Qual è il rapporto
tra blocco dei contratti, annullamento dell’integrazione degli “scatti”
salariali, peggioramento parossistico delle condizioni di lavoro dei
docenti e avvio della “meritocrazia”? Nessuno. Persino se si tratta di
una meritocrazia di facciata, dal respiro breve e senza risorse, come
quella contenuta nella bozza di decreto sulla valutazione degli
insegnanti ideato al Miur, il contrasto tra frequente mancanza di
requisiti indispensabili per lavorare con dignità e demagogia del
progetto di premiare il merito a costo zero è
eclatante.
È ormai noto a tutti il fallimento della “sperimentazione” sulla
valutazione: la straordinaria compattezza dei collegi docenti ha
bocciato il tentativo di lusingare comprensibili (dati i salari)
appetiti economici. Non così urgenti, però, da approvare un piano
mercantilistico basato su consenso delle famiglie, progetti attuati,
giudizio di comitati impreparati, istigazione a creare cordate e guerre
tra poveri, alla faccia della collegialità; e del contratto nazionale
che, anche se si ostinano a non tenerne conto, è valido fino a dicembre
2011.
Invece di ammettere la débâcle e
studiare (attività che né Gelmini né i suoi scriba conoscono e
praticano) un problema complesso come la valutazione, ecco la soluzione
dall’alto.
Farraginosa, come sempre, poiché neanche i sindacati hanno un testo
ufficiale: Gelmini, Brunetta e Tremonti (triade che la scuola pubblica
non dimenticherà) hanno non consegnato (come vorrebbero relazioni
sindacali corrette), ma solo illustrato la bozza di decreto che –
indifferente al no della scuola – attuerà anche da noi la riforma
Brunetta per misurare il merito nel pubblico impiego. Una procedura al solito indifferente al
confronto su materie fondamentali e delicatissime, che può diventare
tramonto di un’idea democratica di scuola o cappio a cui il governo
rischia di impiccarsi: un ricordo per tutti, il concorsone di
Berlinguer. Sedici articoli, a
premiare solo il 75 per cento dei docenti di una scuola.
Trasparenza di premio e premiati, con apposite documentazioni sui
futuribili siti istituzionali, in attesa di un provvedimento ad hoc del
ministero relativamente a “fasi, tempi, modalità, soggetti e
responsabilità del processo di misurazione e valutazione della
performance, nonché di monitoraggio e verifica” del suo andamento.
Vengono definiti in modo perentorio procedure e principi (senza entrare
nel merito del “cosa” valutare), sottolineando in maniera
inequivocabile la pericolosissima operazione culturale e politica del
governo: ridurre la scuola – che ha natura inconfutabilmente autonoma,
proprio per le caratteristiche del proprio mandato – a logiche del
pubblico impiego.
Misurare performance (sic!) di postini
o impiegati ministeriali è altro da valutare attività di insegnamento,
sottoposte a variabili tanto imprevedibili quanto le condizioni di
contesto.
Individuare modalità premianti formali significa ignorare
(volontariamente) la centralità educativa propria della scuola. E dimostrare che la “sperimentazione” –
sulla scia di tante tristi analoghe operazioni dei governi di
centrodestra, di cui sono stati sapientemente occultati i risultati – è
l’ennesima manipolazione mediatica cui tante volte abbiamo assistito.
Lanciare e imporre il merito a prescindere dai risultati e persino
dall’avvio di sperimentazioni che – come molti sospettavano – sono pura
propaganda, è operazione autoritaria e demagogica. Le scuole possono
ancora provare a ribadire il proprio no. (di Marina
Boscaino da Il Fatto Quotidiano )
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