Non mi riferisco
ad un segno zodiacale, da credente non “credo” ai segni dello zodiaco,
in quanto è scritto che l’uomo deve rivolgersi al Creatore e non andare
dietro ad atti divinatori, magici, che non portano a nulla, anzi
deviano ancor di più la mente dell’uomo. Comunque, voglio fare
una “similitudine” tra l’ottima arte del pittore norvegese, Edvard
Munch (1863 – 1944), massimo esponente della generazione “simbolista”,
che dopo lunghe permanenze in Francia, Italia, Germania, rientrò
definitivamente in Norvegia dopo essere stato colpito da una crisi
nervosa, dopo la quale la sua pittura subì una profonda “mutazione”. Il
“programma” di Munch consisteva nell’esigenza simbolista di elevare al
“livello della sacralità” lo spettacolo delle vicende quotidiane. Nei
dipinti di Munch vi è un misto tra misticismo ed erotismo. Nel
“simbolismo” di Munch è presente il “pathos” e vi sono tre componenti
nelle sue opere: la preoccupazione sociale, l’erotismo, il misticismo.
Volendo fare un “excursus” sulla preoccupazione sociale, nel famoso
quadro l’“urlo” (grido) di Munch (1895), considerato come l’esempio
tipico, si possono individuare, almeno, tre caratteristiche: la linea
ondulata, i colori piatti ed irreali, il “pathos” esasperato.
Nel “pathos” vi è lo sguardo spento ed il “grido” strozzato e
rantolante. Sia lo sguardo che il “grido” esprimono una profonda
angoscia, un tremendo disagio, una “disperata” disperazione.
L’Artista norvegese si servì graficamente di forme simili ad onde per
suggerire (ecco la similitudine) l’idea dell’urlo (del grido), a
differenza dei poeti che, per suggerire effetti analoghi, usano la
tecnica della “onomatopea” (parole che col loro suono evocano
l’immagine).
Ed ecco il “simbolismo” di Munch, ecco i suoi segni, ed ecco il “segno
dell’urlo di Munch”, quello sguardo spento nel vuoto, quel grido
angosciato. Non ci “fa vedere” il periodo che stiamo attraversando ?
In questi tempi vi è una profonda preoccupazione sociale, c’è bisogno
di sicurezza che si traduce anche in un bisogno di legalità.
Una nota sindacalista, in questi giorni, ha dichiarato: “Occorre ridare
speranza, altrimenti il disagio si trasforma in disperazione”.
Disagio, cioè mancanza di benessere psichico, sociale, morale;
necessità di avere sicurezza individuale e collettiva.
Quando il disagio esplode nella sua massima forma, diventa
disadattamento, cioè, incapacità di un soggetto ad inserirsi (o
reinserirsi) nella realtà sociale. Ecco “l’urlo di Munch”.
Assistiamo ogni giorno a grandi instabilità sociali ed economiche, ad
azioni terroristiche (vedi l’azione vigliacca di Brindisi) dove le
“bestie” hanno colpito a morte una ragazza innocente, la piccola
Melissa, e agiscono nell’ombra in cui stiamo “annaspando”.
Uomini-bestie che non hanno rispetto nemmeno per i ragazzi che vanno a
scuola.
Non ci sono più “valori”, non c’è più rispetto per la vita propria
(vedi la catena di suicidi), né per quella degli altri, si ammazza e ci
si ammazza anche per delle “futilità”.
L’Urlo di Munch ci vuole dire (ci dice): “Quanto siamo caduti in
basso!”.
Io penso che, oltre al giusto bisogno di sicurezza sociale, individuale
ed economica, ci sia anche l’esigenza di “recuperare” l’armonia
interiore, perché oltre al disagio esteriore che si esprime nel
rapporto con gli altri (famiglia, luogo di lavoro, comunità), c’è il
disagio che colpisce l’interiorità dell’uomo e che si esprime nello
sguardo spento e nell’urlo di Munch. Ma – fatemelo dire – è scritto nel
Libro del Profeta Geremia (Cap. 30, versetti 1-11): “Grido di terrore; di spavento; non di pace;
gli uomini stanno disperati con le mani ai fianchi come donna che
partorisce; tutte le facce sono diventate pallide. Ma Dio spezza il
giogo e rompe le catene. Egli è col Suo popolo per salvarlo”.
Occorre, quindi, innanzitutto, trovare pace in noi stessi, le
difficoltà sociali, ambientali ed economiche, passano e possono essere
combattute se abbiamo la “forza d’animo” di non essere “turbati” nel
profondo del cuore; possiamo sconfiggere il grido di terrore e di
spavento solo se troviamo “la pace interiore” per trasmetterla anche
agli altri, e questa pace la possiamo trovare se “afferriamo la
speranza”, quella che ci viene “dall’Alto”, da Dio Nostro Salvatore e
da Gesù Cristo Nostra Speranza.
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it