La scuola è
finita, di Valerio Jalongo, primo film italiano in concorso a Roma 2010.
Si sarebbe dovuto intitolare Laria, senza l’aposfrofo, come l’errore
nel tema scritto dal protagonista del film. Un tema bello, poetico,
sorprendente per tutti, tanto che nessuno crede sia stato realizzato
dall’alunno. Nessuno immagina che tanta sensibilità sia saltata fuori
all’improvviso, da un mare stagnante di noia e svogliatezza, di
"normale" disagio giovanile italiano contemporaneo, potenziato, se non
interamente provocato, dallo stato comatoso del contesto culturale
imperante: famiglia sbandata, droga, cemento, tv, istituzione
scolastica impotente o inadeguata, distratta, sfiancata.
Si è poi intitolato La scuola è finita , questo film interpretato da
Vincenzo Amato, Valeria Golino e dal giovane Fulvio Forti, nel ruolo di
Alex, il protagonista, per rendere più chiaro il messaggio amaro
dell’opera.
Jalongo insegna al Rossellini (che forma figure professionali per il
cinema e per la Tv) ed è un regista italiano (di finzione e
documentario) che ama toccare temi sociali delicati. Dal 2005 partecipa
all’esperienza di Ring e a quella dei Centoautori, e prima di questo
suo terzo lungometraggio ha realizzato un documentario dal titolo Di me
cosa ne sai, del 2009: un’inchiesta sulla storia del cinema italiano e
sulle trasformazioni culturali nel nostro paese negli ultimi
trent’anni.
L’autore de La Scuola è finita ribadisce al microfono, poco prima che
il film inizi, il senso della protesta massiccia avvenuta il giorno
prima sul red carpet: legge un testo che invita a smettere di cercare
di essere furbi e a non fare nulla che possa dividere. "Bisogna cercare
una grande riforma per un cinema e una tv migliori".
E nel suo film sulla scuola italiana, non quella dei licei, ma quella
frequentata dalla maggior parte degli studenti, ovvero l’istituto
professionale, la tv, quando irrompe all’improvviso per succhiare linfa
da un fattaccio inesistente, inventato, da un doppio pasticciaccio mai
avvenuto, fa venire a dire poco la nausea, per la sua furibonda sete di
sciacallaggio cinico, barbarico, criminale. Continua Jalongo, prima del
suo film intriso di momenti e spunti interessanti, e lega, in qualche
modo, il senso della protesta del cinema al suo terzo lavoro di
finzione: "Prima, chi usciva dal Rossellini trovava lavoro facilmente.
Ora no!"
Poi introduce il giovane protagonista di La scuola è finita, un
adolescente esangue con un’intelligenza addormentata, un paradigma
privato dell’entusiasmo, derubato della passione, ancora prima che si
accorga di averla, segregato nella solitudine e in un uso della droga
che sembra inarrestabile tra i giovani.
Jalongo rifiuta per lui l’etichetta di ragazzo difficile, volendo
ribadire quanto sia facile, oggi, rimanere senza la benzina per
diventare uomini soddisfatti della propria bellezza, anche quando se ne
possiede tanta. C’è una frase, forse la più bella del film, che
chiarisce bene il senso dell’opera: "uno inizia col pensare di non
essere capace e poi finisce col non essere più capace di fare niente.
La scuola è finita , dove già tanto è messo male. Anche questo
porticciolo è impraticabile, sentenzia il film, arrugginito e senza
luce (vedi la partita di basket al buio), coperto di scritte a
bomboletta spray, con i buchi sulle porte delle aule, e la maggior
parte dei professori che non vede l’ora di darsela a gambe.
Jalongo descrive il disastro della scuola italiana con un film diviso
in capitoli e ricco di musica (la colonna sonora e la canzone cantata
nella sequenza del concerto sono del gruppo musicale Le vibrazioni).
Già, la musica, come l’arte in generale, l’unico appiglio ancora
afferrabile per sentirsi vivi. Capita al giovane Alex, che per il resto
se ne va sui tetti perchè "sto bene solo qua", come capitava
nell’ultimo film di Capuano, L’amore buio, a un altro adolescente,
quello ancora più ai margini. Alex trova un varco tra una nota e
l’altra, e poi trova anche il coraggio di appoggiarci sopra due parole.
Una via d’uscita autoprodotta.
Nel complesso il film di Jalongo, scritto in collaborazione con
Francesca Marciano, Alfredo Covelli e Daniele Luchetti, uno che di film
sulla scuola se ne intende, è interessante e valido per una
riflessione, l’ennesima che il cinema ci propone. E’ un film pulito,
scorrevole, dignitoso e nobile. La descrizione del paesaggio,
soprattutto, è precisa e si sente la grande esperienza del regista nel
settore. Ma un ottimo film non è, La scuola è finita, perchè i
personaggi non si staccano dal gruppone di quelli che vediamo in quasi
tutti i film italiani, per autenticità, peso e profondità. Ed anche la
forma del film non stupisce. Non è il problema principale dell’Italia,
come giustamente Jalongo ci ricorda, ma la speranza di trovare, un
giorno, film nostrani che ci facciano saltare dalla sedia, beh, quella
cerchiamo di non farla morire, o di non fargli fare la fine della
scuola.
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