I tempi di
crisi e i suoi paradossi. Nel mondo della scuola cosentina le
difficoltà sono innumerevoli, a partire dai professori precari da
decenni e dal personale non docente rimasto senza un posto di lavoro.
Eppure, di fronte a quest'enorme disagio occupazionale, accadono
fenomeni capaci di suscitare qualche perplessità. Nell'intera
provincia, a causa dei tagli agli organici generati dalla riforma che
porta il nome del ministro Mariastella Gelmini, ci sono infatti ben
duecento insegnanti di ruolo (quindi con un regolare contratto a tempo
indeterminato) finiti nella sgradevole lista degli
esuberi.
Fin qui nulla di strano: il prezzo delle ristrettezze economiche
purtroppo è anche questo. Il problema nasce dal fatto che i duecento
professori rimasti senza cattedra, pur percependo regolarmente il loro
stipendio ogni mese, si sono ritrovati improvvisamente a starsene con
le mani in mano. Nella maggior parte dei casi, i docenti sono rimasti
nelle scuole d'origine, pronti a intervenire in caso di qualche assenza
dei colleghi. Oppure danno una mano al personale amministrativo.
Insomma, i presidi cercano di tenerli impegnati trasformandoli in una
sorta di "tappabuchi", condizione che tuttavia difficilmente incide in
modo positivo sull'andamento dell'attività scolastica. Una fase di
stallo imbarazzante, che genera non pochi malumori in quei colleghi che
il tanto agognato posto fisso lo vedono ancora come una chimera.
Tutto questo accade proprio mentre tante altre amministrazioni
pubbliche lamentano impressionanti carenze d'organico, non riuscendo
neanche a sostenere l'ordinario funzionamento degli uffici. Una
soluzione ci sarebbe pure, ma in pochi sembrano avere la volontà di
farsene carico. I duecento docenti in esubero potrebbero infatti andare
a coprire proprio quelle caselle mancanti in altri enti, avvalendosi
della normativa sulla mobilità all'interno della pubblica
amministrazione. Un provvedimento indolore, in quanto i lavoratori –
tutte persone qualificate – continuerebbero a ricevere lo stipendio
senza l'evidente spreco causato dalla loro fase di stallo. Basterebbe
soltanto il nullaosta dell'ente di appartenenza e gli insegnanti
potrebbero subito cominciare ad operare.
Una proposta del genere venne fatta l'anno scorso da Michelina Grillo,
ex direttrice dell'Ufficio del Tesoro bruzio. La dirigente statale, di
fronte all'enorme massa di precari della scuola rimasti con un pugno di
mosche in mano, chiese se fosse possibile reimpiegare alcuni di loro
nei suoi uffici sommersi di lavoro. L'iniziativa rimase lettera morta a
causa di un problema insormontabile: chi avrebbe pagato gli stipendi?
Ora le condizioni sono totalmente ribaltate, e l'idea potrebbe
risultare fattibile.
In caso contrario, però, ci sarebbero anche soluzioni differenti. Adele
Sammarro, sindacalista dell'Anief, ne propone una interessante: tenere
aperti gli istituti durante il pomeriggio per avviare attività
riservate agli studenti non strettamente didattiche. «Questi docenti –
dice la Sammarro – potrebbero essere utilizzati meglio, evitando così
l'ormai diffuso fenomeno della dispersione scolastica. I giovani hanno
infatti bisogno di essere accolti». (da
http://www.gazzettadelsud.it di Fabio Melia)
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