Non c’è democrazia senza
uomini e donne in grado di farla vivere e crescere.
Questo è il compito prioritario della scuola pubblica. Per questo
Berlusconi l’attacca.
Sono tre anni che la scuola è tagliata, mortificata, ridotta al minimo
del suo funzionamento. Con provvedimenti di discutibile legittimità
questo governo ha operato intenzionalmente per rendere la scuola
dello Stato, la scuola dell’art. 3, comma 2 della Costituzione, un
luogo inefficiente, inospitale, selettivo, dove si farà sempre
più fatica a insegnare e apprendere. Il momento è difficile e il
malessere degli insegnanti si taglia a fette. In una situazione così,
se
arriva alla scuola un’offesa ingiusta e spregevole da chi avrebbe, per
responsabilità istituzionali, il compito di salvaguardarla, il
malessere aumenta, l’irritazione esplode.
Gli insegnanti “inculcano” le loro idee agli alunni, è stato detto,
sottintendendo che la scuola dello stato sia un luogo
pericoloso, da cui le famiglie si debbono guardare. In realtà si
attacca la scuola pubblica, la scuola dello Stato, per quello che essa
rappresenta, un luogo dove si cresce e si impara
tutti insieme, dove non si fa differenza tra il ricco e il povero, tra
chi è italiano e chi non lo è, tra il
bianco e il nero, tra chi è credente e chi no. Tutti i giorni gli
insegnanti sono impegnati, attraverso il
confronto delle idee, nello sforzo di istruire ed educare cittadini
liberi, colti, capaci di pensiero
autonomo. La fatica di insegnare e apprendere merita rispetto,
attenzione e cura. E una classe
politica che non è capace di capire questa verità elementare e offende
e mortifica quanti la scuola,
malgrado le difficoltà, ogni giorno la fanno funzionare, fa al paese
l’offesa più grande.
Certo, ogni generalizzazione è sbagliata: perciò non ci nascondiamo le
zone d’ombra, le
inadempienze, le posizioni di comodo presenti in questa come in altre
categorie. Ma è
spregiudicata irresponsabilità la delegittimazione degli insegnanti.
A chi giova allora questo gettare fango sfruttando la possibilità di
utilizzare mezzi di informazione
che alla scuola non sono accessibili? A chi torna utile il qualunquismo
di chi parla della scuola
come di un fenomeno di degenerazione sociale e culturale, con
l’approssimazione superba e
acritica di chi pensa che poiché la scuola è di tutti, tutti ne possano
parlare?
E soprattutto, colleghi, dove siamo noi, insegnanti consapevoli,
democratici, responsabili, vincolati
indissolubilmente all’etica della nostra professione? Abbiamo maturato
anticorpi tali che ci
proteggono dalla delegittimazione e dalla ipocrisia di chi usa la
menzogna per esprimere un’idea di
scuola che non vogliamo e non possiamo condividere?
E’ utile questa nostra rassegnazione? E’ socialmente produttiva l’idea
che sarà solo l’esempio del
nostro lavoro a far giustizia di ogni informazione tendenziosa, di ogni
mortificazione subita? Sarà
la nostra serietà a prevalere sulla delegittimazione?
Io credo di no, che non sia sufficiente. Credo che occorrano risposte
altrettanto penetranti e potenti.
Ma per fornire queste risposte abbiamo bisogno che il nostro malessere
e la nostra indignazione
diventino visibili, palpabili.
Testimoniamo perciò con la nostra presenza il 12 marzo l’importanza
straordinaria del lavoro che
facciamo. Meritiamo rispetto, pretendiamolo.
(di Sofia Toselli)
redazione@aetnanet.org