Nuova sentenza
della Corte costituzionale che ricorda come sia vietato al Governo
l’utilizzo delle retribuzioni differite per il riequilibrio di bilancio
attraverso l’introduzione di una tassa speciale verso solo alcune
categorie di contribuenti. Ricordato il carattere tributario dei
sacrifici imposti dalla legge n. 122/10 della cui proroga il Senato
discute il parere. Il sindacato chiede la restituzione ai pensionati
dei 50 milioni di euro così risparmiati in questi due anni. Avviate
altre iniziative per il recupero dei crediti anche su blocco stipendi,
perequazione pensioni e indennità vacanza contrattuale. La
Confederazione avvia le procedure per recuperare per stipendi e
pensioni superiori ai 90.000 Euro rispettivamente le quote trattenute
dall’8/10 al 10/12 (stipendi) e dall’8/11 al 6/13 (pensioni), per
sbloccare gli aumenti di stipendio e riconoscere la perequazione del
2,6% per le pensioni superiori a 1.400 Euro per il 2012/13, per
certificare il credito del 2,69% del TFS maturato per il biennio
2009/11 e per ottenere la restituzione della trattenuta del 2,5% di TFR
prelevata dalla busta paga degli ultimi dieci anni (2003-2013). Il
contributo di perequazione del 5% sulla differenza tra i 90.000 e i
150.000 Euro, del 10% tra i 150.000 e 200.000 Euro e del 15% sopra i
200.000 Euro, prelevato mensilmente a partire dal 1° agosto 2011 fino
al 31 dicembre 2014 come previsto dall’art. 18, c. 22 bis legge n.
111/11 e dall’art. 24, c. 31bis della legge n. 201/12 viola gli art. 3
e 53 della Costituzione. Il Governo aveva introdotto la norma per
reperire altri 26 milioni di euro ad anno attraverso una tassazione
surrettizia dopo che lo stesso contributo di solidarietà era stato
applicato agli stipendi dei dipendenti/dirigenti pubblici attraverso
l’art. 9 della legge n. 122/2010. Ma è proprio la declaratoria di
incostituzionalità di questa norma già manifestata nella sentenza n.
223 del 7 ottobre 2013 che è stata ribadita dal Giudice delle leggi
nell’ultima sentenza n. 116 del 3 giugno 2013, dopo che il Mef nella
nota dell’8 novembre scorso aveva interrotto la trattenuta sugli
stipendi. Per Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir
al contenzioso, “ancora una volta è stato ribadito dalla Consulta il
principio di uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini davanti alla
legge anche in presenza di interessi rilevanti di bilancio, principio
su cui si regge il nostro ordinamento e che il Parlamento non può
ignorare mentre si appresta a dare il parere sul Regolamento
governativo che intende prorogare il blocco degli stipendi dei
dipendenti pubblici anche per il 2014 e non riconoscere gli scatti
attribuiti nel 2011”. Sta ora al Governo - come ha anche chiarito il
sen. Zanettin, relatore del provvedimento (atto n. 9/13) in I
Commissione Affari Costituzionale del Senato - valutare bene gli
effetti della proroga di una norma che potrebbe essere travolta dalla
Consulta - il prossimo 5 novembre - quando saranno discusse una decina
di ordinanze rimesse da sei tribunali amministrativi regionali e da un
tribunale del lavoro sul blocco degli stipendi per il personale della
scuola, dell’università, delle ambasciate, dell’agenzia delle
telecomunicazioni. Nel frattempo, la Confedir avvia le procedure anche
legali per il recupero delle somme spettanti ai dipendenti/dirigenti
pubblici in servizio e in quiescenza. La Confedir mette a disposizione
i modelli per recuperare il contributo di solidarietà versato da chi ha
percepito una retribuzione o una pensione superiore ai 90.000 Euro. Per
info, scrivi a contributosolidarieta@confedir.it.
La Confederazione avvia anche le procedure per ottenere la perequazione
automatica del 2,6% prevista dal D. I. del 18 gennaio 2012, anche per
gli importi di pensione superiori a tre volte il valore minimo (1.443
Euro al mese), bloccata dall’art. 24, c. 25 della legge 214/11. In tal
caso, scrivere a pensioni@confedir.it.
Per aderire, infine, alle iniziative legali per il recupero degli
aumenti di stipendio e dell’indicizzazione della vacanza contrattuale,
bloccati per il triennio 2011-2013, e dell’eventuale proroga relativa
al 2014 dell’aliquota del 2,69% del TFS per il biennio 2011-2012 (quale
differenziale tra il 9,60% spettante e il 6,91% attribuito prima
dell’entrata in vigore dell’art. 1, cc. 98-99 della legge n. 228/12), e
del 2,5% di TFR indebitamente trattenuto negli ultimi dieci anni per i
neo-assunti dopo il 15 maggio 2000 (ai sensi dell’art. 1, c. 2 del DPCM
20 dicembre 1999), bisogna scrivere rispettivamente a
scatti@confedir.it, tfs@confedir.it, tfr@confedir.it.
Per approfondimenti, leggi i precedenti Comunicati Anief-Confedir sul
blocco degli scatti:
http://www.anief.org/content_pages.php?pag=5908&sid=
http://www.anief.org/content_pages.php?pag=5850&sid=
Stralcio della sentenza n. 116/13
Considerato in diritto […]
6.– La questione sollevata in riferimento agli articoli 3 e 53 Cost. è
fondata.
7.– La norma censurata si inserisce nell’ambito del d.l. n. 98 del
2011, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria,
emanato nel quadro di una più articolata manovra di stabilizzazione che
ha avuto inizio con il d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, recante misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica,
sviluppatasi in seguito attraverso altri interventi, contenuti nel d.l.
n. 138 del 2011. In tali manovre sono state contemplate, per quanto
attiene specificamente alle situazioni evocate dalle ordinanze in
esame, misure dirette a perseguire un generale “raffreddamento” delle
dinamiche retributive del pubblico impiego, oltre a interventi
temporanei di riduzione delle retribuzioni e ad interventi “di
solidarietà”, variamente articolati, quanto a diverse categorie di
cittadini, posti a carico sia del personale dipendente dalle pubbliche
amministrazioni, sia della generalità di cittadini.
Per quanto qui interessa, con riferimento alla norma censurata, questa
Corte ha ricostruito la portata dell’attuale formulazione e
dell’attuale vigenza della disposizione. La legge 14 settembre 2011, n.
148, nel non convertire in legge l’originaria formulazione del comma 1
dell’art. 2 del d.l. n. 138 del 2011 (che aveva abrogato il comma
22-bis dell’art. 18 del d.l. n. 98 del 2011), ha sostituito, come già
osservato nella sentenza n. 241 del 2012, il comma non convertito con
una disposizione che si è limitata a riaffermare la perdurante
efficacia del comma 22-bis dell’art. 18 del d.l. n. 98 del 2011 («le
disposizioni di cui agli articoli […] 18, comma 22-bis, del
decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano ad applicarsi nei termini ivi
previsti rispettivamente dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 e dal
1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014»). Conseguentemente, con la mancata
conversione, la stessa abrogazione è venuta meno, con effetto
retroattivo, ai sensi dell’art. 77, terzo comma, Cost., cosí da
determinare la reviviscenza del comma 22-bis abrogato dal decreto non
convertito.
7.1.– Va altresì osservato che, alla luce del chiaro tenore letterale,
la disposizione trova applicazione, in relazione alle erogazioni di
trattamenti pensionistici obbligatoria, sia in favore del personale del
pubblico impiego, sia in relazione a tutti gli altri trattamenti
corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatori, ivi
incluse le forme pensionistiche che garantiscono prestazioni in
aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio
(comprese quelle di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996, n.
563, recante «Attuazione della delega conferita dall’articolo 2, comma
23, lettera b), della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di
trattamenti pensionistici, erogati dalle forme pensionistiche diverse
da quelle dell’assicurazione generale obbligatoria, del personale degli
enti che svolgono le loro attività nelle materie di cui all’art. 1 del
D.Lgs.C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691», al decreto legislativo 20
novembre 1990, n. 357, recante «Disposizioni sulla previdenza degli
enti pubblici creditizi», al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n.
252, recante «Disciplina delle forme pensionistiche complementari»),
nonché i trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti
delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20
marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e
del rapporto di lavoro del personale dipendente), e successive
modificazioni.
7.2.– Questa Corte ha già espressamente qualificato l’intervento di
perequazione in questione come avente natura tributaria, non solo
allorché si è occupata, dichiarandone l’illegittimità costituzionale,
dell’analogo intervento di cui all’art. 9, comma 2 del decreto-legge n.
78 del 2010 (sentenza n. 223 del 2012), ma anche e soprattutto allorchè
ha esaminato la stessa norma oggi impugnata, con la citata sentenza n.
241 del 2012. In tale pronuncia è stato affermato che «il contributo
oggetto di censura è previsto a carico dei trattamenti pensionistici
corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie ed ha
natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo
a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei
dipendenti pubblici (sopra descritto al punto 7.3.) previsto dallo
stesso comma 1 nella parte dichiarata illegittima da questa Corte con
la suddetta sentenza n. 223 del 2012 e la cui natura tributaria è stata
espressamente riconosciuta dalla medesima sentenza. La norma impugnata,
infatti, integra una decurtazione patrimoniale definitiva del
trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del
relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla
giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare il prelievo come
tributario (ex plurimis, sentenze n. 223 del 2012; n. 141 del 2009; n.
335, n. 102 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006; n. 73 del 2005)».
Nella specie, la Corte ribadisce la natura tributaria della norma
impugnata, e pertanto la correttezza della premessa interpretativa che
ha condotto i rimettenti ad impugnare la norma per violazione degli
artt. 3 e 53 Cost.
7.3.– Le principali censure dei rimettenti individuano nella misura in
questione un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai
danni di una sola categoria di cittadini. L’intervento riguarda,
infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi
fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una
irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi, divenuta
peraltro ancora più evidente, in conseguenza della dichiarazione di
illegittimità costituzionale dell’analogo prelievo di cui al comma 2
dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 (sentenza n. 223 del 2012).
Così correttamente individuato il rapporto di comparazione fra soggetti
titolari di trattamenti pensionistici erogati da enti gestori di forme
di previdenza obbligatorie e tutti gli altri titolari di redditi, anche
e non solo da lavoro dipendente, come reso palese nelle ordinanze nn.
54 e 55 del 2013, la questione, come con la pronuncia n. 223 del 2012,
va scrutinata in riferimento al contrasto con il principio della
“universalità della imposizione” ed alla irragionevolezza della sua
deroga, avendo riguardo, quindi, non tanto alla disparità di
trattamento fra dipendenti o fra dipendenti e pensionati o fra
pensionati e lavoratori autonomi od imprenditori, quanto piuttosto a
quella fra cittadini.
Va infatti, al riguardo, precisato che i redditi derivanti dai
trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una
natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a
riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost., il quale non
consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da
lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004,
n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro
ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono,
nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento
della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e
contributivi richiesti.
A fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità
di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore
ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di
trattamenti pensionistici: il contributo di solidarietà si applica su
soglie inferiori e con aliquote superiori, mentre per tutti gli altri
cittadini la misura è ai redditi oltre 300.000 euro lordi annui, con
un’aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la deducibilità dal
reddito.
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che «la Costituzione non
impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri
assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di
imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con
la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri
di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo
tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di
rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla
libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di
solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della
Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000). Il controllo della Corte in
ordine alla lesione dei principi di cui all’art. 53 Cost., come
specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui
all’art. 3 Cost., non può, quindi, che essere ricondotto ad un
«giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia
fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di
verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo
presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità
dell’imposizione» (sentenza n. 111 del 1997).
In relazione agli interventi di stabilizzazione della finanza pubblica,
nel cui contesto si colloca la disposizione in esame, questa Corte ha
evidenziato la sostanziale coincidenza dei prelievi tributari posti in
comparazione, ritenendo irragionevole il diverso trattamento fra
dipendenti pubblici e contribuenti in generale (sentenza n. 223 del
2012).
Anche in questo caso, è necessario analogamente rilevare l’identità di
ratio della norma oggi censurata rispetto sia all’analoga disposizione
già dichiarata illegittima, sia al contributo di solidarietà (l’art. 2
del d.l. n. 138 del 2011) del 3 per cento sui redditi annui superiori a
300.000 euro, quest’ultimo assunto anche quale tertium comparationis.
Al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il
legislatore ha imposto ai soli titolari di trattamenti pensionistici,
per la medesima finalità, l’ulteriore speciale prelievo tributario
oggetto di censura, attraverso una ingiustificata limitazione della
platea dei soggetti passivi.
Va pertanto ribadito, anche questa volta, quanto già affermato nella
citata sentenza n. 223 del 2012, e cioè che tale sostanziale identità
di ratio dei differenti interventi “di solidarietà”, determina un
giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento
riservato alla categoria colpita, «foriero peraltro di un risultato di
bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo
Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di
eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando
diversamente un “universale” intervento impositivo». Se da un lato
l’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare
è suscettibile di consentire il ricorso a strumenti eccezionali, nel
difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi
finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti
cittadini necessitano, dall’altro ciò non può e non deve determinare
ancora una volta un’obliterazione dei fondamentali canoni di
uguaglianza, sui quali si fonda l’ordinamento costituzionale.
Nel caso di specie, peraltro, il giudizio di irragionevolezza
dell’intervento settoriale appare ancor più palese, laddove si
consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il
trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita
(fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del 2006);
sicché il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie
risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su
redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni
lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita
lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure
ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro.
Va, quindi, pronunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18,
comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 111 del 2011, come modificato dall’art. 24, comma
31-bis, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 214 del 2011.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 22-bis,
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24, comma
31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti
per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici),
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 3 giugno 2013.
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