«Deve essere al servizio del
l’apprendimento e dei progressi». E contro la «cultura
dell’umiliazione», il ministro Hamon lancia una conferenza nazionale
- PARIGI - Con coraggio, anche Benôit Hamon ha deciso di
affrontare la questione dei voti, lanciando una «conferenza nazionale
sulla valutazione degli alunni» che dovrà concludere i suoi lavori
entro dicembre. È la prova che Hamon è entrato definitivamente negli
abiti di ministro dell’Educazione nazionale, dopo essere subentrato a
Vincent Peillon in occasione del rimpasto governativo dei primi di
aprile: chiunque si trovi alla guida di «rue de Grenelle» (il ministero
a Parigi), da decenni ormai è chiamato a misurarsi col problema della
valutazione scolastica.
Per definizione, non va mai bene. Per alcuni, come il filosofo
conservatore Alain Finkielkraut, la scuola francese ha già abdicato
abbastanza al suo vero ruolo, che non è quello di formare cittadini
felici né coccolare gli infanti, ma fornire una istruzione vera fatta
di conoscenze salde. Secondo questo modo di vedere le cose, il declino
della nazione francese è cominciato con il Sessantotto e l’introduzione
nelle scuole di un egualitarismo che ha portato a non valorizzare i
bravi per rassicurare i mediocri, creando generazioni di adulti
semi-illetterati. Toccare il sistema dei voti, renderlo ancora meno
severo, equivarrebbe ad abbassare definitivamente le braccia.
All’opposto di questa visione catastrofica, ci sono le critiche
ricorrenti alla rigidità del sistema scolastico francese, che
nonostante il Sessantotto continuerebbe a riprodurre le differenze di
classe, a penalizzare i bambini provenienti dalle famiglie più modeste
e a mortificare quanti non riescono da subito a impadronirsi dei codici
- per esempio espressivi, all’orale - per andare avanti con successo.
Ecco allora l’iniziativa del neo-ministro, che fa leva sull’ultimo
studio triennale Pisa (Programme for International Student Assessment)
pubblicato dall’Osce. «L’ultima inchiesta Pisa lo ha dimostrato: i
giovani francesi sono quelli che temono di più l’errore e che
presentano i tassi più elevati di non risposta alle domande, per paura
di sbagliare - ha detto il ministro -. È il momento di tornare a
riflettere su un nuovo modo di valutare, al servizio dell’apprendimento
e dei progressi degli allievi».
Il ministro sostiene che la scuola francese deve uscire dalla logica
binaria «lo sa», «non lo sa», e fa l’esempio del dettato. «Uno scolaro
che ha difficoltà in grammatica e sintassi prenderà uno zero in
dettato. Se anche progredisce in sintassi ma continua a fare errori di
grammatica, continuerà a prendere lo stesso zero. Come facciamo a
cogliere il fatto che c’è stato un miglioramento?». Il punto alla fine
è abolire, o mantenere, i voti. Un dilemma decennale, che Hamon non
pretende di risolvere subito ma affidandosi, appunto, a una conferenza
di studiosi che avranno mesi di tempo per presentare le loro
conclusioni. Comunque, il ministro dice già che «il voto deve essere
utilizzato a ragion veduta. È utile, ma se diventa un fattore
paralizzante, meglio sostituirlo con altre forme di valutazione».
Le parole del ministro Hamon sembrano prendere in conto il lavoro del
giornalista britannico Peter Gumpel, che dal 2002 vive a Parigi e,
forte della sua esperienza di padre con due figli nelle scuole parigine
e di docente a Sciences Po, si è dedicato a studiare - e criticare - il
sistema educativo francese con due libri fortunati, «On achève bien les
écoliers» e «Élite academy», quest’ultimo dedicato alle grandi scuole
(Ena, Sciences Po, Normale etc.). «Perché la Francia è il solo Paese al
mondo a scoraggiare i suoi bambini in nome di quel che non sono, invece
di infondere loro coraggio in nome di quello che sono?», si chiede
Gumpel.
All’opposto di Finkielkraut, Gumpel sostiene che nelle scuole francesi
non regni affatto il permissivismo ma piuttosto una disastrosa cultura
dell’umiliazione: «Sei una frana», è la frase più ricorrente tra
insegnanti e compagni di scuola. Nei prossimi mesi Hamon cercherà di
sostituirla con qualcosa di più invogliante.PARIGI - Con coraggio,
anche Benôit Hamon ha deciso di affrontare la questione dei voti,
lanciando una «conferenza nazionale sulla valutazione degli alunni» che
dovrà concludere i suoi lavori entro dicembre. È la prova che Hamon è
entrato definitivamente negli abiti di ministro dell’Educazione
nazionale, dopo essere subentrato a Vincent Peillon in occasione del
rimpasto governativo dei primi di aprile: chiunque si trovi alla guida
di «rue de Grenelle» (il ministero a Parigi), da decenni ormai è
chiamato a misurarsi col problema della valutazione scolastica.
Per definizione, non va mai bene. Per alcuni, come il filosofo
conservatore Alain Finkielkraut, la scuola francese ha già abdicato
abbastanza al suo vero ruolo, che non è quello di formare cittadini
felici né coccolare gli infanti, ma fornire una istruzione vera fatta
di conoscenze salde. Secondo questo modo di vedere le cose, il declino
della nazione francese è cominciato con il Sessantotto e l’introduzione
nelle scuole di un egualitarismo che ha portato a non valorizzare i
bravi per rassicurare i mediocri, creando generazioni di adulti
semi-illetterati. Toccare il sistema dei voti, renderlo ancora meno
severo, equivarrebbe ad abbassare definitivamente le braccia.
All’opposto di questa visione catastrofica, ci sono le critiche
ricorrenti alla rigidità del sistema scolastico francese, che
nonostante il Sessantotto continuerebbe a riprodurre le differenze di
classe, a penalizzare i bambini provenienti dalle famiglie più modeste
e a mortificare quanti non riescono da subito a impadronirsi dei codici
- per esempio espressivi, all’orale - per andare avanti con successo.
Ecco allora l’iniziativa del neo-ministro, che fa leva sull’ultimo
studio triennale Pisa (Programme for International Student Assessment)
pubblicato dall’Osce. «L’ultima inchiesta Pisa lo ha dimostrato: i
giovani francesi sono quelli che temono di più l’errore e che
presentano i tassi più elevati di non risposta alle domande, per paura
di sbagliare - ha detto il ministro -. È il momento di tornare a
riflettere su un nuovo modo di valutare, al servizio dell’apprendimento
e dei progressi degli allievi».
Il ministro sostiene che la scuola francese deve uscire dalla logica
binaria «lo sa», «non lo sa», e fa l’esempio del dettato. «Uno scolaro
che ha difficoltà in grammatica e sintassi prenderà uno zero in
dettato. Se anche progredisce in sintassi ma continua a fare errori di
grammatica, continuerà a prendere lo stesso zero. Come facciamo a
cogliere il fatto che c’è stato un miglioramento?». Il punto alla fine
è abolire, o mantenere, i voti. Un dilemma decennale, che Hamon non
pretende di risolvere subito ma affidandosi, appunto, a una conferenza
di studiosi che avranno mesi di tempo per presentare le loro
conclusioni. Comunque, il ministro dice già che «il voto deve essere
utilizzato a ragion veduta. È utile, ma se diventa un fattore
paralizzante, meglio sostituirlo con altre forme di valutazione».
Le parole del ministro Hamon sembrano prendere in conto il lavoro del
giornalista britannico Peter Gumpel, che dal 2002 vive a Parigi e,
forte della sua esperienza di padre con due figli nelle scuole parigine
e di docente a Sciences Po, si è dedicato a studiare - e criticare - il
sistema educativo francese con due libri fortunati, «On achève bien les
écoliers» e «Élite academy», quest’ultimo dedicato alle grandi scuole
(Ena, Sciences Po, Normale etc.). «Perché la Francia è il solo Paese al
mondo a scoraggiare i suoi bambini in nome di quel che non sono, invece
di infondere loro coraggio in nome di quello che sono?», si chiede
Gumpel.
All’opposto di Finkielkraut, Gumpel sostiene che nelle scuole francesi
non regni affatto il permissivismo ma piuttosto una disastrosa cultura
dell’umiliazione: «Sei una frana», è la frase più ricorrente tra
insegnanti e compagni di scuola. Nei prossimi mesi Hamon cercherà di
sostituirla con qualcosa di più invogliante.
Stefano Montefiori
@Stef_Montefiori
Corriere.it