Le
istituzioni scolastiche in Italia sono circa 9 mila, con una media di
80 insegnanti e 20 unità di personale A.T.A. per ciascuna. Cinque anni
fa la media era maggiore di circa 5 e 3 unità, rispettivamente, mancano
cioè all'appello 45 mila insegnanti e 30 mila A.T.A., per un totale di
75 mila lavoratori. Questo è l'effetto di 20 mila pensionamenti
all'anno, circa 30 mila assunzioni, ma queste ultime soltanto
quest'anno, e soprattutto di un fenomeno ben più corposo. Per ogni
scuola 10 lavoratori che facevano supplenze annuali sono diventati
supplenti occasionali, e altrettanti supplenti occasionali sono
diventati disoccupati.
Sono circa 150 mila i lavoratori in meno, quindi, ben più dei 30 mila
dipendenti pubblici tagliati in Grecia. E questo solo nella scuola,
mentre sappiamo che in altri servizi sociali (sanità, trasporto
pubblico) esistono fenomeni analoghi. C'è, evidentemente, un desiderio
di tagliare l'istruzione e gli altri servizi pubblici. Alla faccia
dell'obiettivo di Lisbona, dell'80% di diplomati nel 2020.
Se si guarda al futuro in modo lungimirante, l'istruzione è una
risorsa, un valore aggiunto, non un costo. La vecchia Europa perde la
produzione manifatturiera, e quindi deve volgersi sempre di più verso
la ricerca, l'innovazione, le attività culturali. Questo è il nostro
futuro. Occorre che nei programmi della prossima stagione politica sia
chiaro qual è il ruolo della scuola e dell'istruzione.
Lorenzo
Picunio (Lettera dal giornale, “Bresciaoggi”)