Chiariscono poco in
verità i “chiarimenti” forniti dal Comitato Tecnico Scientifico – CTS -
(Nota ministeriale del 20 dicembre u.s.) sulle sperimentazioni che
dovrebero premiare, in alcune province italiane, i docenti più
apprezzati e le scuole con performance migliori.
Questa è almeno la valutazione di chi, nonostante la pesantezza della
situazione complessiva dei nostri istituti (o forse proprio per
questa?) è ancora disposto a dare credito a quanto
potrebbe aiutare a introdurre elementi di “movimento” e quindi, in
prospettiva, di miglioramento per il nostro languente sistema
scolastico.
La nota introduttiva ai “chiarimenti”, a firma del Dipartimento per la
programmazione e la gestione delle risorse, parla, certamente con
cognizione di causa, di un “dibattito serrato” sul Progetto di
sperimentazione e rileva come in esso sarebbero emerse “preoccupazioni
e informazioni non corrette”. Ma il riferimento è stranamento
circoscritto alla sola sperimentazione che mira a premiare i docenti
più apprezzati.
Non si accenna minimamente a quella sulla valutazione delle scuole, su
cui non poche sono state le perplessità sollevate da più parti.
Sperimentazione, quest’ultima, che, come si sa, dovrebbe consistere nel
calcolo del “valore
aggiunto contestualizzato” di ogni scuola, a partire dalle prove
standardizzate dell'INVALSI sugli apprendimenti degli studenti
(per ora, della secondaria di primo grado) -; prove che riguardano
la comprensione dei testi e la matematica.
Non si capiscono le ragioni di questa “omissione”. Perché si tratta di
sperimentazione molto
impegnativa, dove le criticità non riguardano tanto la dubbia nozione
adottata di “ premialità”
(si premia non in ragione della vicinanza o meno a performance assunte
a obiettivi degni di
attenzione, ma della mera collocazione “nella fasca alta della
graduatoria” - massimo il 25% del totale delle scuole che
aderiscono -, anche prescindendo dal valore dei risultati conseguiti),
quanto la complessità e la difficoltà dell’operazione. Infatti, se
si intende partire dalle prove standardizzate dell’INVALSI di
italiano e matematica, resta da capire come includere nell’operazione
la totalità dei docenti di una scuola media che aderisce alla
sperimentazione. Non credo che si vogliano escludere a priori dei
docenti solo perchè insegnano altre materie. A meno che, con il
“premio” attribuito alla scuola, si intenda essenzialmente
riconoscere l’impegno di quanti partecipano alla sperimentazione.
Ma è questo un criterio coerente con le finalità esplicitate nel
progetto di sperimentazione? Non sembra proprio. E allora?
Qualcosa sfugge.
Ma c’è un’altra questione sulla quale la riflessione mi sembra ancora
carente.
Si fa presto a dire che la sperimentazione consiste “nel calcolo del
valore aggiunto
contestualizzato”. Si tratta di una metodologia statistica molto
complessa e difficoltosa – come ci dice Roberto Ricci, ricercatore
INVALSI (“La misurazione del valore aggiunto” in Rapporto
2008 Fondazione Agnelli).
Ed è a ragione di questa complessità – ci richiama Ricci - e dei rischi
connessi di “fenomeni
distorsivi” e di “comportamenti opportunistici”, che sono pochissimi i
paesi, anche in area OCSE, in cui tale metodologia viene adottata
in maniera stabile.
L’utilizzo parziale che ne ha fatto l’INVALSI recentemente non credo
autorizzi a ritenerlo
applicabile sull’intero fronte della rilevazione che sta alla base
dell’operazione che si vuol fare.
E soprattutto non vedo coerenza tra gli obiettivi della sperimentazione
(“modello chiaro,
…affidabile ….condiviso”; sviluppo di una cultura valutativa;
protocolli che possano entrare a
regime a medio termine….) – tutti condivisibili – e la scelta della
modalità prevista come elemento fondamentale per riconoscere il
merito delle scuole.
Che è certamente terreno di sperimentazione da non trascurare; ma, sia
detto almeno per inciso, non proprio prioritario per un paese come
il nostro, dove moltissimi docenti della secondaria (la maggior
parte? A naso, sì) non frequentano (mettiamo momentaneamente da parte
le responsabilità) un corso di formazione degno di questo nome da
almeno 15 anni, dove la cultura valutativa più diffusa si alimenta
ancora delle pratiche dei propri insegnanti di quando si era
alunni e dove la relazione educativa e l’approccio didattivo
prevalenti non sono lontani da quelli della scuola di qualche
decennio fa.
Non vorrei essere accusato di “altrismo” (“le priorità sono sempre
altre”), ma dovremmo prima
o dopo cominciare a mettere ordine – fattualmente - nell’agenda delle
prime cinque “cose”
scolastiche a cui mettere mano per rilanciare un discorso democratico
sul nostro sistema di
istruzione e formazione.
Ma torniamo alle sperimentazioni.
I chiarimenti del CTS, come si diceva, prendono invece in
considerazione solo problemi emersi sulla valutazione finalizzata
a premiare i docenti che si distinguono per un generale
apprezzamento professionale dentro le loro scuole. E li si
suddivide in cinque categorie (che non li comprendono tutti, ma
non è questo il punto) :
1) vaghezza dei criteri previsti per scegliere gli insegnanti da
premiare;
2) dannosità di premi che finiscano per generare liste dei "buoni" e
dei " cattivi" tali da minare la cooperazione tra gli insegnanti
senza migliorare la didattica;
3) scarsità del campione utilizzato e approssimazione del protocollo di
sperimentazione;
4) mancanza di una risposta all’esigenza di creare delle prospettive di
carriera per i docenti;
5) questa sperimentazione serve a mascherare i tagli che recentemente
hanno interessato la
scuola italiana e non ha prospettive di lungo periodo perché non è
inserita in un disegno organico di valutazione del sistema
scolastico.
Il tono dei chiarimenti, come si noterà leggendolo, appare piuttosto
“soft”, del genere “dico – non dico”, “è vero, però
l’alternativa?” “L’indeteminatezza? Obbligata o quasi, se….”, ecc..
Tutti certamente sappiamo che sperimentazioni su questioni delicate e
complesse richiedono a volte scelte difficili, perché hanno a che
fare con terreni poco esplorati o, in ogni caso, tali che nessuna
letteratura può offrire soluzioni accettabili una volta per tutte.
Ma questa consapevolezza non può portare alla condivisione di un
modello la cui sostanza e i cui contorni non vengono precisati
neanche nell’essenziale; e neanche dopo i rilievi mossi dalla
volontà di capire meglio.
Anzi, va detto che il riferimento alla “valutazione tra pari”, qui
presentata come un aspetto portante della sperimentazione, mi
sembra introduca qualche interrogativo in più.
E’ veramente una “valutazione tra pari” quella che si propone?
A parte il fatto, non proprio secondario, che del nucleo di valutazione
fa parte il Dirigente
Scolastico (che dispone, in ragione della sua funzione, di dati
conoscitivi spesso fondamentali per un apprezzamento complessivo)
e che alle operazioni valutative partecipa anche il presidente del
consiglio - anche se non ha diritto di voto -, siamo proprio sicuri che
si tratti di una valutazione “tra” pari? Qual è il modello di
riferimento?
Ma, soprattutto, perché una enfasi così marcata su questa presunta
centralità dei “pari”? Che, tra l’altro, per come si configura, va
ad indebolire il quadro degli elementi di giudizio,
accentuandone l’indeterminatezza?
Non penso infatti che porti ad altro il diverso e più consistente peso
che si intende dare all’aspetto discrezionale, a scapito degli
indicatori quali-quantitativi (sostanzialmente “oggettivi”),
che verrebbero invece sacrificati nella considerazione dei vari
elementi del giudizio.
Oppure significa altro il “passaggio” della nota del CTS che dà come
“motivo di questa assenza di criteri dettagliati” quello di
“sperimentare una libera valutazione ‘tra pari’"? (Il corsivo è di
chi scrive)
Insomma: interrogativi che si aggiungono alle questioni ancora
irrisolte (v., tra gli altri, il mio
contributo su ScuolaOggi di metà dicembre). E che si spera possano
trovare, da parte del CTS ministeriale, risposte attendibili e
chiare nelle prossime settimane.
Il consenso che si chiede non può costruirsi su ipotesi di lavoro
ancora indeterminate o, addirittura, su qualche aspetto,
incoerenti.(da ScuolaOggi Antonio Valentino)
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