Saremo nelle
piazze perché l'indignazione - questa volta contro quel cancro sociale
ed umano che si chiama precarietà - ci muove, ma, accogliendo la lucida
arguzia di Pietro Ingrao, non ci basta. Bisogna fare politica, a tutti
i livelli.
Perché costruire relazioni può contribuire a cancellare un pezzo di
questa ventennale notte delle coscienze e ad immaginare orizzonti
fecondi e giusti.
Perché se non riprendiamo in mano l'onere del pensiero critico e delle
buone pratiche - individuali e collettive - potremo sempre e solamente
subire lo stato di cose esistente.
Saremo in piazza per proseguire a tessere la trama di un cammino che ci
dovrà far emergere dalle macerie - morali e materiali - di un Paese
violentato dal "berlusconismo".
In un libro di qualche anno fa, Miguel Benasayag ci esortava a
riscrivere l'Abc dell'Impegno per contrastare l'epoca delle passioni
tristi.
Ci spingeva a ritrovare l'avvolgente spirito delle resistenze civili e
sociali e della progettualità politica per fare deragliare il congegno
perverso dell'ideologia totalizzante che ci ingloba: quella del
"mercatismo".
Oggi dobbiamo ridare ossigeno e freschezza alla Politica come atto di
trasformazione (nel quotidiano e nel generale) e come tramite per la
messa in atto delle utopie concrete; ed avere il coraggio di spiazzare
i paradigmi dominanti.
Contrapporre la dignità del Lavoro, la bellezza della Cultura e
l'imprescindibilità dei Saperi alle precarietà dilaganti e degradanti:
quelle che in un call-center (per dire del principale simbolo negativo
dei tempi!) legano lo stipendio, esclusivamente, a quanti contratti
riuscirai a strappare, ovvero ad esclusive logiche di becera
produttività.
Ma per fare questo, abbiamo bisogno che la Sinistra ritrovi una visione
che non rinunci ad essere di prospettiva, pur agendo nelle situazioni
particolari. Occorre, ad esempio, porre a fondamento uno sguardo
strutturalmente critico sulla finanziarizzazione dell'economia - di cui
la drammatica crisi in corso è uno dei nefasti prodotti - e sui tassi
crescenti di disoccupazione, specie tra le giovani generazioni che
giustamente si rivoltano per il furto di futuro operato ai loro danni.
Avvertiamo l'esigenza di discutere di una riforma radicale del welfare
- tendente verso lo strumento del reddito di cittadinanza - e di
ridurre ad un minimo di 5 o 6 le tipologie contrattuali possibili a
disposizione delle imprese; e, ancora, di favorire gli investimenti
innovativi, sostenibili e forieri di buona occupazione; e di mettere in
circolo le energie creative, le soggettività femminili e migranti ed i
talenti dispersi.
In fondo, l'impatto delle precarietà riguarda la qualità dell'esistenza
delle persone e solamente forgiando un nuovo modello di sviluppo
solidale, cooperativo e di qualità (fondato sulla riconversione
ecologica delle produzioni, sulla sobrietà dei consumi, sui beni comuni
e sul superamento dello storico conflitto tra giustizia socio-economica
e giustizia ambientale) possiamo pensare ad un'alternativa
realizzabile, più incline ai bisogni ed al "buen vivir" di tutti e
tutte.
*Comitato "9 Aprile" Modena
(di Giuseppe Morrone da Paneacqua)
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