Nuovo colpo alle pensioni
di anzianità. Per chi ha riscattato gli anni di laurea e quello
del servizio militare non basteranno più i 40 di contributi,
indipendentemente dall´età anagrafica, per lasciare il lavoro. Quegli anni conteranno sì ai fini del
calcolo dell´importo dell´assegno pensionistico, ma non per l´accesso
alla quiescenza. Nei fatti - quello deciso ieri dal governo - è
un aumento dell´età pensionabile da un anno a quattro e oltre a seconda
del corso di laurea. Va aggiunto,
inoltre, che già oggi chi matura i requisiti per andare in pensione
raggiungendo i 40 di versamenti deve aspettare 15 mesi (sono 12 per gli
altri) perché si apra la relativa "finestra" per abbandonare il lavoro.
Il provvedimento non si applica a chi ha svolto un´attività
usurante.
Per la prima volta si tocca una platea
di lavoratori che finora era stata largamente esclusa dai correttivi.
Sono perlopiù lavoratori precoci, spesso operai residenti nelle regioni
del Nord.
Lavoratori che sono andati in fabbrica a 18 anni, e anche prima, e che
in media lasciano il lavoro intorno ai 58 anni, molto prima dei 65
previsti (60 per le donne) per la pensione di vecchiaia. Il governo
stima di poter ricavare da questa misura 500 milioni il primo anno di
applicazione, cioè il 2013; un miliardo l´anno successivo, e poi tra
1,2 a 1,5 miliardi dal 2015 in poi. Di certo è una misura strutturale e
che, come tutte quelle che riguardano le pensioni, permette di "fare
cassa".
Difficile quantificare il numero di lavoratori interessati. Secondo
alcuni calcoli - non del governo - saranno almeno 80 mila coloro che
dovranno posticipare di un anno l´accesso alla pensione dopo aver
riscattato ai fini contributivi l´anno della leva militare. Di meno
quelli con il riscatto laurea. Molto penalizzati potrebbero essere i
medici, che oltre agli anni di laurea hanno un lungo periodo di
specializzazione, secondo il sindacato di categoria della Cgil.
L´idea di intervenire su questa platea di lavoratori è nata un po´ di
tempo fa nelle stanze della Ragioneria dello Stato. Ma è stato il
ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, a rispolverarla nei giorni
scorsi e prepararla, dopo una serie di verifiche politiche e con Cisl e
Uil, per il lungo vertice di ieri a Arcore. Sacconi ha deciso di
muoversi senza clamore dichiarando a più riprese che non era necessaria
una nuova riforma della previdenza e che, semmai, si sarebbe potuto
intervenire su alcuni aspetti marginali (come quella dei lavoratori che
vanno in pensione con 40 anni di contributi, appunto) oppure
sull´accorciamento del periodo di transizione per il passaggio di tutto
il sistema al modello contributivo. Una scelta politica la sua,
duramente criticata ieri dall´economista Elsa Fornero, esperta di
questioni previdenziali: «L´esclusione del servizio militare dal
calcolo dei 40 anni di anzianità necessari per l´uscita dal lavoro
senza requisiti anagrafici è un intervento meschino ed estemporaneo
ipotizzato da chi non capisce nulla di sistemi di previdenza». Fornero
ha quindi rilanciato l´introduzione per tutti del metodo contributivo
con il meccanismo pro rata.
Sacconi ha scelto un´altra strada. Ha sondato i leader di Cisl e Uil,
Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti che non si sono opposti pur non
avendo mai immaginato di proporre una soluzione del genere. Il ministro
ne ha poi parlato con il collega Roberto Calderoli, il leghista
deputato a tenere i rapporti con il Pdl in vista della modifica del
decreto di Ferragosto. Strappato il via libera dal Carroccio (da quel
momento in poi, non a caso, Calderoli ha cominciato a parlare di tagli
alle pensioni «di chi non ha mai lavorato», alludendo evidentemente ai
periodi delle leva e degli studi universitari), Sacconi ha presentato
la sua proposta al ministro dell´Economia, Giulio Tremonti, che
ovviamente l´ha accolta.
la (da Repubblica di Roberto Mania)
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