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Didattica: Chi dovrebbe insegnare la lingua e la civiltà siciliana? Al di là della réclame sarebbe meglio incentivare l'italiano

Redazione
Consensi unanimi pare abbia suscitato l'approvazione del disegno di legge della  commissione Cultura dell'Assemblea regionale siciliana, che prevede l'insegnamento della lingua e cultura siciliana nelle scuole di ogni ordine e grado. Le "norme”  stabilirebbero fra l'altro un modulo di due ore settimanali che "dovranno tener conto della storia della Sicilia dalle sue origini sino ai tempi odierni, con approfondimenti critici e confronti fra le varie epoche e dominazioni, sull'avanzamento sociale, economico e culturale del popolo siciliano.” Nicola D’Agostino (vice capogruppo MPA all’Ars) che ha presentato la legge, ha pure commentato: “Un ringraziamento alla commissione che ha approvato all’unanimità il provvedimento e a tutti i partiti che hanno accolto senza partigianeria per quella che è: una legge a costo zero per la Regione che intende consentire alle future generazioni di avere una migliore conoscenza della nostra storia e consapevolezza del perché dei nostri ritardi e del potenziale economico e sociale.
Una opportunità che dobbiamo saper cogliere al meglio attraverso una offerta formativa obbligatoria stabile che veda la collaborazione con l’ufficio regionale scolastico e tutti i docenti chiamati ad insegnare la storia siciliana.”
 Al di là del dato politico, l’insegnamento delle lingue regionali (dialetti, parlate locali ecc.) pur avendo in sé una sua  nobile finalità, che è appunto il recupero di una romantica identità culturale, ha pure bisogno di docenti in grado di farlo e in possesso di titoli documentabili per affrontare un tema tanto impegnativo e nello stesso delicato.
Allora la questione è se posizionare lo studio del dialetto e della cultura siciliana  come corso curricolare, sfruttando il 20% dell’orario settimanale, o se inserirlo come attività aggiuntiva pomeridiana, coinvolgendo solo i ragazzi che ne farebbero richiesta o se aggiungere due ore nel piano complessivo delle lezioni. In tutti i tre casi  il nodo centrale è trovare insegnanti preparati, che abbiano cioè i titoli necessari, e soprattutto documentabili, per attuare una docenza quantomeno dignitosa.
Dove trovarli? E’ vero che tutti (o forse no?) conoscono la parlata locale e la storia regionale, ma è anche vero che, relativamente alla lingua, migliaia di termini caratteristici siciliani col tempo sono andati perduti, sia perché l’economia è cambiata, da agricola a industriale e quindi col conseguenziale disuso di parole tipiche dei nostri contadini, e sia perché la lingua in sé è fatto dinamico e quindi soggetta a mutazioni e cambiamenti, come è possibile vedere fra un autore italiano anche di metà novecento e uno dei nostri giorni, Camilleri compreso. E allora quale lingua dialettale insegnare? E non solo, ma quale area linguistica, tra le tante esaminate dal compianto prof. Piccitto dell'Università di Catania, portare alla conoscenza dei ragazzi?
 E non si dovrebbero conoscere, da parte dei prof incaricati per tale docenza,  le specificità provinciali per cui nell'area del nisseno la “barca” si pronuncia sempre “barca” ma nel catanese si trasforma in “vacca”, come “vavveri” il “barbiere”  e similari? 
Tranne che si prevedano corsi universitari specialistici e il ministero assegni classi di concorso e abilitazioni relative, perché altrimenti l’insegnamento del dialetto diventa non più istruzione seria ma altro, un modo per sprecare i fondi e per consentire a qualche docente raffazzone di integrare il magro stipendio. E non solo, ma se viene scelto di usare il 20% (per esempio: su 4 ore di italiano un’ora di dialetto) dell’orario curricolare, quanti docenti abilitati, o comunque con titoli certificabili, occorrono? Se poi lo si vuole insegnare in orario extrascolastico quanti ragazzi e per quante ore a settimana vi parteciperebbero? Diciamo la metà su una media di 600? E gli altri? E inoltre: chi ne verifica, certificandoli, i risultati degli alunni?E se si aggiungono due ore alle ore curricolari, sarà questa materia oggetto di esami di stato e di valutazione? 
Ma non si capisce neanche cosa si intenda dire che lo studio della storia e della cultura siciliana potrà essere effettuato a costo zero. In altri termini si prenderanno docenti e si metteranno in cattedra, senza neanche spendere una lira per aggiornali: e quali? Quelli di lettere? Ma costoro, nel piano di studi universitari e nella conseguente abilitazione, hanno mai approfondito la lingua e la cultura siciliana, così come è richiesto dal disegno di legge? Il punto è allora se implementare uno studio serio a scuola della lingua e civiltà siciliana o se andare alla garibaldina, nel senso di iniziare la traversata e sui luoghi dello sbarco in base a come finisce l'approdo sarà in seguito raccontato?

Pasquale Almirante
p.almirante@aetnanet.org








Postato il Venerdì, 15 aprile 2011 ore 15:28:58 CEST di Pasquale Almirante
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