Quando
frequentavo il liceo, a ridosso del fatidico Sessantotto, la settimana
di pasqua prevedeva un orario particolare. Lunedì e martedì uscita
anticipata di due ore per gli ‘esercizi spirituali’, mercoledì non si
entrava neppure: appuntamento in parrocchia per confessione annuale,
messa e comunione eucaristica. No, non frequentavo una scuola cattolica
confessionale, ma un istituto statale. E ciò che accadeva nella mia
scuola era di fatto una consuetudine generale, almeno in Sicilia. Anni
dopo un preside più coraggioso di altri si oppose alla prassi: scoppiò
una polemica accesa, ma da quell’anno in poi tutti i licei cancellarono
il “precetto pasquale” mattutino. Da allora, chi vuole, può decidere di
dedicare alle meditazioni preparatorie e ai riti sacramentali qualcuna
delle ore postmeridiane.
La memoria di quegli eventi mi è stata rinfrescata dalla notizia che a
Borgo Molara, tra Palermo e Monreale, su richiesta di una madre
musulmana, la dirigente scolastica ha disposto che – per evitare di
mettere in difficoltà psicologiche una bambina della scuola elementare
– si eliminassero alcune pratiche cattoliche tradizionali: niente
preghierina all’inizio delle lezioni, niente preparazione catechetica
alle feste di natale e di pasqua durante le ore di insegnamento
(tranne, ovviamente, l’ora di religione). Insomma, come ha dichiarato
la nuova dirigente scolastica, Melchiorra Greco, si tratta di
salvaguardare la laicità di “un’istituzione che deve vedere tutti
egualmente rappresentati e garantiti”. Secondo alcune notizie di
stampa, un gruppo di genitori ha già preparato, con il sostegno del
parroco don Pino Terranova, un documento di protesta indirizzato sia
alle curie arcivescovili di Palermo e di Monreale sia all’Ufficio
scolastico regionale.
In questo frangente – lo dico subito – sarebbe disastroso che
l’opinione pubblica democratica lasciasse la dirigente a combattere da
sola la sua piccola – ma non trascurabile – battaglia per la legalità.
Per fortuna, non siamo in terra leghista: la secolare tradizione
siciliana di convivenza fra etnie, culture e religioni diverse
(ebraica, cristiana, islamica) ci ha educati all’interazione e alla
complementarietà (basti pensare ai capolavori dell’architettura
arabo-normanna), che è molto di più della mera tolleranza. Bisogna
spiegare, con rinnovata pazienza, ai genitori che la “identità” dei
loro figli, in quanto siciliani, è un’identità multipla, meticcia: sono
figli della cattolica Roma, ma prima ancora della filosofica Atene e
della ebraica Gerusalemme, senza contare le tracce perduranti e
pervasive della civiltà islamica. E, soprattutto, che sono figli della
democrazia repubblicana costruita, con il sangue degli italiani
migliori, sulle macerie di un regime che per un ventennio ha utilizzato
la religione cattolica come simbolo identitario in funzione di progetti
(vanamente, ridicolmente) imperialistici.
Se poi questi genitori sono davvero credenti nel vangelo di Gesù,
qualche teologo un po’ aggiornato potrebbe spiegare che proprio la fede
cristiana – autenticamente interpretata – è refrattaria a ridursi, da
messaggio universale, a patrimonio distintivo di una determinata
nazione o, addirittura, regione. Secoli di commistione fra trono e
altare, di confusione fra reati e peccati, di privilegi concordatari a
favore della chiesa cattolica romana, hanno forse evitato la
secolarizzazione galoppante? Hanno forse prodotto generazioni di
cristiani sinceri, convinti, coerenti, istruiti biblicamente e
impegnati socialmente?
L’originalità del cristianesimo è proprio di essere una proposta di
vita al di là, al di sopra, delle differenze fra “uomini e donne,
liberi e schiavi, greci e giudei”: quando lo si abbassa a bandiera di
parte, lo si prostituisce; lo si abbandona alla strumentalizzazione dei
potenti di turno.
Augusto Cavadi
http://www.augustocavadi.eu/