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Umanistiche: DIECI ROMANZI SUGGERITI DA GUIDO BALDI

Rassegna stampa
Un piccolo canone
 per la narrativa italiana degli ultimi cinquant'anni
Guido Baldi*

 

Dieci romanzi, dieci modi diversi di rapportarsi alla realtà e alla letteratura: la tragedia straniata dal comico (La cognizione del dolore), l''antiromanzo' barocco che mima il caos del reale (Il Pasticciaccio), il limpido conte philosophique (Il barone rampante), un fiabesco romanzo di formazione (L'isola di Arturo), l'analisi critica dell'alienazione borghese (La noia) e del cancro mafioso (Il giorno della civetta), una cronaca che diventa epica (Il partigiano Johnny), l''impegno' attraverso nuove strutture narrative (Il sorriso dell'ignoto marinaio), un serio gioco postmoderno (Il nome della rosa), un recupero 'manzoniano' laico (La chimera).

Il comico e l'impossibilità del tragico
Dovendo salvare, nella regolamentare cassetta impermeabile alle radiazioni, dieci romanzi di questi ultimi cinquant'anni per i sopravvissuti della futura apocalisse atomica (sempre che sappiano ancora leggere), il primo titolo che mi si presenta alla mente è La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda (1963). È un libro straordinario, che ci offre uno dei più grandi personaggi del romanzo novecentesco europeo: don Gonzalo, l'eroe che si staglia solitario, ultimo rappresentante dei valori e della coscienza critica contro una realtà degradata, volgare e inautentica, da cui si isola sdegnosamente cercando di conservare incontaminata la propria purezza. Nel personaggio si proietta una disperata nostalgia del tragico, ma a essa si accompagna la perfetta consapevolezza della sua impossibilità, nel contesto della realtà moderna. Per questo, contro la sublimità dell'eroe, viene evocata una mediocre realtà provinciale, la cui ontologica stupidità, che assume connotazioni comiche, compromette l'aura tragica che circonda Gonzalo e la sua sofferenza. In tal modo, se il punto di vista di Gonzalo strania la realtà degradata smascherandone la stupidità oltraggiosa, a sua volta la stupidità della realtà quotidiana dissolve la sublimità dell'eroe. Lo scontro fra tragico e comico dà luogo a risultati di inarrivabile intensità e originalità nel panorama della nostra letteratura novecentesca.

Un giallo barocco e metafisico
Accanto alla Cognizione non può mancare l'altro capolavoro di Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957). Il romanzo si fonda su una trama gialla, in cui la ricerca dell'assassino offre l'occasione di creare un vivissimo quadro della società romana negli anni del fascismo. In realtà il romanzo realistico esplode in un proliferare infinito di digressioni, si frantuma nell'intreccio babelico di voci appartenenti ai più diversi livelli linguistici, in un caleidoscopio inesauribile di metafore e giochi verbali. Il Pasticciaccio rende così l'idea della realtà come di un coacervo caotico, in cui sono scomparse tutte le gerarchie fra gli oggetti, quindi restituisce con mirabile acutezza la percezione del mondo propria del Novecento, un'epoca in cui sono crollati tutti i moduli in cui tradizionalmente si ordinava il reale e si è verificata una dissociazione definitiva tra le cose e il senso, con il trionfo dell'inautenticità e della reificazione.

Un moderno conte philosophique
Dal caos barocco di Gadda saltiamo a un romanzo di 'illuministica' limpidezza: l'anno prima del Pasticciaccio era uscito Il barone rampante di Calvino (1956). Lo scrittore vi gioca a ricreare in chiave moderna il conte philosophique settecentesco, costruendo un apologo denso di profondi significati ma trattandoli con una miracolosa levità narrativa. La vicenda del giovanissimo barone Cosimo Piovasco di Rondò, che per un litigio con il padre si inerpica sugli alberi e vi trascorre poi tutta la vita, una vita non solo normale ma operosa e utile alla comunità, diviene metafora della funzione dell'intellettuale, che ha bisogno di guardare la realtà da una posizione di distacco per poterla capire meglio, nonché per restare libero, per non farsi imprigionare da condizionamenti esterni e da dogmatismi ideologici; e tuttavia proprio quel distacco straniante è la condizione che consente la sua partecipazione attiva e consapevole alla vita civile e al progresso storico.

Un fiabesco romanzo di formazione
Come Il barone rampante, anche L'isola di Arturo di Elsa Morante (1957) è la storia di una formazione, dell'uscita dall'infanzia del giovanissimo protagonista, attraverso la lacerante passione per la propria matrigna bambina e il rapporto ambivalente con la figura del padre, che il ragazzo proietta in un'atmosfera mitica, misteriosa e affascinante. Il romanzo insiste su un motivo centrale nell'opera dell'autrice, lo scavo in una materia torbida e dolente, il groviglio oscuro dei rapporti familiari. Però questa materia è sollevata a una dimensione fiabesca, in cui ogni elemento corposo e anche sgradevole sfuma in un clima quasi irreale, di sogno. Il suggestivo effetto è ottenuto mediante la scelta di affidare la narrazione allo stesso Arturo, che trasfigura i dati della realtà vissuta filtrandoli attraverso la sua visione fanciullesca, ingenua e fantasiosa.

Il peccato d'origine della borghesia
Dalle atmosfere fiabesche dell'Isola di Arturo a una stringente analisi critica della realtà: La noia di Moravia (1960) affronta lucidamente un problema posto con urgenza dall'affermarsi in Italia della società industriale avanzata e tecnologica, l'alienazione e la reificazione. Il protagonista, intellettuale borghese, pittore che non riesce più a dipingere perché non può stabilire rapporti autentici con la realtà, sconta in sé il peccato d'origine della sua classe: non sa concepire un legame con il reale se non attraverso la categoria del possesso. Cerca ossessivamente il rapporto sessuale con la giovanissima modella nell'illusione di arrivare così a possederla e ad instaurare attraverso di essa un rapporto autentico con la realtà, poi, sempre insoddisfatto e frustrato, ricorre al denaro, pagandola dopo ogni amplesso, ma va sempre incontro allo scacco. La soluzione che Moravia indica al suo personaggio, dopo l'incidente che lo conduce vicino alla morte, è di lasciarsi vivere, di assumere un atteggiamento puramente contemplativo dinanzi all'esistente, senza più pretendere di stabilire un rapporto con le cose attraverso il possesso.

Dalla storia all'epica
Se Moravia mette a fuoco la precisa problematica di un momento storico, Il partigiano Johnny di Fenoglio (pubblicato postumo nel 1968 ma di datazione incerta, collocabile forse fra il 1956 e il 1959) parte dalla realtà storica per sollevarsi a una dimensione epica. La Resistenza non è vista in chiave politico-ideologica, come avveniva usualmente nella letteratura neorealistica postbellica: la guerra, proponendo lo scontro con la violenza, la sofferenza e la morte, si offre essenzialmente come avventura esistenziale, come prova della dignità dell'individuo, come occasione di una ricerca della propria verità interiore. Il fascino del romanzo, oltre che dall'afflato epico e dalla portata esistenziale, scaturisce dalle tecniche con cui è raccontato: uno sguardo fermo, una narrazione essenziale, tutta azione, concentrata in scene fortemente visive, in cui però si proietta il dramma soggettivo del personaggio. A ciò si aggiunge un linguaggio particolarissimo, di forte impatto, ricco di mescolanze fra italiano e inglese, di forzature espressive, di arditi neologismi.

Un eroe dell'Italia civile
Con Il giorno della civetta di Sciascia (1961) si ha di nuovo una lucidissima analisi critica di un problema del presente: per la prima volta la mafia viene messa al centro di un'opera narrativa destinata al vasto pubblico. Nel romanzo spicca la figura di un eroe positivo, il capitano dei carabinieri Bellodi, che crede fermamente, senza retorica, in alcuni valori e lotta tenacemente per farli trionfare contro una rete vischiosa di connivenze criminali. L'eroe è l'emblema di un'Italia civile che, in contrapposizione a un'Italia barbara, aspira a raggiungere una più moderna organizzazione sociale, fondata sulla giustizia, sull'onestà e sulla libertà. La tensione morale e civile del libro, sostenuta da un'illuministica razionalità, si riflette nello stile, terso, essenziale, concreto, alieno da ogni sbavatura enfatica o sentimentale e al tempo stesso sorvegliato da un'alta sapienza letteraria.

Nuove strutture narrative per l''impegno'
Un romanzo pervaso da una forte tensione civile è anche Il sorriso dell'ignoto marinaio di Vincenzo Consolo (1976), uno dei più importanti di questi ultimi decenni. Si tratta di un romanzo storico ambientato in Sicilia fra il 1852 e il 1860 ed ha al centro una sommossa contadina, scatenatasi in un piccolo paese all'arrivo delle truppe garibaldine. La sommossa è l'occasione per una presa di coscienza del protagonista, un nobile che, pur di idee democratiche, è vissuto sino a quel momento lontano dall'impegno politico diretto, chiuso nelle sue ricerche erudite sostanzialmente aride e futili. Attraverso il suo personaggio l'autore si interroga su grandi temi quali la posizione dell'intellettuale di fronte alla storia, il valore della scrittura letteraria e la sua attuale possibilità, i nodi cruciali della storia civile italiana, del passato ma anche del presente. Un motivo del fascino dell'opera è l'originalità del suo impianto narrativo, che è ben lontano dalle soluzioni realistiche tradizionalmente proprie della letteratura dell''impegno', poiché mescola molte prospettive diverse, intreccia i piani temporali, inserisce documenti storici oppure brani di intensa liricità. Straordinaria è anche l'invenzione linguistica, che combina parole di varia provenienza, arcaiche, letterarie, tecniche, dialettali, straniere.

Un gioco serio
Con Il nome della rosa di Umberto Eco (1980) si entra ormai nel clima del postmoderno. Il romanzo gioca abilmente sulla contaminazione dei generi, in quanto fonde la trama del giallo con il racconto storico e con il romanzo saggistico e filosofico, che dibatte i problemi del presente dissimulandoli dietro quelli del lontano passato medievale. La riaffermazione della narratività avvincente è un'operazione squisitamente intellettualistica: dopo che la neoavanguardia aveva bruciato tutte le possibilità narrative, non restava che ricuperare le forme del passato, ma con la piena consapevolezza della loro artificiosità, in modo ludico e ironico. L'autore di conseguenza costruisce il suo libro con infinite citazioni di altri libri. Se dunque il lettore ingenuo si ferma al primo livello della trama, il lettore più avveduto può divertirsi al gioco dei rimandi e del riuso di temi e figure famose della letteratura, anche di consumo. Al fondo del gioco letterario vi è però un tema serio: il riso come strumento di emancipazione da ogni forma di dogmatismo e autoritarismo, come antidoto contro l'intolleranza rigida e cieca e contro il fanatismo.

Contro il fanatismo
Ricupero di una forma letteraria illustre è anche La chimera di Sebastiano Vassalli (1994), che si rifà addirittura, per certi aspetti, al modello manzoniano, ma in chiave tutta laica. Attraverso la denuncia della persecuzione scatenata contro una presunta strega nell'epoca della Controriforma, il romanzo propone la ferma condanna, in nome della giustizia e della ragione, dei pregiudizi, del fanatismo, della superstizione, che inducono ad azioni aberranti e delittuose. Al centro del romanzo si colloca una suggestiva figura femminile (una sorta di anti-Lucia, se vogliamo riprendere il rimando manzoniano), anticonformista, trasgressiva nella sua disinibita ricerca del piacere in opposizione a un contesto sociale bigotto e repressivo, libera e spregiudicata nei giudizi, che mettono a nudo con acutezza le aberrazioni del costume e della mentalità dell'Italia rurale della Controriforma.

 *Docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l'Università di Torino

 Pubblicato il 12/12/2006












Postato il Sabato, 16 dicembre 2006 ore 00:05:00 CET di Silvana La Porta
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