Camera dei
deputati XVII LEGISLATURA Allegato B Seduta di Martedì 11 giugno 2013
ATTI DI INDIRIZZO Mozione (ex articolo 138, comma 2, del regolamento):
La Camera, premesso che: la scuola pubblica è «organo costituzionale»,
come scriveva Piero Calamandrei; luogo dove principi fondativi e
formazione civile si incontrano. La scuola è un diritto fondamentale
che non può essere subordinato alla logica economica, unica norma di
riferimento del tempo che viviamo, perché laddove accada i vincoli
economici sarebbero illegittimi, come recentemente affermato dalla
Corte dei conti della Campania;
a settembre 2012, l'Ocse ha presentato il suo rapporto annuale
«Education at a glance» con dati, grafici e statistiche sulla qualità
dell'istruzione nei paesi Ocse; le indagini Ocse dimostrano che le
società mediamente più colte sono più ricche e più sicure, perché dalla
qualità dell'istruzione pubblica dipendono, oltre alla capacità di
innovazione e di competizione internazionale del sistema produttivo, la
qualità stessa della partecipazione civile e sociale, quindi della
democrazia;
il rapporto Ocse disegna un quadro disastroso per l'Italia, che si
colloca tra gli ultimi sette paesi per livello di istruzione superiore
ed universitaria. Solo il 35 per cento di italiani infatti possiede un
adeguato livello di formazione culturale, contro il 50-70 per cento dei
paesi più avanzati: la percentuale degli studenti inseriti in un
percorso formativo in Italia non si è modificata dal 2005 al 2010; i
diplomati sono il 44 per cento contro la media dell'Unione europea del
66 per cento, i laureati 11 per cento contro la media dell'Unione
europea del 23 per cento; il 48 per cento della popolazione tra i 25 e
64 anni ha conseguito al massimo la licenza media, contro una media
dell'Unione europea del 29 per cento; il 35 per cento di popolazione
vive in situazione di sostanziale illetteratismo, rispetto a una media
del 10-15 per cento dei paesi più avanzati, e un altro 30 per cento di
adulti ha competenze esposte al rischio di rapida obsolescenza;
strettamente legato a tali dati è l'aumento del numero di neet
(giovani che non sono inseriti in percorsi di istruzione o formazione,
non hanno un impiego e non stanno cercando un'occupazione), che
raggiunge il 25 per cento, rispetto ad una media europea del 15,8 per
cento, e che fa piazzare l'Italia quinta su 32 paesi Ocse;
il numero di studenti e studentesse che proseguono il loro percorso
accademico all'estero è fermo al 2,5 per cento;
i dati dimostrano chiaramente le conseguenze di politiche
scolastiche che hanno avuto come unico riferimento la logica della
riduzione dei costi e del pareggio di bilancio, attuata con tagli
indiscriminati ai finanziamenti e alle risorse umane, e come unico
risultato lo smantellamento della scuola pubblica e il rafforzamento
della tendenza alla «privatizzazione dei saperi». Il nostro Paese si
colloca, infatti, 34esimo su un totale di 35 paesi per qualità generale
della formazione, costo medio per lo Stato di ogni studente e
investimenti in istruzione (dati Eurostat 2013, 8,5 per cento del
prodotto interno lordo a fronte del 10,9 per cento dell'Unione
europea): i contributi privati ormai arrivano a coprire il 10 per cento
della spesa totale, solo il 20 per cento della spesa totale dedicata
all'università è dedicata alle risorse per i sussidi (media Ocse circa
il 25 per cento);
a seguito dei tagli, dal 2008 al 2013 è stata prodotta una riduzione
di organico pari a 81.614 docenti e 43.878 unità di personale ata,
nonostante l'incremento delle iscrizioni, ed è stata mortificata,
conseguentemente, l'offerta formativa: al compimento del primo ciclo
della «riforma Gelmini» la scuola primaria passerà da un'offerta
formativa settimanale di 30 ore a 27 ore, senza la possibilità di
istituire nuove sezioni a tempo pieno; la secondaria di primo grado ha
patito un'analoga riduzione dei quadri orari e la secondaria di secondo
grado ha subito una forte riduzione dell'orario curriculare a discapito
delle attività di laboratorio degli istituti tecnici e professionali,
decurtate per il 30 per cento;
dal 2010/2011 ad oggi il processo di dimensionamento indiscriminato
ha ridotto il numero delle istituzioni scolastiche autonome da 9.131
dell'anno in corso a 8.646 dell'anno scolastico 2013/2014, cui si
aggiunge la «istituzionalizzazione» delle scuole in reggenza perché
sottodimensionate;
quest'anno il fondo per il miglioramento dell'offerta formativa è
stato decurtato per pagare gli scatti di anzianità del 2011 a
detrimento del patto contratto con l'utenza, sancito dal piano
dell'offerta formativa, strumento giuridico vincolante come da decreto
del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999;
le gravi differenze territoriali tra Nord e Sud del Paese nella
qualità del sistema educativo restano sostanzialmente invariate; la
dispersione scolastica, intesa come uscita precoce dal sistema di
istruzione e formazione, è particolarmente alta, oltre il 22 per cento
in Sicilia, Sardegna e Campania, ma è soprattutto la quota di neet che
presenta differenze territoriali particolarmente preoccupanti: mentre
nel Nord si attesta a circa il 15 per cento, in Campania e Sicilia
oltre un terzo dei giovani di 15-29 anni non studia, non è inserito in
alcun programma di formazione e non lavora;
le donne conseguono un titolo universitario più elevato rispetto
agli uomini, tendono meno ad abbandonare gli studi, hanno un livello di
competenza alfabetica migliore e fanno più formazione continua, ma
resta più alta tra loro la quota di giovani che non studiano e non
lavorano e più bassa la partecipazione culturale;
oltre al ritardo rispetto alla media europea e al fortissimo divario
territoriale, si riscontra, in tutti gli indicatori che rispecchiano
istruzione, formazione continua e livelli di competenze, che il livello
di istruzione e competenze raggiunto dipende in larga parte
dall'estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio;
la scuola, quindi, non riesce a produrre il cosiddetto «valore
aggiunto» perché le diseguaglianze sociali restano tali;
il percorso formativo, finalizzato a raggiungere e mantenere
conoscenze e competenze adeguate per aumentare l'occupabilità delle
persone e realizzare stili di vita adeguati alla società, è un percorso
continuo che inizia con la scuola dell'infanzia e si estende oltre la
scuola secondaria o l'università con la formazione continua e, più in
generale, con le attività di partecipazione culturale; tuttavia,
nell'attuale ordinamento l'obbligo di istruzione riguarda solo la
fascia di età tra i 6 e i 16 anni;
e tuttavia tra gli orientamenti recenti che si desumono dalla
ricerca Ocse e dalle sollecitazioni europee è forte l'attenzione dei
legislatori per l'espansione dell'accesso alla scuola della prima
infanzia, nella convinzione, fondata su dati, che l'istruzione nella
prima infanzia è correlata con i migliori risultati scolastici negli
anni successivi. Dunque, è necessario pianificare
l'istituzionalizzazione dell'obbligo di frequenza del terzo anno della
scuola dell'infanzia per poi estenderla al segmento 3-18, perché una
scuola di qualità accompagni la crescita dei bambini fino al compimento
della maggiore età. In tal senso si dovrebbe avviare un processo di
incremento del 10 per cento del numero di sezioni di scuola statale
attualmente funzionanti, integrando i contributi alle scuole comunali
per produrre un analogo incremento, ciò allo scopo di rispettare le
vocazioni e le realtà territoriali;
gli attuali parametri di calcolo per l'attribuzione delle somme del
cosiddetto capitolone (decreto ministeriale n. 21 del 2007) non
rispondono a quanto stabilito dalla legge sull'autonomia, che prevede
una dotazione ordinaria e una dotazione perequativa, che non ha trovato
attuazione, mentre è necessario che tutti i fondi statali destinati
alle scuole abbiano un unico canale di finanziamento;
la sfasatura dei tempi della contabilità generale dello Stato con
quella delle istituzioni scolastiche ostacola il regolare funzionamento
della scuola pubblica; la situazione finanziaria degli istituti
scolastici è aggravata dal fatto che le scuole vantano, nei confronti
del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, crediti
per oltre 1 miliardo di euro;
l'Unione delle province d'Italia ha avvertito che l'anno scolastico
2013/2014 è a rischio a causa dei tagli della spending review e del
Patto di stabilità, che rischiano di azzerare la capacità di
programmare spese e investimenti per gli edifici scolastici gestiti
dalle province (le superiori); secondo l'Unione delle province d'Italia
almeno quattro-cinquecento istituti non dovrebbero riaprire a settembre
2013, perché avrebbero bisogno di interventi straordinari di
manutenzione;
l'introduzione affrettata delle tecnologie per il trattamento
informatico dei provvedimenti amministrativi si è finora tradotto in un
doppio lavoro per le segreterie e per gli utenti interni ed esterni
della scuola (docenti, ata, genitori), dal momento che l'inserimento
dei dati ha comportato la duplicazione (on line e cartacea) delle
pratiche amministrative;
occorre invertire le politiche relative alla riduzione del personale
della scuola e ripristinare il numero di docenti necessario
all'organico funzionale, affinché il numero di alunni per classe
risponda alle normative sulla sicurezza e sia stabilito in base
all'autonomia organizzativa delle scuole, al tipo di attività
programmata e alle modalità di organizzazione della didattica, e
adeguare il salario dei docenti ai parametri europei;
nel rispetto del dettato costituzionale, deve essere garantito ai
comuni che gestiscono direttamente le scuole dell'infanzia di poter
continuare a farlo, impedendo il progressivo abbandono dell'erogazione
pubblica diretta di questi servizi. A tal fine, ai comuni devono essere
consentiti l'allentamento dei vincoli di spesa imposti dal Patto di
stabilità e la possibilità di stabilizzare le educatrici e gli
educatori anche al di fuori del blocco del turn over;
dalle ricerche condotte sugli stage previsti dall'alternanza
scuola-lavoro emerge che i diritti degli studenti sono tenuti in poco
conto e che questi rischiano di essere sfruttati dall'azienda, anziché
realmente formati; i tutor interni (docenti dell'istituto) ed esterni
(supervisori dell'azienda) spesso sono assenti poiché costretti a
seguire un numero eccessivo di studenti e con i tagli apportati dal
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 133 del 2008, le ore di flessibilità legate alla formazione
professionale sono aumentate a discapito di quelle trascorse a scuola;
gli studenti non sono considerati assunti secondo un regolare
contratto, quindi non vengono garantiti loro né il rimborso spese, né
la remunerazione e la copertura assicurativa è parziale e vale solo nei
casi di danni permanenti o di morte; prioritaria appare, dunque, la
difesa dei loro diritti, con l'adozione dello statuto dei diritti degli
studenti in stage;
è necessario superare il metodo di valutazione dei test Invalsi,
direttamente derivato dalla valutazione degli alunni e contestato nelle
scuole e dagli esperti, perché si sovrappone alla funzione di
valutazione degli alunni di cui sono competenti i docenti e non
aggiunge altri criteri e rilevazioni legate ai contesti,
all'organizzazione, alla disponibilità di risorse;
secondo dati del Consiglio universitario nazionale, dal 2003-2004
c’è stato un calo delle immatricolazioni del 17 per cento,
corrispondenti a 58 mila studenti in meno, fenomeno che cresce con il
peggiorare della crisi; le fonti di finanziamento del diritto allo
studio universitario sono tre: il fondo statale integrativo, la tassa
per il diritto allo studio universitario e le risorse regionali, ma
l'ammontare del fondo non è certo, ma è stabilito di volta in volta
dalle leggi di stabilità, frutto di contrattazioni tra il Ministero
dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Ministero
dell'economia e delle finanze; l'insufficienza delle risorse
finanziarie e l'inadeguatezza del sistema di finanziamento comportano,
da un lato, una limitata platea di aventi diritto al sistema delle
borse di studio (10 per cento nel 2010/2011 sul totale degli studenti
iscritti, rispetto a paesi, come la Francia e Germania, in cui risulta
rispettivamente del 26 e 30 per cento), dall'altro, l'esistenza della
figura dell’«idoneo non beneficiario», ovvero dello studente che
corrisponde ai criteri previsti dal bando, ma non riceve la borsa di
studio a causa della scarsità dei finanziamenti nazionali, con
impressionante differenza tra le diverse regioni; nel 2011-2012 gli
studenti «idonei non beneficiari» di borsa di studio sono stati 57.000
e la cifra è in costante aumento;
occorre individuare le risorse necessarie, divise tra Stato e
regioni, per coprire il fabbisogno di tutti gli idonei, senza gravare
sugli studenti e sulle famiglie con ulteriori innalzamenti della tassa
regionale; infatti, l'importo della tassa regionale per il diritto allo
studio universitario – che fino al 2012 era fissata autonomamente entro
un range nazionale (tra i 62 e i 133 euro) – a seguito del decreto
legislativo n. 68 del 2012 è aumentata a 140 euro per tutti oppure è
prevista una suddivisione in tre fasce 120, 140, 160 (elevabile fino a
200 euro) in base all'Isee;
le risorse regionali sono pari ad almeno il 40 per cento
dell'assegnazione relativa al fondo statale, ma non esistono criteri
certi per calcolare le risorse regionali. Le regioni, ad esempio,
ritengono che si debba comprendere nel computo delle risorse anche la
spesa per gli alloggi e la ristorazione; elevato è lo squilibrio
interregionale rispetto alle prestazioni: la soglia Isee per ricevere
la borsa di studio varia da regione a regione (tra i 14.697 euro ed i
19.596 euro nel 2011/2012), nonché gli importi di borsa sono diversi,
anche in base alle diverse detrazioni per alloggio e vitto, quando
applicate, e ci sono tanti bandi quante sono gli enti, agenzie o uffici
al diritto allo studio universitario (se ne contano più di 50), in
assenza di livelli essenziali delle prestazioni vincolanti a livello
macro-regionale;
rispetto ai dati 2010/2011 i posti letto gestiti dagli enti
regionali sono circa 43.000 a fronte di 85.000 aventi diritto fuori
sede: in media, l'alloggio viene garantito ad uno studente su due degli
aventi diritto. Sul totale degli studenti, la percentuale che beneficia
di posto letto è del 3 per cento (in base ai dati Eurostudent, su 23
paesi europei l'Italia è penultima);
la mobilità internazionale è fortemente influenzata dalla condizione
sociale della famiglia di origine: il 9 per cento circa dei figli di
laureati ha effettuato un'esperienza di studio all'estero, contro il 3
per cento circa di figli di genitori con istruzione medio-bassa (dati
Eurostudent);
la legge n. 390 del 1991 riconosce alle regioni la possibilità di
disciplinare i prestiti d'onore incentivando la realizzazione di
prestiti da parte delle regioni e delle università agli studenti, in
molti casi come forme sostitutive delle borse di studio; negli ultimi
anni sono stati stanziati complessivamente circa 50 milioni di euro su
quattro differenti linee di azione non coordinate tra di loro: il fondo
per la concessione una tantum di prestiti fiduciari (istituito con la
Legge finanziaria per il 2004), il finanziamento agli atenei per
progetti sperimentali e innovativi per la concessione agli studenti di
prestiti d'onore (decreto ministeriale del 23 ottobre 2003), il
progetto «DiamogliCredito» (2007) del Ministero delle politiche
giovanili, poi trasformato nel progetto «DiamogliFuturo» (2010). Tali
strumenti costituiscono forme di indebitamento per gli studenti che
dovranno poi restituire il prestito entro alcuni anni dalla laurea con
degli interessi non bassi;
i servizi mensa vengono sempre più spesso esternalizzati da parte
degli enti del diritto allo studio universitario, con aumenti dei costi
a scapito della qualità e della possibilità di proporre un sistema di
tariffe agevolate per accedere al servizio ristorazione che esenti dal
pagamento gli studenti idonei alla borsa di studio;
la «riforma Gelmini» ha determinato molti gravi danni nell'offerta
didattica: si è voluto unire la didattica alla ricerca, affidando molte
responsabilità ai dipartimenti, i quali non hanno gli strumenti per
occuparsene; in molti casi sono sorte le scuole, con compiti di
coordinamento che nessuno, finora, è riuscito a chiarire con
precisione; il progressivo invecchiamento del corpo docente e le enormi
difficoltà di reclutare nuovi insegnanti, a fronte di fondi in costante
diminuzione, stanno decretando la morte dell'università pubblica;
il Governo Monti ha tolto 300 milioni di euro al fondo di
finanziamento ordinario, principale fonte di entrata degli atenei
italiani, con il risultato che molte università sono sull'orlo del
default, che sicuramente ci sarà in assenza di provvedimenti rapidi che
assegnino nuove risorse alle università;
il conseguimento di un adeguato rapporto tra spesa per ricerca e
sviluppo e prodotto interno lordo è uno dei cinque obiettivi cardine
stabiliti nell'ambito della strategia «Europa 2020» per accrescere i
livelli di produttività, di occupazione e di benessere sociale; in tale
prospettiva, particolare risalto viene dato alla necessità di
incentivare l'investimento privato in ricerca e sviluppo. Nel 2010 –
secondo dati diffusi dall'Istat a dicembre 2012 – il rapporto tra
ricerca e sviluppo e prodotto interno lordo dell'Italia è all'1,26 per
cento, inalterato rispetto al 2009; resta così per lo più stabile il
gap con i paesi europei più avanzati. La debolezza italiana si conferma
anche nel settore privato con un rapporto tra spesa in ricerca e
sviluppo delle imprese e prodotto interno lordo pari a 0,68 per cento,
in leggero aumento rispetto al 2009, ma ancora stabilmente al di sotto
della media europea (1,24 per cento nel 2010). Il personale impegnato
in attività di ricerca (espresso in termini di unità equivalenti a
tempo pieno) risulta pari a 225.632 unità, in calo dello 0,4 per cento
rispetto all'anno precedente;
a fronte di tutto questo, anche i provvedimenti più recenti, quali
la proposta di test d'ingresso per le scuole superiori, l'approvazione
del regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di
istruzione e formazione da parte del Consiglio dei ministri in
prorogatio dopo le elezioni e senza il coinvolgimento del mondo della
scuola, l'annuncio di un piano nazionale contro la disoccupazione
giovanile indicano il persistere di politiche emergenziali; occorre,
invece, invertire la rotta con un graduale e costante incremento
dell'investimento pubblico per l'istruzione, per portare l'Italia ai
livelli della media dei paesi dell'Unione europea (oltre il 6 per
cento) ed in linea con le strategie Lisbona e Horizon 2020, attraverso
l'elaborazione di un progetto unico e coerente finalizzato a garantire
un'istruzione pubblica di qualità, inclusiva, laica, aperta,
accessibile a tutte e tutti in un sistema di apprendimento permanente
lungo tutto l'arco della vita, in grado di ristabilire una stretta
connessione tra conoscenza, sviluppo sostenibile, occupazione e
partecipazione democratica;
dalla crisi economica si esce anche con più investimenti nella
cultura e nell'arte, in grado di stimolare consumi diversi, oltre che
di produrre ricchezza, ma in maniera pervicace si continuano a tagliare
le risorse del fondo unico per lo spettacolo;
come riconosciuto dalla strategia «Europa 2020», i settori culturale
e creativo costituiscono un'importante fonte potenziale di occupazione.
Negli ultimi dieci anni l'occupazione complessiva in tali settori è
cresciuta in misura tre volte superiore rispetto alla crescita
occupazionale registrata dall'economia dell'Unione europea nel suo
insieme. I settori culturale e creativo sono anche una fonte di
creatività e di innovazione non tecnologica per l'intera economia,
grazie alla produzione di servizi e beni competitivi e di alta qualità.
Infine, attraverso i pertinenti legami con il settore dell'istruzione,
la cultura può contribuire efficacemente alla formazione di una forza
lavoro qualificata e adattabile, integrando così le prestazioni
economiche,
impegna il Governo:
ad aumentare la qualità complessiva dell'istruzione pubblica,
recuperando i tagli effettuati negli ultimi anni (pari a circa il 6 per
cento del suo bilancio);
a rendere obbligatoria, prima dell'accesso alla scuola elementare,
la frequentazione di un anno della scuola dell'infanzia, incrementando
del 10 per cento il numero delle sezioni di scuola dell'infanzia,
rispettandone le identità territoriali (comunale o statale);
a innalzare l'obbligo scolastico a 18 anni, da svolgere
esclusivamente nel sistema di istruzione, escludendo esplicitamente che
l'ultimo anno dell'obbligo scolastico possa essere svolto attraverso i
contratti di apprendistato nelle aziende;
a rivedere il percorso scolastico complessivo dai 5 ai 18 anni; a
garantire che in ogni parte del Paese sia soddisfatta la richiesta di
percorsi di istruzione secondaria superiore espressa dagli studenti e
dalle famiglie, offrendo tutti gli indirizzi previsti dal sistema;
a combattere la dispersione scolastica con appositi strumenti e
risorse, tenendo anche conto delle specificità territoriali e, in
particolare, della gravità di tale fenomeno nelle regioni del
Mezzogiorno;
a consentire ai comuni di poter continuare la gestione diretta delle
scuole dell'infanzia, escludendo dai vincoli di spesa imposti dal Patto
di stabilità quelle sostenute per la gestione pubblica di tali servizi,
e a permettere la stabilizzazione delle educatrici e degli educatori
anche superando il blocco del turn over;
ad assumere iniziative per ridurre e, progressivamente, eliminare il
finanziamento delle scuole private anche se paritarie, destinando le
risorse disponibili prima prioritariamente e poi esclusivamente alla
scuola pubblica;
a stabilire e attuare un piano nazionale per mettere in sicurezza
gli edifici, individuando le risorse necessarie sulla base delle
necessità rilevate dagli enti locali;
a stabilizzare il personale precario della scuola, ripartendo da
quanto previsto nel 2008 dal Governo Prodi, che aveva trasformato le
graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento ed aveva
programmato un piano di assunzioni di 150.000 docenti precari in tre
anni;
a rivedere i modi e le finalità della prima formazione, del
reclutamento, della formazione in servizio del personale della scuola;
ad eliminare la somministrazione dei test Invalsi, individuando
metodi che siano in grado di sviluppare lo spirito critico degli
studenti e la valutazione da parte di tutte le componenti della scuola;
a prevedere una valutazione del sistema scolastico affidata ad un
ente autonomo, non di diretta nomina ministeriale, dotato di risorse
adeguate e specifiche, facendo sì che tale valutazione non abbia
finalità premiali, ma compensative e di supporto alle scuole e ai
docenti, sia svolta con modalità statistiche e non in maniera censoria
ed in collegamento con la valutazione europea dei sistemi scolastici;
a riconoscere e a smobilizzare il miliardo di euro di crediti
vantati dalle scuole nei confronti dello Stato;
a stanziare risorse per investimenti e formazione mirati a garantire
l'efficienza dell'amministrazione scolastica e il corretto uso delle
tecnologie per il trattamento informatico dei procedimenti;
a introdurre l'adozione e l'approvazione obbligatoria dello statuto
delle studentesse e degli studenti in stage, per garantire i diritti
basilari a tutti gli studenti che frequentano stage e momenti formativi
all'interno delle aziende, in particolare il rimborso delle spese e una
copertura assicurativa totale a favore degli studenti;
ad intervenire in materia di diritto allo studio, nella prospettiva
di un'autonomia responsabile, in modo da rendere più omogenea la
materia sul territorio nazionale; a individuare principi generali e a
disciplinare in maniera estensiva le garanzie di accesso, specie per
gli studenti più deboli e i migranti, alle borse di studio, agli
alloggi, alle mense e ai trasporti;
a coinvolgere continuativamente i componenti del Forum delle
associazioni studentesche, che dovranno svolgere un ruolo di proposta e
di supporto nei confronti del Ministro dell'istruzione, dell'università
e della ricerca quando sarà elaborata la proposta di legge quadro in
materia di diritto allo studio;
ad elevare a 350 milioni di euro le risorse del fondo statale
integrativo per il diritto allo studio universitario e a portare tale
stanziamento a regime, con una pianificazione almeno triennale del
finanziamento del fondo nazionale integrativo;
a stabilire criteri standard per il calcolo delle risorse regionali
da destinare al diritto allo studio universitario;
a introdurre un bando unico per il diritto allo studio, che sarà
costruito tenendo conto dei livelli essenziali delle prestazioni su
base macro-regionale e che vincolerà le regioni a garantire un livello
di prestazioni minime che potrà soltanto essere migliorato rispetto
alle linee guida nazionali;
a stabilire una soglia dell'Isee di 21.000 euro in tutte le regioni
per l'accesso alla borsa di studio e un importo minimo della borsa su
base nazionale, con importi massimi valutati sulla base dei costi della
vita locale; a introdurre criteri automatici di revisione della soglia
massima Isee, in corrispondenza delle modifiche di detti parametri;
a prevedere l'esenzione dalla tassa regionale per il diritto allo
studio per tutti gli studenti idonei a ricevere la borsa di studio e
per quelli che, pur non potendo accedere alle borsa di studio, hanno
redditi bassi e vanno sostenuti nella scelta di intraprendere e
proseguire gli studi universitari; a stabilire, nell'applicazione della
tassa, criteri di effettiva progressività in base al reddito per tutti
gli altri;
a rispettare la normativa prevista dalla legge n. 338 del 2000 che
cofinanzia la realizzazione di nuovi studentati, incrementando le
risorse statali disponibili e prevedendo una relazione annuale del
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al
Parlamento che informi sulla disponibilità di nuovi alloggi e posti
letto, sullo stato di avanzamento di quelli in corso di realizzazione e
sul loro ammontare complessivo;
a favorire il riutilizzo e la riconversione di edifici di proprietà
degli enti pubblici che possano essere destinati ad abitazioni per
studenti a canone calmierato, in modo da favorire la concorrenza al
canone di libero mercato;
a introdurre specifiche disposizioni a favore degli studenti che
denunciano gli affitti in nero, anche cofinanziando l'istituzione di un
fondo regionale per l'assistenza legale a tali studenti;
a introdurre sgravi fiscali a favore dei proprietari di immobili
sfitti che li mettano a disposizione a canone calmierato agli studenti,
attraverso appositi contratti;
a favorire esperienze di co-housing e social housing, anche
attraverso sgravi fiscali sui contratti e sulle utenze, che sono
risultate positive in molti paesi europei e che potrebbero svolgere un
ruolo anche nel recupero di aree della città in stato di degrado;
a rivedere i criteri di merito per l'assegnazione delle borse di
studio, recependo le richieste delle organizzazioni studentesche, al
fine di attuare realmente ed efficacemente il dettato costituzionale
della garanzia della possibilità per «i capaci e i meritevoli anche se
privi di mezzi» di accedere ai più alti gradi dell'istruzione; a
coordinare l'intervento con gli atenei in modo da rispettare la loro
autonomia didattica;
ad aumentare i contributi per progetti, come Erasmus e Leonardo, che
favoriscono la mobilità internazionale;
a eliminare il prestito d'onore, nella sua regolamentazione attuale,
facendo confluire gli stanziamenti previsti per «DiamogliCredito» e per
il fondo per il merito all'interno del fondo integrativo nazionale per
le borse di studio;
a stabilire, d'intesa con le regioni, una tariffa massima nazionale
per il servizio mensa, stanziando a tal fine idonee risorse pubbliche
che rendano sostenibili i prezzi dei pasti da parte degli studenti e a
introdurre sistemi di verifica della qualità dei servizi mensa rilevata
dall'utenza;
ad assegnare al fondo di finanziamento ordinario dell'università
risorse sufficienti a sostenere i fabbisogni dell'università pubblica e
comunque non inferiori a 300 milioni di euro;
a incrementare, nell'ambito del piano nazionale della ricerca, la
percentuale di prodotto interno lordo destinata alla ricerca e allo
sviluppo, in modo da favorire il raggiungimento degli obiettivi europei
entro il 2020;
a incrementare lo stanziamento complessivo del fondo unico per lo
spettacolo di almeno 150 milioni di euro per portarlo ai livelli del
2001;
a destinare, già con le prossime iniziative di natura politica e
finanziaria, adeguate risorse per il perseguimento degli obiettivi del
presente atto di indirizzo, tenendo conto che tali disponibilità
potrebbero essere eventualmente reperite attraverso:
a) l'aumento delle aliquote prelievo erariale unico sugli
apparecchi da intrattenimento;
b) l'aumento dei canoni di concessione radio-tv;
c) l'incremento del 15 per cento dell'aliquota dei capitali
scudati;
d) l'aumento della ritenuta sui redditi delle rendite finanziarie
fino al 23 per cento;
e) l'incremento dell'aliquota irpef per le persone fisiche con
reddito complessivo oltre 100.000 euro;
f) il definanziamento dei costi del programma F35;
g) il definanziamento dell'acquisto dei sommergibili in base a
quanto previsto dal documento programmatico pluriennale per la difesa
per il triennio 2013-2015;
h) l'adozione di nuove disposizioni per l'emersione di materia
imponibile e contributiva con riferimento agli immigrati privi di
permesso di soggiorno;
i) la revisione ed eventuale soppressione di alcune agevolazioni
fiscali (tax expenditures), considerato che l'ammontare complessivo
degli effetti dei 263 regimi agevolativi indicato nell'allegato del
bilancio di previsione per il 2013 è pari a 156.231 milioni per il
2013, a 156.168 milioni per il 2014 e a 155.423 milioni per il 2015;
l) la tassazione progressiva sui grandi patrimoni immobiliari oltre
gli 800.000 euro.
(1-00076) «Giancarlo Giordano, Costantino, Fratoianni, Migliore, Di
Salvo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Duranti, Daniele
Farina, Fava, Ferrara, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon,
Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale,
Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta,
Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».