Gli Ata, ovvero il
personale ausiliario, tecnico e amministrativo, riconquistano i diritti
giuridici ed economici connessi all'anzianità. Il beneficio riguarda
tutti coloro che provengono dagli enti locali e vennero trasferiti
presso il ministero della istruzione sulla base della legge n. 124 del
3 maggio 1999. La buona notizia giunge dalla più recente sentenza della
corte di cassazione in materia di tale diritto del lavoro depositata il
12 ottobre scorso e recante il n. 20980.
I giudici di piazza Cavour nel decidere riferiscono di aver tener conto
dell'orientamento assunto dalla massima magistratura europea. Il caso,
infatti, era similare ad altri già oggetto di controversie portate
dinanzi al giudizio della corte europea dei diritti dell'uomo e della
corte di giustizia dell'unione europea.
Il principio accolto dalla nostra corte di cassazione è fondato sulla
considerazione che i lavoratori coinvolti nel passaggio da enti locali
a personale ata della scuola non subiscano un peggioramento delle
condizioni giuridico-retributive, parimenti ai benefici previsti per i
trasferimenti d'impresa.
La causa specifica è giunta al giudice di legittimità dopo che il
ricorrente aveva ottenuto ragione dal tribunale ma torto dalla corte
d'appello. Invero, l'analisi storico-giuridica di questo tipo di
situazioni risulta complessa per l'intervento della finanziaria del
2006 che ha portato ad una inversione di rotta con seguente perplessità
ed aumento di contenzioso.
In origine, la citata legge 124/99 aveva consentito i
trasferimenti in termini paritari (come da art. 2112 cc ed art. 31 dlgs
165/2001), i peggioramenti tuttavia sopravvennero a causa di un decreto
ministeriale (del 5.4.2001, che recepiva un accordo sindacale !). Tale
situazione, comunque, era stata sempre risolta a favore del lavoratore
perché i giudici aditi non applicavano, ovviamente, il decreto bensì la
vecchia legge, trattandosi di prevalenza gerarchica tra norma avente
valore diverso. La finanziaria 2006 (n. 266/2005) tuttavia fece proprio
il contenuto del decreto formulando l'interpretazione autentica della
vecchia legge sicché i giudici dovettero adeguarsi rigettando le
ragioni dei lavoratori.
Nel frattempo la questione venne portata al giudizio della magistratura
europea: da un lato la corte dei diritti dell'uomo con la sentenza
7.6.2011, e dall'altro la grande sezione della corte di giustizia
europea con la sentenza 6.9.2001. Ne è emerso che il diritto
dell'unione contiene, e conteneva già all'epoca, nella direttiva n.
77/187 la salvezza dei diritti del lavoratore trasferito per la ragione
che è inammissibile che «determinati lavoratori siano collocati, per il
solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una
posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano
precedentemente».
Sulla scorta dei dettami della giustizia europea, dunque il giudice
nazionale, scrive la Cassazione, è chiamato ad accertare se, a causa
del mancato riconoscimento integrale dell'anzianità maturata presso
l'ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un peggioramento
retributivo e conseguentemente di deciderne la reintegrazione dei
diritti lesi. (da ItaliaOggi di Giuseppe
Mantica)
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