Ai sensi dell’art.17 del
D.leg. 213/09 l’Invalsi ha tra i suoi compiti: la promozione di
periodiche rilevazioni nazionali sugli apprendimenti, il supporto alle
scuole per la valutazione dei risultati, lo studio di modelli e
metodologie per la valutazione delle istituzioni scolastiche e dei
fattori che influenzano gli apprendimenti. Le prove nazionali perciò,
se intese come verifiche per correggere le disfunzioni del sistema e
migliorare gli interventi, sono uno strumento fondamentale e necessario.
Mase, come pure il punto e prevede, devono servire «a realizzare
iniziative di valorizzazione del merito » (un merito non meglio
identificato), non ci si può meravigliare se le scuole contestano le
prove. È avvenuto infatti un naturale cortocircuito tra la
somministrazione dei test, quest’anno introdotti per la prima volta
anche nella scuola superiore, e le reiterate dichiarazioni della
Gelmini che vuole premiare gli insegnanti sulla base dei risultati di
apprendimento dei ragazzi, avvalendosi proprio delle prove Invalsi.
Senza considerare inoltre che la correzione dei test è per i docenti
coinvolti un lavoro che non si improvvisa e un ulteriore impegno non
retribuito. E così in molte scuole è scoppiata la rivolta. Gli studenti
si sono rifiutati di rispondere ai test perché non vogliono essere
«etichettati» (infatti le prove dovrebbero essere anonime, ma
attraverso un codice è possibile risalire all’autore). Gli insegnanti
perché pensano che saranno valutati sulla base dei risultati degli
studenti. Così come al solito si butta il bambino con l’acqua sporca,
mentre di un uso intelligente delle prove ci sarebbe un gran bisogno.
Per far questo occorrerebbero però alcune condizioni:
1) Sapere le finalità dei test. Sarebbe utile sentirsi dire che le
prove non servono a stilare graduatorie tra scuole, né a premiare gli
insegnanti migliori,ma a ragionare sul funzionamento degli istituti
autonomi e del sistema nel complesso.
2) Conoscere che cosa si voglia monitorare: l’allievo, la classe,
l’insegnante, la scuola?
3) Avere chiarezza di quali siano i livelli di apprendimento, descritti
in termini di obiettivi e competenze, al termine dei vari cicli
scolastici.
4) Essere consapevoli che le prove sono solo uno strumento, non il fine
della scuola, nessun docente perciò dovrebbe mai pensare di addestrare
gli allievi al superamento dei test a danno del tempo finalizzato
all’acquisizione di saperi fondamentali. 5) Rendere realmente anonimi i
test.
6). Costruire prove ben strutturate.
7) Informare gli insegnanti sul significato delle rilevazioni, sui
criteri di attribuzione dei punteggi. 8) Investire in ricerca e
costruire alleanza con le scuole.
Sofia Toselli -
Presidente Nazionale CIDI da l'Unità
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