È impossibile non
cogliere nelle parole del cardinale Angelo Bagnasco una voluta presa di
distanza da Silvio Berlusconi. Innanzitutto sul merito della sortita
domenicale del premier, che aveva giustapposto la scuola pubblica alla
scuola privata, sia pure per far cadere l’accento sul valore di
quest’ultima e sul diritto delle famiglie a scegliere liberamente le
modalità di educazione dei propri figli.
Bagnasco si è dissociato nettamente da ogni affermazione, suonata come
una critica alla scuola statale e ai suoi insegnanti. Anzi, il
presidente della Cei ha elogiato i «tantissimi» professori e maestri
che ovunque si prodigano per i giovani. Ma ancor più ha negato una
contrapposizione tra scuola pubblica e privata. È questo uno dei
principi-chiave del progetto educativo della Chiesa, architrave della
stessa sussidiarietà.
Nel vocabolario di Bagnasco sono persino abolite le definizioni
«scuola pubblica» e «scuola privata», cioè quelle usate da Berlusconi
nel suo intervento al congresso dei Cristiano riformatori. Il cardinale
usa infatti le espressioni «scuola statale» e «non statale», nella sua
visione integrate in una più ampia idea di «pubblico». E non si tratta
di una questione nominalistica, ma di un tema di grande rilevanza
culturale, che impegna ormai da decenni il dibattito politico. In fondo
fu Luigi Berlinguer, ministro di Prodi, il primo a definire nella legge
sulla parità scolastica un nuovo sistema integrato, costituito dalle
scuole pubbliche «statali» e dalle scuole pubbliche «non statali», i
cui titoli sono certificati e riconosciuti dallo Stato. Con il
centrosinistra poi ci sono state frizioni per l’erogazione delle
risorse alle scuole non statali. Frizioni che la Cei ha tuttora pure
con il centrodestra. Ma sulla nuova idea di «pubblico» la Chiesa
intende tenere fermo il punto. Le maggiori resistenze sono ancora nella
sinistra più radicale, che tendono a far coincidere pubblico e statale.
Ieri comunque Bagnasco ha voluto segnalare che le ultime sortite di
Berlusconi giocano a favore esattamente di quelle componenti.
Nella critica, comunque, si coglie anche il crescente distacco
personale del vertice ecclesiale rispetto al premier. Se Berlusconi ha
iniziato un’offensiva del dialogo con la Chiesa per recuperare
posizioni dopo le imbarazzanti rivelazioni del Rubygate e del bunga
bunga, la risposta non poteva essere più gelida. Questo non vuol dire
condanna per il centrodestra e per i cattolici che militano da quella
parte. Non vuol dire neppure che è all’orizzonte un diverso
collateralismo. Ieri lo stesso Bagnasco ha ribadito la critica al
relativismo, ricordando il beato John Henry Newman e le sue riflessioni
sulla coscienza che non va «intesa come pura soggettività», ma che
rappresenta «l’eco della voce di Dio». La Cei sembra intenzionata a
instaurare con la politica un confronto più aperto del recente passato,
comunque esigente per i cattolici ovunque collocati e a questo punto
proiettato sul dopo-Berlusconi, dove i vescovi non vedono tuttora
emergere una credibile alternativa. Ma facendo leva proprio su questo,
il Cavaliere proverà ancora a ridurre le distanze, a partire dalla
legge sul testamento biologico. (di Claudio Sardo da
http://www.ilmessaggero.it/)
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