Scriveva
Charles Péguy che “le crisi
dell’insegnamento non sono crisi di insegnamento; sono crisi di civiltà”.
Infatti non pochi sono gli intellettuali che si sono occupati del
problema di come trasmettere le vette della cultura umana alle
generazioni posteriori. Anche nel nostro paese non mancano le menti che
si cimentarono con la questione; i più lucidi lo fecero nell’unico modo
efficace, ovvero con il paradosso e la provocazione.
A partire da Giovanni Papini, che il maestro di scuola elementare lo
aveva anche fatto per qualche mese. Nel 1914, a conclusione della sua
esperienza futurista e prima della Grande Guerra che lo spinse ad
abbandonare il nichilismo giovanile per tornare in seno alla Chiesa
Cattolica, scrisse Chiudamo le scuole. Per il fondatore di “Lacerba”
gli edifici scolastici somigliavano già in maniera preoccupante alle
prigioni, il livellamento democratico del sapere uccideva il genio
individuale, la cultura accademica ufficiale tendeva al controllo
totalitario delle menti.
Pasolini, anche lui ex insegnante, dopo aver visto nel boom economico
un vero e proprio genocidio culturale, dichiarava di amare solo gli
esseri umani di bassa o nulla scolarizzazione. Ormai la cultura
trasmessa a scuola aveva smarrito ogni legame con la coltura, con la
saggezza ancestrale del mondo agricolo; ogni sapere era ridotto ad
astratta ideologia borghese. Inquietato dalle rivolte del ’68, Giuseppe
Berto (nel preziosissimo Moderna proposta per prevenire) offrì
una brillante soluzione: far del marxismo una materia di studio
obbligatoria. Solo così sarebbe diventato assolutamente indigesto per
le nuove generazioni (un 4 su vita ed opere di Trotzsky, in
effetti, avrebbe potuto spegnere ogni anelito alla “Rivoluzione
permanente”).(da http://www.loccidentale.it/)
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