A lavori ancora in
corso, posso dire che le cose che ho letto sul sussidiario sono tutte
vere e scrivo la mia con un po’ di tristezza. Da me siamo all’80 per
cento dell’opera e non sta andando bene, nonostante il passaggio in
collegio docenti di una delibera quadro dedicata al tema della
valutazione.
La scuola italiana ha bisogno di un’anima per ridare senso a quello che
gli studenti, giorno dopo giorno, sono chiamati a fare: parlo della
passione del lavoro di docente, della capacità di trasmettere
entusiasmo, della capacità di convincere circa l’utilità dello studio
personale, della capacità di adeguare il processo di insegnamento al
mutato quadro concettuale e mentale dei giovani (i cosiddetti stili
cognitivi).
Non dobbiamo prendercela con gli scrutini: se la valutazione non
funziona non è colpa dello scrutinio elettronico e neanche della
confusione mentale prodotta dalla necessità di valutare (tentare di
valutare) per competenze. Non è colpa degli scrutini se la valutazione
è in crisi; ma allo scrutinio un DS scrupoloso vede parecchie cose
della scuola meritevoli di attenzione.
La mia scuola è fatta per l’80 per cento da un vecchio Itis (ora
Istruzione Tecnica settore Tecnologico, indirizzi Meccanico,
Elettrotecnico ed Informatico) e per il restante 20 per cento da un
vecchio Liceo Scientifico Tecnologico (ora Liceo Scientifico Opzione
Scienze Applicate). Vediamo allora cosa ho visto.
Si boccia troppo - È troppo diffuso il principio della valutazione
intesa come premio-punizione e troppo poco diffusa un’idea di
valutazione come momento formativo e come momento in grado di
intervenire sulla dimensione affettiva dello studente nei confronti del
suo processo di apprendimento.
Qualche docente teorizza esplicitamente l’idea che i voti del primo
quadrimestre servano da lezione per indurre gli studenti a studiare. A
parte il rischio di indurre conclusioni del tipo non ne vale la pena,
trovo singolare che un professionista dell’insegnamento non si
interroghi sul fatto che non possa accadere che una intera classe cambi
completamente, e in maniera drastica, il suo rendimento in una materia
solo perché è cambiato il docente.
I casi sono due: o è stato preceduto da un incompetente (o da una
intera serie di incompetenti), e allora avrebbe dovuto segnalarlo
tempestivamente al DS, oppure lui sta sbagliando in qualche cosa sia
nel giudizio, sia nella prognosi, perché è ben noto che non si impara
(e non si disimpara) a scrivere in tre mesi.
La discussione su questi elementi in sede di scrutinio è abbastanza
imbarazzante perché tra colleghi, tendenzialmente, non ci si espone e
perché è naturale ammettere che, in caso di nuovo docente, si abbiano
fasi di assestamento dovute a cambiamenti di metodologia. Tutto bene se
discutessimo di un 6 che diventa 5; non ci siamo se invece l’intera
classe viene presentata come insufficiente, bisognosa di essere messa
in riga e magari gli stessi studenti lamentano una mancanza totale di
disponibilità all’ascolto.
Questo aspetto del docente come monade dentro un momento di valutazione
collegiale dovrebbe gradualmente attenuarsi se riusciremo a passare
alla valutazione per competenze, ma in realtà (per farlo) ci sarebbe
bisogno di momenti di condivisione del lavoro, orario di servizio
distinto dall’orario di insegnamento, continuità nella composizione dei
consigli di classe, tutte cose che si scontrano con i chiari di luna
attuali.
Che voto dare - Valutare prove e prestazioni e poi farci sopra delle
medie aritmetiche (neanche ponderate) è la prassi normale. Anche i
docenti più impegnati ed emotivamente coinvolti cedono le armi di
fronte ad una verifica andata male.
Quasi nessuno apre il registro, si concentra sullo studente, scrive un
giudizio in cui si colgono gli elementi più rilevanti e poi azzarda un
voto (solo alla fine). Se si cerca di imporre la stesura di un giudizio
si scatena la metodologia del copia e incolla. Non ho nulla contro il
copia e incolla, ce l’ho con il rifiuto di pensare allo studente mentre
si valuta e con l’approccio secondo cui si preparano giudizi precotti
per ogni valore di voto.
Il giudizio, come dice la norma, deve essere breve; breve ma efficace,
magari un po’ unilaterale perché è inutile declinare ciò che è ovvio.
Se il 4 e il 3 rappresentano la insufficienza grave e gravissima, se il
5 rappresenta la insufficienza, uno si aspetterebbe di riscontrare nei
tabelloni un numero di 6 o 7 pari o superiore ai 5 e di 8 o 9 pari ai 3
o 4. Non è così, e non è così perché si continua ad usare una logica da
matita blu come se valutare volesse dire conteggiare il numero di
errori.
So benissimo che insegnare si fa sempre più complesso e che il docente
opera in un quadro di messaggi, che giungono dal centro, che spinge
alla demotivazione e al laissez faire; ma avendo fatto il docente per
la maggior parte della mia vita attiva non riesco a giustificare la
rinuncia alla mission di questo lavoro, alla sua trasformazione in un
fatto burocratico, al tentativo di trasmettere dovere in modo
contrapposto al piacere.
Oh capitano, mio capitano, come ne L’attimo fuggente. Se ci si sente un
sergente maggiore, meglio andare in pensione il prima possibile.
Due parole però anche al centro: ma si pensa di cambiare la scuola
senza investire nemmeno un euro né in interventi di
rimotivazione-formazione, né in incentivi alla professionalità? (di
Claudio Cereda da Il Sussidiario)
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