Il
questionario della Commissione Europea, che vuole vederci chiaro sugli
effetti delle riforme promesse come elemento dello sviluppo, tocca il
nervo scoperto del sostanziale fallimento delle nuove regole sulla
pubblica amministrazione, sbandierate come una panacea. Il governo in questi anni non ha fatto
altro che parlare di scarsa produttività dell'amministrazione pubblica,
di costo troppo elevato dei dipendenti e del loro numero eccessivo. In
Europa, per coerenza, si aspettano concrete riduzioni di questi
indicatori. Come spiegare ora che era
solo propaganda?
Il questionario della
Commissione Europea per vederci chiaro sugli effetti delle riforme
promesse come elemento dello sviluppo, tocca il nervo scoperto del
sostanziale fallimento delle nuove regole sulla pubblica
amministrazione, sbandierate come una panacea.
COME SI VALORIZZANO GLI
INSEGNANTI?
La prima domanda che mette a nudo incertezze e contraddizioni
delle riforme e degli impegni dell’Italia è quella contenuta al punto
14, ove si chiede “Come intende il
governo valorizzare il ruolo degli insegnanti nelle singole scuole?
Quale tipo di incentivo il governo intende varare?”.
È una domanda molto pertinente. Sin dall’approvazione della manovra
estiva 2008 (legge 133/2008) la scuola è stata oggetto di fortissimi
tagli alle risorse e al personale. Si
era affermato che la riduzione del personale avrebbe consentito di
retribuire meglio i docenti rimasti, valorizzandoli.
Le cose non stavano così. Già all’epoca era vigente una disposizione
secondo la quale per effetto della riduzione del personale in servizio,
debbono simmetricamente ridursi le risorse contrattuali.
Successivamente, con la manovra estiva 2010 sono stati congelati i
trattamenti economici dei dipendenti pubblici e i fondi per la
contrattazione non potranno essere superiori al tetto del 2010.
Inoltre, si è rafforzato ulteriormente il dovere di ridurre i fondi, al
diminuire del personale.
Lecito, dunque, chiedersi come possano
essere valorizzati e incentivati gli insegnanti (ma, c’è da aggiungere,
tutti i dipendenti pubblici), se la contrattazione collettiva, unica
fonte titolata a decidere le retribuzioni, è bloccata fino al 31
dicembre 2014.
CHE FINE HA FATTO LA CIVIT?
Al punto 31, i commissari europei chiedono: “Quando sarà pienamente
operativa la Commissione per la valutazione, la trasparenza e
l’integrità della pubblica amministrazione? Di che cosa sarà incaricata
esattamente tale Commissione?”. Si riferiscono alla Civit, la
commissione introdotta dalla riforma Brunetta per vigilare sugli
organismi di valutazione delle amministrazioni pubbliche, fornire
strumenti concreti per la valutazione, fissare standard di produttività.
Si sono accorti evidentemente anche a Bruxelles che la Civit ha subito
nella sua breve vita due rilevanti defezioni e che, oltre a produrre
pareri contraddittori e qualche generalissima indicazione sugli
strumenti di valutazione irta di inglesismi (fomentando il sospetto che
si sia trattato del riutilizzo di ricerche universitarie di carattere
genericamente riferito alla produttività nelle aziende e non nella Pa)
la Civit ha prodotto poco. Chissà
se a Bruxelles conoscono la delibera 12/2010 con la quale la Civit, che
dovrebbe vigilare sulla corretta applicazione della meritocrazia nella
Pa, ha stabilito che per il personale in posizione di comando o fuori
ruolo o con contratto a tempo determinato gli incentivi sono legati
alla mera presenza in servizio.
Al punto 32 gli ispettori di Bruxelles in sintesi chiedono quando
diverranno pienamente operative le misure riguardanti il personale
della pubblica amministrazione, con particolare riferimento alla mobilità obbligatoria, al lavoro a
tempo parziale e alla tendenza alla riduzione del numero dei dipendenti
pubblici.
La mobilità obbligatoria viene regolata con la legge di stabilità,
anche se si tratta di un’operazione più di modifica delle procedure,
che di sostanza. La Commissione vuole giustificatamente comprendere
quando l’Italia ridurrà il numero dei dipendenti pubblici. Domanda
legittima, visto che proprio il governo in questi anni non ha fatto
altro che sbandierare la scarsa produttività dell’amministrazione
pubblica, il costo troppo elevato dei dipendenti e il loro numero
eccessivo. In Europa, per coerenza, si aspettano concrete riduzioni di
questi indicatori.
Difficile spiegare, adesso, che si trattava per lo più di mosse
mediatiche volte a captare consenso. La riduzione dei dipendenti
pubblici, sebbene lenta e graduale, è attuata da tempo, per effetto dei
blocchi del turn-over. Che, invece, i
dipendenti pubblici italiani siano troppi e troppo costosi lo ha
smentito di recente la Corte dei conti, nella Relazione 2011 delle
sezioni riunite in sede di controllo sul costo del lavoro pubblico. (1)
Se, però, si semina vento, l’Europa vuole le inevitabili conseguenze.
Interessante, poi, al punto 32 è il quesito dei commissari in merito ai
problemi posti dal trasferimento dei dipendenti delle province che si
immagina di abolire presso le Regioni e i comuni. In effetti, i disegni di legge sul tema non
li affrontano per nulla. Né nel disegno di legge costituzionale
sull’abolizione delle province, o nella relazione accompagnatoria, è
dato reperire nemmeno una generica stima sui risparmi che si
otterrebbero.
UNA CARRIERA BLOCCATA
Infine, al punto 33 la Commissione chiede ulteriori informazioni
sull’applicazione della “riforma
Brunetta”, in particolare per quanto riguarda il
collegamento degli incentivi alla performance individuale. Anche in questo caso, la propaganda sulla
riforma ha certo influenzato gli organi di Bruxelles. La
propaganda ha tratto in inganno, perché ha lasciato credere che vi
fosse, nella pubblica amministrazione chissà quale facilità di accesso
a percorsi di carriera, mentre la Corte costituzionale ha più volte
chiarito che nell’ordinamento del personale pubblico la carriera non
sussiste. La riforma Brunetta, tra i suoi pregi, ha avuto, comunque,
proprio quello di eliminare le “progressioni verticali”, cioè i
concorsi interni, spesso tutt’altro che selettivi, proprio per
rispettare la Costituzione. Ma, questa scelta, che sarebbe risultata
interessante per l’Europa, evidentemente non è stata sufficientemente
divulgata.
In quanto alla “performance”, chi glielo spiega all’Europa che, prima
con l’intesa governo sindacati del 4 febbraio 2011 e poi con il decreto
legislativo 141/2011, le tanto propagandate misure per incentivare i
risultati sono state rinviate a data da destinarsi, cioè a quando la
contrattazione collettiva nazionale sarà sbloccata?
(1) La magistratura contabile spiega, ad esempio, che la spesa
complessiva per il personale sostenuta dall'Italia e i principali Stati
competitori è piuttosto simile. Nel 2009, l'Italia ha incontrato una
spesa di 171.905 milioni di euro, contro i 254.326 della Francia, i
177.640 della Germania, i 189.464 dell'Inghilterra e i 125.164 della
Spagna. La spesa pro capite italiana è di 2.863 euro, inferiore a
quella francese (3.951) e a quella inglese (3.076) e superiore a quella
tedesca (2.166) e spagnola (2.731). In linea anche il peso delle
retribuzioni del lavoro pubblico rispetto al Pil: sempre nel 2009, in
Italia la percentuale è stata dell'11,3 per cento, in Francia del 13,2
per cento, in Germania del 7,4 per cento, in Inghilterra del 12,0 per
cento, in Spagna dell'11,8 per cento, nell'area euro del 10,8 per cento
e nell'area Ue dell'11,2 per cento.
(Di Luigi Oliveri da
http://www.lavoce.info/articoli/-scuola_universita/pagina1002648.html)
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