Maria Grazia
Colombo, lei è presidente della dell’Associazione genitori scuole
cattoliche (Agesc). Il Papa chiede di investire sull’educazione, ma, in
una fase di tagli alla spesa la scuola pubblica non statale è un
«lusso» o una risorsa per lo Stato?
«La scuola non statale o paritaria. E’stata riconosciuta dalla legge
firmata nel 2000 da Berlinguer che ha istituito il sistema nazionale
unitario di istruzione, composto da scuola statale e paritaria. Sia
l’una che l’altra sono da considerarsi pubbliche, in quanto svolgono un
servizio a favore di tutti i cittadini. La scuola paritaria è una
risorsa per lo Stato, perché in essa si attua l’autonomia responsabile,
cioè la possibilità di optare per le formule organizzative più
adeguate. Cioò manca nel sistema scolastico statale poiché non è ancora
stata attuata la legge sull’autonomia scolastica del 1997. Sotto il
profilo dell’organizzazione, il modello scolastico delle paritarie è
interessante per l’intero sistema nazionale dell’istruzione in quanto
razionalizza dle risorse».
In che modo? «A partire da un piano di offerta formativa
condiviso da tutti i soggetti della comunità scolastica. Mi riferisco a
insegnanti, studenti e genitori. Proprio in questo momento di crisi
economica, il sistema paritario costituisce un elemento di novità.
Nonostante ciò, veniamo penalizzati. Per ogni allievo della scuola
statale dell’infanzia lo Stato spende ogni anno 6.116 euro, contro i
584 per allievo che frequenta la scuola paritaria. Nella primaria
(elementari) lo scarto è di 7.366 euro contro 866, nella secondaria di
primo grado di 7.688 euro contro 106, nella secondaria di secondo grado
di 8.108 euro contro 51 euro».
Quanto risparmia lo Stato?
«Queste differenze, tra spesa per alunno che frequenta la scuola
statale e alunno della paritaria, generano per lo Stato un risparmio
sulla spesa complessiva destinata alla scuola di 6.245 milioni di euro
all’anno, di cui 3.436 nella scuola dell’infanzia, 1.202 nella primaria
(elementare), 496 nella secondaria di primo grado (medie inferiori) e
1.110 nella secondaria di secondo grado. E’ evidente che il
mantenimento e lo sviluppo del sistema paritario risulta una voce a
favore dello Stato, in quanto attua un vero e proprio sistema
sussidiario all’incontrario. Mediamente dal 2002 il capitolo di spesa
per la scuola paritaria è stato fra i 520 e i 530 milioni di euro
(tranne per il 2011 dove si è fermato a 497 milioni), di cui 355 circa
per l’infanzia, 160 per le primarie (elementari), 6,9 per le secondarie
(medie e superiori), 10 milioni come integrazione per alunni portatori
di handicap, 4,5 milioni assegnati dalla direttiva annuale attuativa
della Legge 440 del 1997».
E per il 2012?
«La previsione è di 523 milioni. Gli alunni delle scuole paritarie sono
pari al 12,1% della popolazione scolastica (in crescita nel 2010 sul
2009 dell1,3%), ma incidono sul bilancio del ministero dell’istruzione
in ragione dell’1,2%. Il disequilibrio nella ripartizione delle risorse
è evidente. Noi siamo favorevoli al “buono scuola” anche se aperti ad
altre forme di finanziamento, come la detrazione d’imposta.Ma oggi il
punto fondamentale per noi è quello di ottenere uno strumento di
finanziamento certo, sia per garantire lo sviluppo della scuola
paritaria sia per assicurare una condizione di equità reale tra
genitori di alunni della scuola statale e quelli della paritaria,
questi ultimi allo stesso modo cittadini come i primi».
Cosa danno le scuole cattoliche in più rispetto a quelle statali?
«Non si tratta di contrapporre le due esperienze educative, anche se
differenti.La ricchezza del sistema nazionale di istruzione è data oggi
dalla diversificazione dell’offerta formativa. E’ necessario,
piuttosto, rimettere al centro e discutere i contenuti. Mi riferisco
principalmente alla modalità in cui nel mondo scolastico si vivono le
relazioni tra insegnanti, studenti e genitori, che allo stesso titolo
formano la comunità scolastica. Occorre ritornare a fare dialogare le
parti sgombrando il campo da ogni posizione ideologica e cercando di
lavorare insieme, ognuno all’interno del proprio ruolo, per una scuola
veramente aperta alla realtà. E l’articolo 33 dell Costituzione afferma
che “la legge deve assicurare piena libertà alle scuole non statali che
chiedono la parità, e ai loro alunni un trattamento scolastico
equipollente a quello degli alunni della scuola statale”.
Livia Turco(Pd),qual è la
priorità per l’istruzione?
«Ora lo Stato deve investire nella scuola pubblica. La priorità
assoluta è risollevare l’istruzione pubblica, gravemente impoverita da
un’epoca di tagli indiscriminati. C’è da recuperare il terreno perduto
nel recente passato».
E le scuole private?
«Bisogna valutare caso per caso quali svolgano effettivamente un
servizio pubblico. E cioè va verificato se le scuole private rispettino
standard e criteri di qualità e interloquiscano con le istituzioni. La
Costituzione affianca all’indispensabile sistema scolastico statale il
diritto a istituire scuole private senza oneri per lo Stato.
Sono una risorsa o un lusso?
«Nell’istruzione come nella sanità va superata la contrapposizione
pubblico-privato. C’è un privato religioso che di fatto svolge una
funzione pubblica. Alle materne mio figlio ha frequentato un istituto
cattolico, quindi conosco personalmente queste realtà. Fa bene il Papa
a richiamare il valore dell’educazione».
Perché lo Stato deve investire nella scuola pubblica?
«Soprattutto nella scuola di primo grado, il ruolo dell’istruzione
pubblica è fondamentale. Lo Stato deve garantire alle giovani
generazioni pari opportunità nella formazione. Ed è qui che va inserito
un percorso educativo anche sulle religioni. Viviamo in una società
multireligiosa, perciò non ha più senso l’esonero dall’ora di religione
come quando in classe si insegnava solo il cattolicesimo. Una sana
laicità valorizza nella dimensione pubblica la religione e non la
confina nella sfera privata. La globalizzazione ha cambiato la società
e in Italia non c’è più una sola fede».
L’educazione è un antidoto alla povertà?
«Sì.In Italia, a differenza del resto dell’Europa, la povertà riguarda
in modo particolare i minori. Secondo l’Istat, gli individui con meno
di 18 anni che vivono in famiglie relativamente povere sono 1 milione e
728 mila (il 17,1 per cento). Il 72% dei minori poveri vive nel
Mezzogiorno, dove risiede il 40% o del totale dei minori; al contrario,
nel nord dove risiede il 42% dei minori, vive appena il 16,5 per cento
dei minori poveri. Lo Stato deve garantire in maniera uniforme su tutto
il territorio nazionale un’istruzione adeguata e in linea con i
parametri europei».
C’è il rischio di un’istruzione di serie b?
«Sì. Particolarmente critica e in peggioramento nel corso degli anni è
la situazione delle famiglie con tre o più minori,che sono povere nel
30,2% dei casi. Sono necessari interventi per contrastare le povertà
minorile e bloccare la trasmissione della povertà da una generazione
all’altra attraverso un adeguato sostegno al reddito delle famiglie e
lo sviluppo di una rete di servizi socio-educativi per la prima
infanzia. Proprio perché le risorse sono limitate, occorre
prioritariamente investire nella scuola pubblica. Il ruolo
dell’istruzione nella formazione dei giovani è così importante da non
consentire ulteriori errori»(da http://www.lastampa.it)
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