LA DENUNCIA
ROMA I conti, nelle tasche dei dipendenti pubblici, li hanno fatti i
sindacati. E sono conti al ribasso, aggiornati dal blocco dei
contratti, peraltro ribadito dal ministro della Funzione Pubblica,
Giampiero D’Alia. Seimila euro persi in cinque anni per mancati aumenti
di stipendio. Gli anni che vanno dal 2010 al 2014, cioè quelli relativi
a tutto il periodo di stop della contrattazione e delle indennità. Come
dire che in un lustro, i tre milioni di statali, dovranno rassegnarsi a
veder ridotte le proprie retribuzioni di 240 euro al mese. Secondo le
organizzazioni sindacali, alla fine del prossimo anno mancheranno
all’appello almeno 10 punti di potere di acquisto.
I CONTI
Un conto salatissimo pagato alla crisi e alla spending review, ma che
potrebbe risultare ancora più pesante se solo si prendesse in esame,
più in dettaglio, la dinamica contrattuale. Vero è che lo stop riguarda
il quinquennio 2010-2014, ma in effetti il blocco si prolunga almeno
dal 2008-2009, biennio in cui avvennero gli ultimi rinnovi. Aggiungere
i due-tre anni, ai cinque di blocco in atto, significa arrivare a quota
otto. Non è finita. Secondo l’Istat, quindi l’istituto principe che si
occupa di statistiche, i tempi medi per rinnovare i contratti nel
pubblico e nel privato variano tra i ventiquattro e i trenta mesi.
L’ultima promessa – anzi, una speranza – del ministro, Gianpiero
D’Alia, parla di un possibile sblocco dei contratti per il 2015. Ma la
firma potrebbe non arrivare prima del 2017-2018. Risultato finale: i
dipendenti statali rischiano di ritrovarsi con i nuovi contratti e
quindi i nuovi aumenti (se ci saranno) a distanza di dieci anni dalla
firma sui vecchi. Prospettiva assolutamente non incoraggiante per una
categoria che, a torto o a ragione, si è sentita spesso bistrattata.
Comunque presa di mira per inefficienza e scarso attaccamento al
servizio. I sindacati sentono che la platea degli iscritti è
irrequieta. E hanno deciso di riaprire il confronto con il governo, per
ora con un atteggiamento soft, ma non è escluso che la possibile
indisponibilità dell’esecutivo (conseguenza della mancanza di risorse)
possa far maturare prese di posizione via via più rigide. Fino a
sfociare in aperto conflitto. Nelle settimane scorse era stato il
leader della Cisl, Raffaele Bonanni, a preannunciare la volontà ferma
di riaprire con il nuovo esecutivo il tema del blocco dei contratti
pubblici: «E’ una delle nostre priorità». Che tocca anche quella degli
organici. Sventato, al momento, il pericolo dei tagli, è un fatto che
il personale è continuato a calare negli anni, a partire dal 2008. Tra
il 2008, appunto, e il 2011 gli impiegati statali sono diminuiti di
quasi 154.000 unità (circa il 5%) passando da 3.436.000 a 3.247.000. E
nel 2012 la cura dimagrante è proseguita. Facile immaginare che il
trend proseguirà.
I DIPENDENTI
Il settore più numeroso è quello della scuola con un milione di
dipendenti, seguito da quello della sanità con oltre 600.000. Poi
Regioni e autonomie locali (488.000). Più di 300.000 gli uomini delle
forze dell’ordine, quasi 120.000 quelli delle forze armate. Nella
magistratura sono impiegate 10.000 persone, nelle università circa
90.000, nella ricerca 20.000. E’ la Lombardia la regione con il maggior
numero di dipendenti pubblici: 406.000. Al secondo posto il Lazio con
401.000. Ma proprio il Lazio ad avere il maggior numero di impiegati
(12,35% ).
Luciano Costantini
Informazionescuola.it