In questi ultimi anni
molta enfasi è stata posta su un’idea di «serietà» della scuola che si
esprimerebbe attraverso una sua maggiore propensione a sancire
l’insuccesso attraverso la bocciatura. Quel che non si considera è che
alle bocciature corrisponde un peggioramento delle condizioni
educative, che si risolve in una perdita nella qualità dell’istruzione.
Da questo punto di vista la proposta che arriva dall’Austria offre
degli spunti interessanti. La differenza fra gli allievi che godono per
provenienza sociale di una condizione di vantaggio e gli altri è che
per i primi l’esperienza compiuta all’esterno della scuola integra
l’apprendimento formale, mentre per gli altri presenta caratteristiche
che vanno nella direzione
opposta.
Offrire a tutti l’opportunità di compiere esperienze apprezzabili dal
punto di vista educativo è il modo per rendere più omogenei i risultati
conseguiti dagli allievi. La crisi che oggi molti sistemi scolastici
stanno attraversando si collega al contrasto che si è determinato fra
due interpretazioni contrapposte della funzione della scuola: la prima
segue una logica orientata ai tempi lunghi (educazione), l’altra a
quelli brevi (formazione). La rapidità dei cambiamenti che intervengono
nella cultura e nelle attività produttive ha spinto molti ad affermare
un criterio di utilità immediata, come quello che si esprime nella
formazione professionale: chi impara a svolgere attività pratiche e
applicative è in grado di svolgere queste attività non appena conclusa
la fase dell’apprendimento. Ma per quanto tempo resteranno valide le
competenze acquisite? Va nella direzione opposta la scelta a favore
dell’educazione. Non c’è dubbio che leggere Dante non abbia alcuna
utilità pratica, ma chi può negare che il profilo che si acquisisce non
migliori la capacità di adattamento nel lungo periodo? (da
Corriere della sera di Benedetto Vertecchi)
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