La scuola non
rappresenta più un investimento valido per la metà dei giovani
italiani; il 50% degli insegnanti nella scuola secondaria di secondo
grado non rifarebbe la stessa scelta, e potendo ricominciare daccapo
sceglierebbe un altro lavoro (la media, comprese le altre scuole,
scende invece a un terzo, segno che il malessere maggiore degli
insegnanti si concentra nelle scuole superiori). Il primo dato è stato
pubblicato dal Censis qualche giorno fa, il secondo stamane,
nell’ambito di uno studio dal titolo “I miti dell’individualismo che
non trainano
più”. Sono le due
facce della stessa medaglia: insegnanti demotivati e sfiduciati,
studenti convinti che andare a scuola non serva più a nulla. Sullo
sfondo le proteste per i tagli degli insegnanti e delle classi delle
ultime settimane, che evidentemente riguardano una minoranza
volenterosa che ancora vuole credere in una scuola che migliori le
persone e che serva alla società. “C’è una profonda insoddisfazione per lo scarso riconoscimento sociale ed economico della professione. – scrive il Censis – Il 69% ritiene che l’insegnamento abbia uno scarso riconoscimento sociale e quasi il 53% che non benefici di una progressione economica. Secondo più dell’82% degli insegnanti non vengono realizzati gli obiettivi della scuola, il primo dei quali consiste nella educazione ai valori e alle regole della convivenza civile”.
Al contrario, secondo gli insegnanti gli alunni sono esperti nell’arte di arrangiarsi (per quasi il 74% dei docenti), sono dotati di uno scarso senso civico (69%) e di pressappochismo (68%). Nelle opinioni dei docenti neoassunti della scuola secondaria di secondo grado emergono come principali situazioni problematiche: la promozione della motivazione allo studio degli alunni (per il 54%), il raggiungimento di risultati di apprendimento soddisfacenti (50%) e il mantenimento della disciplina in classe (40%). (da Repubblica.it)
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