La repubblica
italiana si fonda sul lavoro. Cioè: il lavoro è ciò che fornisce
l'identità, l'elemento denotativo dello stato italiano. Dopo la
terribile esperienza del fascismo, che aveva ammannito l'idea di uno
stato totalitario, fondato sulla manipolazione delle coscienze, sulla
repressione del dissenso, sulla follia del mito rigeneratore della
guerra ("La guerra sta all'uomo come la maternità sta alla donna"), chi
scrisse la Costituzione volle che fin dalle primissime parole fosse
chiaro che gli italiani ripudiavano il bellicismo, anticipando così
all'art. 1 quanto sarà esplicitamente detto all'art. 11 ("L'Italia
ripudia la guerra") e definivano invece la loro identità come identità
di lavoratori. Detto ciò, il ruolo delle forze armate è di tutt'altra
natura rispetto a quello fondante, identificativo del lavoro.
Le forze armate sono uno strumento di cui lo stato si serve perché
forniscono un servizio che è la sicurezza.
Altri servizi - non meno importanti - sono offerti dai sanitari, dagli
insegnanti, dagli ingegneri, dagli artisti, dai vigili urbani e dai
postini: tutti concorrono al "progresso materiale o spirituale della
società" (art. 4) e come sarebbe assurdo che i medici pretendessero di
sfilare essi soli ai Fori Imperiali in nome di una loro presunta
peculiarità (direi lo stesso perfino se fossero degli astronomi ad
avanzare una simile pretesa), così dovrebbe essere per i militari.
Tutti rendiamo un servizio alla collettività con il nostro lavoro, ma
nessuna categoria di lavoratori costituisce da sola il fondamento dello
stato. Un conto è definire l'identità dello stato italiano, dicendo che
è un popolo di lavoratori.
Un altro conto è definire i servizi che questa o quella categoria rende
alla comunità.
Prof. Maurizio Ternullo