Un insigne
professore della Facoltà di Giurisprudenza mi insegnò che, per capire
bene il retroterra culturale, i principi fondanti di una legge, di un
decreto, di un regolamento è opportuno cominciare la lettura non
dall’art.1, dove di solito si declamano criteri valoriali difficilmente
non condivisibili, ma dalla fine. Mi sono attenuto a questa “regoletta”
anche nell’esame dello schema di decreto relativo alla definizione
della disciplina dei requisiti e delle modalità di formazione iniziale
degli insegnanti …. Ebbene, l’ultimo
articolo – il 16 - testualmente recita “i corsi di cui al presente
decreto sono organizzati dalle Università senza nuovi o maggiori oneri
a carico della finanza pubblica” (!). Testuale e chiaro: le magnifiche
sorti e progressive della formazione iniziale dovranno soggiacere alla
filosofia tremontiana dei tagli lineari e del “costo zero” con tanti
saluti alle priorità della ricerca e della formazione, tenute in alta
considerazione in Germania, Francia, Spagna ed opportunamente
finanziate, nonostante la crisi in atto.
Mi occuperò in particolare della formazione degli insegnanti di scuola
dell’infanzia e primaria. Leggendo a ritroso lo schema, arriviamo al
penultimo articolo – il 15 – dedicato alle norme transitorie dove c’è
posto per tutto e per tutti. Le facoltà universitarie potranno attivare
speciali percorsi formativi finalizzati al conseguimento
dell’abilitazione per la scuola dell’infanzia e primaria destinati ai
diplomati, che hanno titolo all’insegnamento nella scuola materna e
nella scuola elementare. Al di là del politichese della formulazione,
questi nuovi percorsi formativi sono parenti stretti dei corsi speciali
abilitanti, che abbiamo già sperimentato negli anni 2005-2008 e che
dovevano essere gli ultimi di una specie in via di estinzione. Ma in
Italia, come ben diceva l’on. Andreotti, “niente è più definitivo di
quel che viene dichiarato transitorio”. Posso comprendere le ragioni
che inducono il Ministero –con l’avallo dei sindacati- a fornire
opportunità occupazionali a docenti che hanno accumulato anni di
servizio nelle scuole della Repubblica. Ma non si può continuare
all’infinito ad ignorare che le Facoltà di Scienze della Formazione
Primaria esistono da prima dell’anno 2000 e che sin dal 1974 i decreti
delegati prescrivono la formazione universitaria completa dei docenti
delle scuole di ogni ordine e grado. La precarietà istituzionale, che
accompagna lo schema di decreto, è dichiarata , senza eufemismi, dalla
relazione ministeriale che sforna il testo in questione ”nelle more”
del complessivo processo di riforma della formazione iniziale e del
reclutamento dei docenti. La legge aveva opportunamente configurato un
percorso unitario, perché i due temi , formazione e reclutamento, sono
strettamente interconnessi e funzionalmente interdipendenti. Con
suprema indifferenza il Ministro ci rassicura sul fatto che “con
successivo regolamento” si provvederà a disciplinare l’attività
procedurale per il reclutamento del personale docente. Credo che
saggiamente lo schema di decreto eviti la riproposizione , anche per la
formazione primaria, del modello 3+2 , data la difficoltà di dar senso
alla distinzione tra un triennio e un successivo biennio ed adotti,
invece, un diverso modello di ciclo unico abilitante di cinque anni con
l’obbligo del tirocinio formativo a partire dal secondo anno del corso
di laurea e con la dichiarata esigenza di uno stretto collegamento tra
insegnamenti e laboratori. Molto giusta (addirittura ovvia e
sostanzialmente declamatoria) la sottolineatura di un futuro
insegnante, che , oltre a possedere la padronanza delle discipline da
insegnare, deve avere l’opportunità (sempre a costo zero?) di
riflettere sulle modalità di trasmissione delle conoscenze e sulle
complesse e articolate problematiche della mediazione didattica.
Ingarbugliata e sicura fonte di contenziosi è la previsione, non
sufficientemente chiara, delle modalità di svolgimento del tirocinio e
dei laboratori. Cosa significa in concreto la previsione secondo la
quale la formazione iniziale dovrà contemplare (!) una fase di rapporto
diretto con la scuola consistente non soltanto in periodi osservativi,
ma anche in esperienze attive di insegnamento coordinate con attività
di laboratorio sotto la guida ed il controllo (!) di docenti delle
istituzioni scolastiche in cui tale fase si svolgerà. I corollari di
tali intenzioni si tradurranno nella istituzione di nuove figure , di
conio non precisato, di tutor coordinatori, tutor dei tirocinanti e,
perché no?, di tutor organizzatori. In questa marmellata tutoriale
dovranno essere ridefiniti la stessa esistenza e gli eventuali compiti
dei supervisori distaccati attualmente a tempo pieno e/o parziale
presso le Facoltà universitarie. In linea generale sembra (ma un
giudizio più preciso potrà essere formulato solo quanto lo schema
diventerà decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) che si voglia
adottare una accentuata prevalenza della formazione disciplinare a
scapito delle dimensioni didattiche, pedagogiche e relazionali, che
dovranno restare elementi essenziali della professionalità dei docenti
in generale e dei docenti della scuola primaria in particolare. E
veniamo alla specializzazione per il sostegno. Viene perpetuata una
anacronistica separazione tra ruolo e funzione. È pacifico che la
funzione del sostegno (melius: dei sostegni) a favore degli alunni con
disabilità e con bisogni educativi speciali debba essere non solo
mantenuta, ma potenziata. Ma l’obiettivo non si raggiunge pacificamente
con la istituzionale di un ruolo autonomo, di una figura autonoma, che
rischia –come più volte documentato- di deresponsabilizzare tutti i
docenti dell’istituzione scolastica, che delegano all’”angelo custode”
del disabile e dello svantaggiato la gestione della didattica
specializzata e individualizzata. Tra l’altro, la relazione
ministeriale candidamente afferma che, nel testo dell’art. 3 dedicato
ai percorsi formativi, è stato aggiunto un comma c) relativo
all’acquisizione delle competenze didattiche atte a favorire
l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, su esplicito
suggerimento della VII commissione istruzione della Camera. Al
Ministero, evidentemente, si erano dimenticati dei disabili! E, infine,
sono in agguato, relativamente alla formazione dei docenti
specializzandi per il sostegno, percorsi differenziati volti ad
acquisire “specifiche competenze per i diversi ambiti di disabilità”.
Si vuole tornare ai corsi di specializzazione monovalenti (per
disabilità psicofisiche, per minorazioni della vista e dell’udito)? In
cauda venenum: l’art. 6 dello schema prevede che “il corso di laurea
magistrale per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola
primaria è attuato presso le Facoltà di Scienze della formazione e
presso altre Facoltà autorizzate dal Miur.” Quali sono queste
fantomatiche altre Facoltà? L’autorevole parere, esplicitamente
richiamato dalla relazione ministeriale, della Conferenza dei Presidi
dei Corsi di Laurea di scienze della formazione Primaria, ha anche dato
il via libera alle non meglio precisate Facoltà che saranno autorizzate
dal Miur ad attuare i nuovi corsi di laurea magistrale? (da
ScuolaOggi di Federico Niccoli)
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