L'esplosione
della polemica sulle dichiarazioni del presidente del consiglio in
merito alla "scuola pubblica" sottende una questione più profonda: non
riguarda solo alcuni insegnanti, ma configura un'offesa rivolta al
mestiere di insegnante. Giustamente l'Unità ha insistito sull'uso
perverso del vocabolo inculcare. Viene delegittimata sia la funzione
docente sia la libertà di insegnamento, evocando strumentalmente una
contrapposizione insegnanti- famiglie nell'attività educativa: tutti
ingredienti di un ritorno di barbarie autoritaria contro la stessa
civiltà occidentale. Sgomberiamo il campo da ogni possibile equivoco.
La Costituzione contiene il dovere-diritto della famiglia di istruire
ed educare i figli (art. 30) e, insieme, lo stesso dovere-diritto per
lo Stato e per la scuola (art 33): due principi fondamentali che non
possono essere messi artatamente in
conflitto.
Grazie all'autonomia delle scuole, nella nostra concezione educativa
possono esistere progetti particolari, ovviamente all' interno di un
comune indirizzo culturale nazionale. Per questo motivo è necessaria in
ogni tipo di scuola una base comune e condivisa dell' idea di
educazione ed istruzione. È lo Stato (artt. 33 e 117) che ne detta le
norme generali, quelle culturali ma anche quelle deontologiche sulla
delicata responsabilità educativa del docente. Quel tessuto connettivo
ha due pilastri: il sapere e la cittadinanza: il che significa educare
alla convivenza civica tra diversi attraverso ilcomune cemento della
conoscenza. La scuola dello Stato, in questi 150 anni, è stata
architrave dell'unità linguistica e culturale e dell'unità tout court
del Paese. Un vero e proprio "miracolo", rispetto all'italietta di
allora, grazie alla qualità delle conoscenze scolastiche, sintesi della
pluralità delle idee che la compongono. Affidare allora alla famiglia
ed ai privati - credo anche al di là dei programmi delle scuole
paritarie - un ruolo "fazioso" di scelta educativa di contrapposizione
istituzionale, come invoca il premier, è particolarmente grave e
rischioso, come ha avvertito la stessa autorità ecclesiastica.
L'istruzione è un bene per un paese, bene supremo, ad altissima
rilevanza sociale, per questo bene pubblico in sé. Nelle scuole dello
Stato ed in quelle paritarie - che la Costituzione tutela - si è fatto
obbligo, con una legge da noi provocata e voluta (n: 62, legge
profondamente laica), di rispettare la funzione pubblica educativa
ovunque la si eserciti. La resistenza a celebrare nelle scuole la festa
dell'Italia il 17 marzo è un altro pericoloso indice di cedimento
leghistico, ma anche di insensibilità rispetto all'altissimo ruolo
dell'istruzione "nell'unificazione degli Italiani", insensibilità
rispetto all'idea stessa di sistema nazionale educativo iniziato dal
Risorgimento, suggellato dalla Resistenza e dalla Costituzione e
compiuto dal nostro lavoro in tutti questi anni. Oggi viviamo nella
società della conoscenza. Lingua e sapere nazionali si cimentano con le
lingue ed i saperi del mondo. Nel corso di questi 150 anni la
diffusione della lingua nazionale e del sapere attraverso la scuola è
valsa ad affrancare milioni di persone analfabete dal servaggio della
fatica lavorativa solo manuale. Fino a considerare anche il lavoro come
cultura. Taluni maitres à penser di diversi schieramenti - contro la
tendenza di tutto il mondo evoluto e democratico - vanno ripetendo che
gli idraulici devono fare gli idraulici, che si deve ripulire la scuola
da quei giovani che, inadatti a studiare, devono essere sospinti a
lavorare solo manualmente, manifestando ritorni arcaici e, peggio,
stupidamente reazionari rispetto al cammino di questi 150 anni ed alla
società contemporanea. L'Italia e gli italiani sono il frutto
dell'affermarsi di una lingua nazionale, delle manifestazioni di gioia
per le vittorie della nazionale di calcio ai mondiali (così
incomprensibile nell'ottica leghista), dell'affermarsi della grande
trasdizione (italiana) del melodramma. E' uscito in questi giorni un
bel volume di Angelo Guerraggio e Pietro Nastasi - "L' Italia degli
scienziati" - in cui si concentrano 18 storie di studiosi italiani dal
Risorgimento ai giorni nostri: la scienza in Italia è esistita, esiste,
ed ha contribuito dal punto di vista culturale e sociale a questo
nostro lungo cammino. Sono solo alcuni esempi significativi di come si
formi una coscienza civica nonottusamente egoista e piccina. Oggi
vogliamo tornare a Cattaneo e ad ipotesi di uno Stato articolato,
autonomista di stampo federalista, ma con piena cittadinanza nel mondo
globalizzato. L'istruzione, nella sua funziohe pubblica, ha dato un
contributo determinante. Anche per questo va sostenuta, finanziata,
protetta, anche se ormai è tempo di cambiarla profondamente nel suo
impianto educativo. (da l'Unità di
Luigi Berlinguer)
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