Ogni statista ha il suo
Richelieu. La Rete ha ribattezzato così il grande filosofo
Bernard-Henri Lévy, diventato grande amico della premiére dame e
consigliere del presidente Sarkozy. All'Eliseo è una figura
determinante e il suo pensiero filosofico alimenta i vertici francesi:
è andato a Bengasi a incontrare i ribelli libici, poi Parigi ha
riconosciuto, per prima, il Consiglio di trasizione nazionale libico.
Algerino di origine ebraica il filosofo è noto come il rappresentante
della gauche intellettuale francese è da sempre un interventista della
prima ora. Oltre a sfidare Kant con tesi ardite (De la guerre en
philosophie, 2010), l'allievo prodigio di Deridda e Althusser,
affarista quanto bohemien, è noto per essere uno dei filosofi più
presenzialisti della scena accademica (e mondana) internazionale: altro
che torre
d'avorio.
Ma non è l'unico. Famoso come il giovane fondatore della scuola della
nouvelle philosophie (Nuova filosofia), corrente animata da un gruppo
di giovani intellettuali che esprimono il rifiuto delle dottrine
comuniste e socialiste, ha mosso un'agguerrita ed inflessibile critica
morale. In contrasto anche con le fortissime idee conservatrici
abbracciate da alcuni intellettuali americani, sia Lévy che i Nuovi
Filosofi rifiutavano l'ideologia capitalista.
E' interessante anche la storia di Roger Scruton, il
letterato-predicatore, considerato “l’anima culturale della Thatcher
Revolution”. Anticonformista, politicamente scorretto, laicissimamente
cattolico è stato definito dal New Yorker "il filosofo più influente al
mondo". Conservatore inattuale, convertito al cattolicesimo dopo anni
di svogliato socialismo parigino, questo scrittore austero ha fornito
un ritmo musicale all'idea che «la civiltà è più facile perderla che
trovarla». Si può immaginarlo in giacca rossa, a cavallo fra le siepi
della sua campagna, a caccia di volpi, ottanta miglia a ovest di
Londra, dove vive con la moglie papirologa e i figli. O a Princeton,
dove ha tenuto un corso sulla morte e l'amore nell'opera di Richard
Wagner. Negli anni della Guerra fredda si recò a Praga, dove
organizzava incontri clandestini sulla letteratura europea. Arrestato,
bandito ed espulso dalla Cecoslovacchia, si innamorò del «patriottismo
dell'immaginazione» di Margaret Thatcher, di cui divenne sostenitore
sulla stampa e in accademia, e della monarchia britannica, a cui non
rinuncerebbe per nulla al mondo: "Il monarca è sacro e misterioso, ma
gli inglesi sanno che la sacralità e il mistero sono attaccati a una
maschera, dietro la quale un altro ordinario e riservato inglese si è
ritirato".
Ma anche Zapatero è "illuminato" da un filosofo. Anzi qualcuno
definisce Philip Noel Pettit il suo guru. Nato a Ballygar, contea di
Galway in Irlanda, nel 1945, è noto per aver difeso una versione del
repubblicanesimo in filosofia politica. Con i suoi libri ha difeso le
riforme politiche in Spagna e si è schierato con Zapatero. Ha
raccontato il suo rapporto con Zapatero, nel suo La Filosofia politica
nella vita pubblica: il repubblicanesimo nella Spagna di Zapatero,
scritto insieme a José Luis Martí.
Ultimo, ma non di importanza, è Rahm Emanuel, indicato dal neo
Presidente come capo dello staff della Casa Bianca. Un ruolo poco
visibile, ma di enorme potere ed influenza. Può accedere quando vuole
al Presidente, anzi, vive in simbiosi con lui, determina la sua agenda
e lo affianca e lo consiglia in ogni frangente. Il 50enne ha alle
spalle una brillante carriera politico-parlamentare ed è un
intellettuale di prim'ordine di formazione filosofico-giuridica.
(da http://affaritaliani.libero.it/)
redazione@aetnanet.org