di una convivenza umana che appaia
decorosa e piacevole!
E’, infatti, il garbo, se giustamente dosato, capace di mantenere ogni
cosa entro i limiti della credibilità e del buon gusto e di fare
accettare quello che altrimenti sarebbe, forse, inaccettabile. Con
garbo si possono far digerire tante cose che altrimenti sarebbero
disgustose e rivoltanti al palato e allo stomaco; si possono far
passare per note armoniose anche le dissonanze più stridenti.
Ma, ci si chiede: che cos’è in concreto il garbo? Quando possiamo dire
che una persona è "garbata"? Come definire la qualità peculiare di
codesta virtù che, per tanti aspetti, bisogna riconoscerlo, risulta
essere un po' "machiavellica"?
Garbo, in verità, è parola che non trova facile corrispettiva
traduzione adeguata in altre lingue. Essa è parola "tota nostra";
è una forma di galateo in codice di comportamenti che sono -
direi - consustanziali solo al nostro modo di essere italiani
"colti". Perché è proprio col nostro "garbo" che, spesso, riusciamo,
talora, a fare fessi il nostro prossimo, e, per giunta, ce lo
ingraziamo.
Nel 1966, Luigi Barzini a proposito di questa parola, nel
suo libro intitolato Gli Italiani, edito da Mondadori, scriveva:
"Garbo è, per esempio, la cauta circospezione
con la quale si muta lentamente la propria fede politica allorché la
situazione rasenta la pericolosità; è il tatto con il quale notizie
spiacevoli vanno decentemente comunicate; è la grazia con la quale il sarto taglia
una giacca, affinché aduli le linee del corpo; è la comprensiva cautela con la quale si pone termine
a relazioni amorose ormai agonizzanti; è l’abilità con la quale un
prefetto riporta gradualmente l’ordine in una provincia ribelle
senza causare risentimenti. Senza garbo e il senso della misura, un travolgente discorso
patriottico, un’ardente dichiarazione d’amore diverrebbe
irritante, un edificio dalle complesse decorazioni sarebbe odioso, una
fiorita composizione musicale sarebbe insopportabile”. A riflettere,
nulla di nuovo sotto il sole. Il garbo altro non essendo che una
variante della dissimulazione onesta.
Nel 1641 Torquato Accetto dava alla luce il saggio Della dissimulazione onesta, nel cui
preambolo specificava che la dissimulazione - a differenza della
simulazione, che egli decisamente rifiuta - non è che "un velo composto
di tenebre oneste e di rispetti violenti, da che non si forma il falso,
ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo al tempo". La
dissimulazione è arte difficile da esercitare, perché richiede il
dominio delle passioni, una vasta e profonda esperienza di uomini e
cose, e, poi, anche una notevole capacità di sapersi adeguare con
"garbo" alle circostanze; "ancorché si senta non poco
dolore quando si tace quello che si vorrebbe dire o si lascia di
fare quanto vien rappresentato dall’affetto, nondimeno
piace poi grandemente d’aver usata sobrietà di parole e di fatti".
A rifletterci, nulla di nuovo sotto il sole. Il garbo altro non è che
una variante dell’accettiana dissimulazione onesta, una regola di buon
vivere, qualcosa di simile al comportamento "legiferato nel
Galateo del Della Casa: una scienza amabile che spesso si offre
come schermo della verità che, se detta, potrebbe far male.
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com