I permessi per motivi personali e familiari
sono diritti. Il dirigente scolastico, dunque, non può negarli, perché
la relativa fruizione è sottratta alla sua discrezionalità. Lo
ha spiegato l'agenzia per la rappresentanza delle pubbliche
amministrazioni guidata da Antonio Naddeo, con una nota in risposta ad
un quesito, emessa il 2 febbraio scorso (prot. Aran 0002698/2011 del
2/2/2011 e prot. uscita n.0003989/2011 del 16/02/2011). Il
provvedimento, di cui si è avuta notizia solo in questi giorni, fa luce
sulla questione ed è particolarmente prezioso per gli addetti ai lavori
perché proviene dall'Aran. E cioè dall'agenzia che rappresenta il
governo in sede di contrattazione collettiva e che sottoscrive i
contratti in suo nome. È pur vero che il ministero dell'istruzione ha
conferito agli uffici scolastici regionali il potere di fornire
chiarimenti sullo stato giuridico del personale.
Ma è altrettanto vero che l'ufficio scolastico non può discostarsi dal
parere del governo che, tramite, l'Aran, si è espresso in questi
termini: «La previsione contrattuale
generica ed ampia di motivi personali o familiari e la possibilità che
la richiesta di fruizione del permesso possa essere supportata anche da
autocertificazione, a parere dell'agenzia, esclude un potere
discrezionale del dirigente scolastico, il quale nell'ambito della
propria funzione_è preposto al corretto ed efficace funzionamento
dell'istituzione scolastica nonché alla gestione organizzativa della
stessa».
E se non c'è discrezionalità, non esiste nemmeno la possibilità di
rigettare la domanda di permesso. Che non è una semplice istanza
rivolta alla pubblica amministrazione, ma una mera manifestazione di
volontà di fruire di un diritto. Diritto espressamente previsto dal
contratto che, peraltro, ha avuto una gestazione lunga e travagliata,
durata ben 11 anni e che, a quanto pare, stenta a trovare esecuzione.
D'altra parte, è solo con il contratto del 2006 che i permessi per
motivi personali e familiari vengono qualificati espressamente come
diritti: «Il dipendente, inoltre, ha diritto, a domanda, nell'anno
scolastico», recita l'articolo 15, «a tre giorni di permesso retribuito
per motivi personali o familiari».
Una formula alla quale si arriva con lente e graduali trasformazioni
che partono dal contratto del 1995, che all'art. 21 così disponeva: «A
domanda del dipendente sono, inoltre, concessi nell'anno scolastico tre
giorni di permesso retribuito per particolari motivi personali o
familiari debitamente documentati anche al rientro».
Nella successiva tornata negoziale, la clausola in parola veniva
modificata, cancellando l'aggettivo «particolari» e l'avverbio
«debitamente» nel modo seguente: «A domanda del dipendente sono,
inoltre, concessi nell'anno scolastico tre giorni di permesso
retribuito per motivi personali o familiari documentati, anche al
rientro, od autocertificati in base alle leggi vigenti. (art.49)».
Con il contratto del 2002 la medesima clausola contrattuale viene
inserita nell'art. 15 e subisce un'ulteriore modificazione, tramite la
sostituzione della locuzione «sono concessi» con la diversa dicitura
«sono attribuiti», così come segue: «A domanda del dipendente, inoltre,
sono attribuiti nell'anno scolastico tre giorni di permesso retribuito
per motivi personali o familiari documentati anche mediante
autocertificazione». Infine, nel 2006, le parti sgombrano il campo
dagli equivoci e pattuiscono che i permessi sono diritti e ciò, secondo
l'Aran, «esclude un potere discrezionale del dirigente scolastico».
(da ItaliaOggi di Antimo Di Geronimo)
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