Aumentano
nella scuola italiana i ragazzi figli di immigrati. Il processo di
inclusione potrà essere governato attraverso la definizione di quote
fisse? Quanta attenzione viene dedicata, su questi temi, alla
formazione specifica degli insegnanti? I docenti, insieme agli
studenti, sono già oggi i protagonisti di un importante nuovo capitolo
della storia del sistema scolastico italiano.
Nel prossimo futuro, ma questo scenario diviene sempre più realtà
presente nelle nostre scuole, l’aumento degli studenti “immigrati”
dipenderà non tanto dai nuovi arrivi, quanto da giovani e bambini che
nascono in Italia da genitori immigrati. L’ISTAT documenta che, mentre
nel 2002 i ragazzini nati in Italia da entrambi i genitori stranieri
era il 5,5% del totale, già nel 2008 questi sono diventati il 12,6%; la
scuola italiana non accoglierà più prevalentemente studenti che
arrivano in Italia, avendo iniziato un percorso di studi nel paese di
origine e che approdano qui in una fase di prima immigrazione delle
famiglie, ma si troverà in classe bambini/studenti che avranno
frequentato, fin dall’inizio, la scuola italiana perché qui sono nati,
dopo che i genitori immigrati si sono, in qualche modo, stabiliti nel
nostro paese. La presenza di studenti immigrati di “seconda
generazione” pone questioni nuove al nostro sistema, che non potrà più
giustificare ineguaglianze di percorsi e di riuscita con la scusa che i
processi di inserimenti di studenti provenienti “dall’esterno”
comportano difficoltà, perdita di tempo e sono tali da giustificare
l’accumulo di ritardi nel conseguimento di titoli di studio; tutto
questo non sarà, non è già più tollerabile, e non solo per motivi di
decenza, prima che di equità, perché si tratta sempre più spesso
(soprattutto nella scuola primaria) di bambini/ragazzi nati qui, che
interrogano la nostra società alla luce di bisogni e di esigenze che si
traducono in una immediata rivendicazione di diritti, che l’Italia, in
quanto paese di accoglienza, deve riconoscere e garantire. Questi
“nuovi” scolari hanno già compiuto, sulle loro spalle e su quelle delle
loro famiglie, faticosi percorsi di avvicinamento per vivere qui da noi
e la nostra scuola sembra volerli penalizzare ancora.
Se osserviamo il percorso scolastico completo di 5 + 3 + 5 anni, che
dovrebbe portare chi frequenta la scuola italiana al diploma, ci
accorgiamo che gli studenti immigrati “regolari” (per numero di anni di
scuola frequentata con successo) passano dal 88% della prima elementare
al 27% nell’ultimo anno di secondaria superiore; nella scuola
secondaria inferiore i “regolari” scendono sotto il 50% e non
raggiungono il 30% nelle due classi di secondaria superiore che, in
Italia, concludono il percorso di istruzione obbligatoria. I dati
presentati dalla Fondazione Agnelli nel settembre 2010, che elaborano
quelli del MIUR, suggeriscono una interpretazione del modello di
inserimento che la scuola italiana offre ai nuovi studenti: ingresso
libero (?), fatte salve le quote, ma percorso ritardato, basato
sull’ipotesi, ampiamente smentita, prima che dalla ricerca pedagogica
dal buon senso, che si impara meglio ripetendo le stesse cose, almeno
due volte. Una semplice previsione basata sulla stima di quanti sono
nati o già si trovano in Italia nel 2008, permette di stimare che
nell’anno scolastico 2015-2016 il 17% degli iscritti in prima
elementare sarà straniero e di questi il 70% sarà nato in Italia.
Ci si chiede allora legittimamente: il processo potrà essere governato
attraverso la definizione di quote fisse (il 30% di presenze straniere)
con deroga incorporata? Questo fatto, avvenuto nell’attuale anno
scolastico, ha evidenziato da un lato l’inutilità di allarmismi
eccessivi e, nello stesso tempo, la mancanza di un disegno organico di
politiche di inserimento sociale. A questo si aggiunge la scarsa
attenzione alla formazione specifica degli insegnanti, che insieme agli
studenti sono già i protagonisti di un importante nuovo capitolo della
storia del sistema scolastico italiano; un campione di 15000 circa
insegnanti neo assunti nel 2009 (indagine della fondazione Agnelli 2009
sui Neoassunti) valuta di non aver ricevuto una formazione adeguata per
insegnare in classi diversificate e pluriculturali (il 50% su tutti i
livelli di scuola sale al 64% sulla secondaria) e il 30% (che sale a
quasi il 50% nelle superiori) dichiara di non essere stato preparato a
differenziare l’insegnamento per rispondere ai bisogni di ciascuno
studente. (di Vittoria Gallina da
http://www.educationduepuntozero.it/)
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