Simulare, dissimulare
Diverse strategie si possono adottare per evitare di manifestare in modo palese il proprio pensiero, i propri sentimenti o propositi e frequentemente ci si trova a scegliere fra simulazione e dissimulazione. Un primo, sicuro, aiuto nella scelta ci viene offerto da Torquato Accetto che nel trattato Della dissimulazione onesta (1641) così descrive i due non opposti atteggiamenti: "Io tratterei pur della simulazione e spiegherei appieno l'arte del fingere in cose che per necessità par che la ricerchino; ma tanto è di mal nome che stimo maggior necessità il farne di meno, e, benché molti dicono: Qui nescit fingere nescit vivere, anche da molti altri si afferma che sia meglio morire che viver con questa condizione [...] Basterà dunque il discorrer della dissimulazione in modo che sia appresa nel suo sincero significato, non essendo altro il dissimulare che un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti, da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo".
Simulare e dissimulare sono entrambe voci dotte che provengono dal latino e che solo etimologicamente, con riferimento al significato proprio, potrebbero essere considerate l'una il contrario dell'altra. Il latino simulare, infatti, deriva dall'aggettivo similis "simile" e ha un primo significato proprio, "rendere simile", nel quale viene costruito sia con l'accusativo che, più frequentemente, con il dativo; da questa accezione ne deriva, per traslato, una seconda nella quale il verbo acquista il valore di "fare finta, fingere" che ritroviamo, poi, come principale, nel suo equivalente italiano. Il latino dissimulare, invece, deriva da simulare con l'aggiunta del prefisso dis- e ha il significato proprio di "rendere dissimile, rendere irriconoscibile"; anche da questa accezione, come nel caso precedente, se ne sviluppa, per traslato, una seconda, nella quale il verbo assume il valore di "nascondere, celare, occultare", quello che poi si ritrova nell'uso più largamente diffuso del suo corrispondente italiano.
Il fatto che spesso per nascondere i propri sentimenti o il proprio pensiero, e cioè per dissimulare, si finga il contrario contribuisce ad avvicinare semanticamente i nostri due verbi, tant'è che in alcuni contesti e, specialmente con uso assoluto, dissimulare assume proprio il significato di "fingere, simulare" (sai dissimulare con molta abilità; smettila di dissimulare!).
Non si può, infine, tralasciare che nella dissimulazione si nasconde un formidabile strumento retorico, largamente usato dagli antichi, che lo avvicinavano all'ironia socratica - coma fa, per esempio, Cicerone nel De oratore ("urbana dissimulatio est, cum alia dicuntur ac sentias", "Socrates [...] libenter uti solitus est ea dissimulatione, quam Graeci eirwneian vocant") - e apertamente lodato da Dante nel terzo trattato del Convivio ("questa cotale figura in rettorica è molto laudabile, e anco necessaria, cioé quando le parole sono a una persona e la 'ntenzione è a un'altra [...] questa figura è bellissima e utilissima e puotesi chiamare dissimulazione").
Luigi Romani
Diverse strategie si possono adottare per evitare di manifestare in modo palese il proprio pensiero, i propri sentimenti o propositi e frequentemente ci si trova a scegliere fra simulazione e dissimulazione. Un primo, sicuro, aiuto nella scelta ci viene offerto da Torquato Accetto che nel trattato Della dissimulazione onesta (1641) così descrive i due non opposti atteggiamenti: "Io tratterei pur della simulazione e spiegherei appieno l'arte del fingere in cose che per necessità par che la ricerchino; ma tanto è di mal nome che stimo maggior necessità il farne di meno, e, benché molti dicono: Qui nescit fingere nescit vivere, anche da molti altri si afferma che sia meglio morire che viver con questa condizione [...] Basterà dunque il discorrer della dissimulazione in modo che sia appresa nel suo sincero significato, non essendo altro il dissimulare che un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti, da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo".
Simulare e dissimulare sono entrambe voci dotte che provengono dal latino e che solo etimologicamente, con riferimento al significato proprio, potrebbero essere considerate l'una il contrario dell'altra. Il latino simulare, infatti, deriva dall'aggettivo similis "simile" e ha un primo significato proprio, "rendere simile", nel quale viene costruito sia con l'accusativo che, più frequentemente, con il dativo; da questa accezione ne deriva, per traslato, una seconda nella quale il verbo acquista il valore di "fare finta, fingere" che ritroviamo, poi, come principale, nel suo equivalente italiano. Il latino dissimulare, invece, deriva da simulare con l'aggiunta del prefisso dis- e ha il significato proprio di "rendere dissimile, rendere irriconoscibile"; anche da questa accezione, come nel caso precedente, se ne sviluppa, per traslato, una seconda, nella quale il verbo assume il valore di "nascondere, celare, occultare", quello che poi si ritrova nell'uso più largamente diffuso del suo corrispondente italiano.
Il fatto che spesso per nascondere i propri sentimenti o il proprio pensiero, e cioè per dissimulare, si finga il contrario contribuisce ad avvicinare semanticamente i nostri due verbi, tant'è che in alcuni contesti e, specialmente con uso assoluto, dissimulare assume proprio il significato di "fingere, simulare" (sai dissimulare con molta abilità; smettila di dissimulare!).
Non si può, infine, tralasciare che nella dissimulazione si nasconde un formidabile strumento retorico, largamente usato dagli antichi, che lo avvicinavano all'ironia socratica - coma fa, per esempio, Cicerone nel De oratore ("urbana dissimulatio est, cum alia dicuntur ac sentias", "Socrates [...] libenter uti solitus est ea dissimulatione, quam Graeci eirwneian vocant") - e apertamente lodato da Dante nel terzo trattato del Convivio ("questa cotale figura in rettorica è molto laudabile, e anco necessaria, cioé quando le parole sono a una persona e la 'ntenzione è a un'altra [...] questa figura è bellissima e utilissima e puotesi chiamare dissimulazione").
Luigi Romani