Nel
tentativo indispensabile di comprendere cosa vi sia dietro lo sguardo
attento o addormentato del proprio alunno, un insegnante
necessariamente giunge a conoscere cosa sia la vita personale
dell’allievo, quali siano i suoi rapporti con i genitori e dei genitori
tra di loro. Quali siano le sofferenze, le difficoltà materiali o
psicologiche che il giovane deve superare per essere davvero “presente”
alle lezioni. E’ un mondo non facile quello che traspare: a parte le
morti (sono tante, purtroppo), di uno dei genitori nel corso dell’anno
scolastico, influiscono sull’allievo le separazioni, legali o meno, i
litigi, i problemi economici e persino la facilità con cui alcuni di
loro vengono “sovvenzionati” dalle famiglie, nel tentativo, troppo
spesso infruttuoso, di sopperire col denaro alla carenza di tempo da
dedicare al figlio. Dire “No”, come spesso tento di far comprendere ai
miei allievi, è più difficile di dire “sì”. Per il “no” occorrono
tenacia, spiegazioni convincenti, un rapporto duraturo di reciproca
stima. Dicendo “Sì” il giovane è già lontano e non disturba (lo farà in
seguito più gravemente). La “famiglia”, oggi, è troppo spesso in crisi,
la madre, in corsa contro il tempo e persa tra mille impegni di lavoro,
di routine, di tempo libero, non è “mai” dove dovrebbe essere: se
lavora, si sente in colpa inconsciamente perché non è a casa. Se è a
casa, pensa ai suoi obblighi lavorativi ed ai suoi problemi, che siano
di relazione, economici, di crescita culturale. Il padre appare spesso
chiamato a sopperire, in un ruolo cui non ha ancora fatto l’abitudine
ed a cui geneticamente è tuttora impreparato. In questo universo
sociale, dal Rapporto annuale dell'Istat sulla situazione del Paese nel
2009, emerge che ci troviamo di fronte a pochissimi laureati, modeste
performance scolastiche, e una fascia di giovani dai 15 ai 29 anni che
per il 21,2% sono fuori dal circuito formazione-lavoro, ossia non
lavorano, non versano contributi, non vanno via di casa, non fanno
nulla (Neet, not in education, employment or training). I Neet nel 2009
erano oltre due milioni. Ho vissuto per una terza laurea
magistrale a Fisciano (SA), a fianco a fianco con gli stessi ragazzi
che mi trovavo ad educare a scuola. Ho potuto costatare che inviamo a
superare i test universitari alunni impreparati. Molti parlano male
l’Italiano, scrivono peggio. Ho vissuto tanti esami di stato ed alla
prova di matematica si salvano in pochi. I dati campione delle prove
Invalsi evidenziano differenze indicative tra il Centro-nord ed il Sud
del Paese sia in matematica sia in italiano: gli allievi del
Centro-nord conseguono risultati significativamente più elevati
rispetto a quelli del Sud. Noi insegnanti stiamo vivendo una stagione
negativa. La stampa ci denigra facilmente, sollecitando l’attenzione su
ogni caso singolo d’inadeguatezza personale, evidenziando una presunta
facilità lavorativa in confronto agli stipendi per quanto riguarda gli
orari. In realtà gli orari di lezione italiani si discostano di poco da
quelli europei e bisogna fare attenzione alle diverse scansioni dei
cicli: nella maggioranza dei paesi europei per scuola secondaria
superiore s’intendono solo gli ultimi due o tre anni della secondaria,
mentre da noi s’intendono gli ultimi cinque. L’impegno degli insegnanti
anche nei periodi di vacanza degli alunni registra che in nove casi su
quindici le settimane di lavoro si assimilano con quelle di scuola o le
sorpassano di una sola settimana, giusto il tempo per fare gli
scrutini, o per preparare la riapertura delle scuole, l'accoglienza
ecc. In Finlandia, parrebbe come ci fossero due orari, uno
"industriale" ufficiale e uno "scolastico " reale, mentre per Grecia e
Spagna, le settimane di lavoro oltre l'orario scolastico arrivano a
quattro. Gli stipendi dei docenti italiani, sono tra i più modesti in
Europa, lo conferma la rete «Eurydice» con uno studio aggiornato al
2010, dal titolo “Teachers and School Heads Salaries and Allowances in
Europe”. Un docente italiano della scuola secondaria superiore guadagna
da un minimo di 24.669 euro, per arrivare ad un massimo di 38.745 annui
lordi. I maestri d’infanzia ad inizio attività percepiscono appena
22.903 euro e dopo 35 anni di servizio non superano i 33.740 euro.
Facendo il parallelo con i Paesi più «vicini» il gap è sensibile: i
docenti dello stato del Lussemburgo possono arrivare a guadagnare anche
125.671 euro; in Austria si passa da un minimo di 38.182, per i maestri
d’infanzia, ad un massimo di 72.065 alle superiori; in Belgio si va da
un minimo di 31. 358 euro dei maestri d’infanzia fino a 72.323, sempre
per un docente di scuola secondaria superiore; un insegnante tedesco di
liceo guadagna almeno 45.412 euro e a fine carriera arriva a 63.985
euro. Inoltre in Italia ci hanno bloccato contratti e scatti
stipendiali. Bene. Dato uno sguardo a lavoro, stipendi e risultati, non
sembri strano che gli insegnanti, oggi, si sentano avviliti,
specialmente tenuto presente che la famiglia (mamma o papà che si
presenta gli incontri scuola-famiglia), appare costantemente pronta a
ricordare ai docenti e al mondo intero i diritti dei propri figli ma
non sempre disponibile a sviluppare nei figli l’educazione ai doveri
verso se stessi e verso gli altri. Genitori di figli poco scolarizzati
e poco studiosi sono tenacemente compresi nel difendere le proprie
ragioni; se si contesta al figlio la poca voglia di studiare,
rispondono con un categorico: “Io lo vedo che studia!”, se gli si
mostrano i voti sul registro, o la totale o parziale assenza di questi
rispondono con “lui dice che ha studiato”- “l’ho visto studiare con
Gianpaolo”, oppure Francesco, Mario o altri compagni di scuola. Un
brutto voto in pagella non mette in discussione l’allievo, ma
l’insegnante: non sa insegnare, non è giusto nelle valutazioni,
pretende troppo dagli allievi, non si accontenta, non conosce bene la
materia, oppure la conosce ma non la spiega, è troppo avanti nel
programma… Risultato? Appare un “buon insegnante” colui che, alla
faccia del diritto e del dovere, premia con un sei il “ciuccetto” della
classe o più di uno e “se ne frega”. Dopo tutto, che vadano pure
avanti, qualcun altro li boccerà, se non la vita. L’insegnante “severo”
è posto sotto accusa spesso anche dal preside: gli arrivano letterine
dagli allievi e/o dai genitori e lui chiede ragione al prof di turno
sui perché di quelle proteste. La colpa? E’ di base del prof, che deve
spiegarsi e piegarsi. In questo marasma socio economico, invece,
occorre più di mai un dialogo sereno e proficuo tra tutte le componenti
della vita scolastica; di sinergia negli interventi educativi affinché
ciò che tenta di mettere in piedi l’insegnante non venga «smontato» da
un affettuoso genitore che dice al figlio “non pensarci, hai ragione
tu, ci pensa mammà”. Occorre, come ricorda Rousseau di «…perdere tempo
in educazione per guadagnar tempo», e, per pensare ad una scuola ricca
di proposte formative raccordate con gli effettivi bisogni degli alunni
e delle alunne, è sempre necessaria la sinergia con le famiglie e con
il territorio. I genitori devono “difendere” la scuola, “difendere” gli
insegnanti, coerentemente con un percorso scolastico che si attesti
sempre più quale luogo d’incontro per affrontare insieme la complessità
del nostro tempo. I figli hanno bisogno di “genitori”, non di “amici
equivoci”. D’insegnanti additati dai genitori come degni di rispetto e
stima, non come nemici comuni da abbattere. I ragazzi hanno bisogno di
adulti (genitori e insegnanti), che sappiano ascoltare e comprendere ma
anche stabilire delle regole, in altri termini dire “no”, quando
occorre e mostrare ai ragazzi le loro difficoltà e la strada per
migliorarsi attraverso l’impegno. Parola difficile. Troppo facile
aiutarli a nascondersi dietro un’evidenza di vita che porta avanti il
“raccomandato”, il “figlio di papà”, il giovane partecipante ai vari
reality, il calciatore miliardario. A noi insegnanti spetta di
verificare e porre in essere tutti gli aspetti della personalità
dell’alunno (cognitivi, emotivi, affettivi, relazionali), di offrire
risposte e possibili scelte alle richieste di aiuto degli alunni. Tocca
anche di tenere desta la loro attenzione con tutti i mezzi idonei,
ricordando la necessità di rinnovarci concretamente, a tutti i livelli,
ma ai genitori spetta l’obbligo di mostrarci (come categoria, se non
come singolo), quali elementi preposti all’educazione giovanile, degni
di rispetto e di stima.
Altrimenti le nostre parole saranno sempre vane. Insomma, genitori: lasciateci educare. E’
il nostro mestiere.
Bianca Fasano
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