La
c.d. “Riforma Brunetta” finalizzata alla riforma della PA ha avuto
inizio con la legge 4 marzo 2009 n. 15, recante delega al Governo
finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e
alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
L’art. 2 della succitata legge delega, infatti, il Governo ad adottare,
senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, entro il
termine di nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge
stessa, uno o più decreti legislativi volti a riformare, anche mediante
modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la disciplina
del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni,
di cui all’articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo, come
modificato dall’articolo 1 della presente legge, e della relativa
contrattazione collettiva per il raggiungimento degli obiettivi
indicati dettagliatamente dall’art. 2 ora citato.
Con il d.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 è stata data attuazione alla
riforma della pubblica amministrazione in materia di ottimizzazione
della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza
delle pubbliche amministrazioni.
Infatti, in attuazione degli articoli da 2 a 7 della legge 4 marzo
2009, n. 15, le disposizioni del d.lgs. n. 150/09 recano una riforma
organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, intervenendo in particolare in
materia di contrattazione collettiva, di valutazione delle strutture e
del personale delle amministrazioni pubbliche, di valorizzazione del
merito, di promozione delle pari opportunità, di dirigenza pubblica e
di responsabilità disciplinare. Fermo quanto previsto dall’articolo 3
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recano altresì norme di
raccordo per armonizzare con la nuova disciplina i procedimenti
negoziali, di contrattazione e di concertazione di cui all’articolo 112
del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e ai
decreti legislativi 12 maggio 1995, n. 195, 19 maggio 2000, n. 139, 13
ottobre 2005, n. 217, e 15 febbraio 2006, n. 63.
Le novità introdotte dal decreto n. 150/2009 assicurano una migliore
organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati
rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati
standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi,
l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la
selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il
riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione
delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il
rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della
dirigenza, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico ed il
contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo, nonché la
trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a
garanzia della legalità.
La parola chiave della riforma in esame è di derivazione anglosassone
ed è “performance”, termine evocativo di molteplici significati, che
letteralmente significa “esecuzione”. Nel corpus normativo in cui viene
utilizzato, sta ad indicare la qualità di un’attività, singola o
collettiva, che deve essere attuata con il massimo sforzo per ottenere
il miglior risultato . Nei fatti, l’introduzione della “performance”
determina una diversa valutazione della prestazione del dipendente che
non dovrà più essere solo diligente bensì dovrà essere il frutto di una
“grande” diligenza, con conseguente diverso e più severo impiego delle
sanzioni disciplinari a fronte di uno scarso rendimento del dipendente
pubblico, sino a giungere alla più grave delle sanzioni qual è il
licenziamento per insufficiente rendimento.
Il d.lgs. n. 150/2009 costituisce proprio un importante atto di
regolazione in materia di misurazione, valutazione e trasparenza delle
performance della P.A., cui si è pervenuti dopo un lungo dibattito
circa l’opportunità/necessità di introdurre, anche nel settore
pubblico, la cultura della valutazione.
Il neo-introdotto sistema di valutazione si pone non più come mero
criterio di computo e ripartizione di importi accessori della
retribuzione del pubblico dipendente bensì è finalizzato a migliorare
la qualità dei servizi offerti dalla P.A. Nonché alla crescita delle
competenze professionali, attraverso la valorizzazione del merito e
l’erogazione sulla base di risultati conseguiti sia dai singoli che
dalle unità organizzative, in un quadro di pari opportunità di diritti
e doveri, trasparenza dei risultati delle amministrazioni pubbliche e
delle risorse impiegate per il loro perseguimento.
Ogni amministrazione pubblica dovrà adottare modalità e strumenti di
comunicazione che garantiscano la maggior trasparenza delle
informazioni relative alle misurazioni ed alle valutazioni delle
performance.
In questa nuova ottica la valutazione della performance è strettamente
connessa al soddisfacimento dell’interesse del destinatario dei servizi
e degli interventi.
La riforma in questione dovrà essere attuata senza nuovi oneri per la
finanza pubblica.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n.
150/2009, l’erogazione di incentivi al personale potrà dunque avvenire
solo sulla base di un sistema di valutazione come quello previsto e
disciplinato dal titolo II del decreto stesso che, a tal fine, è
inderogabile (art. 2 e segg.).
A tali fini, per l’attuazione della riforma suddetta, è fondamentale
l’elaborazione da parte di ogni amministrazione di sistemi interni ed
esterni di valutazione.
A dicembre 2009 è stata istituita la Commissione per la valutazione, la
trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni, deputata al
ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo dell’attuazione della
riforma, garantendone una corretta valutazione nonché la trasparenza.
Dovranno ora le singole
amministrazioni dotarsi di un proprio organismo indipendente di
valutazione delle performance che, entro il 30 settembre 2010, in base
alle indicazioni della Commissione succitata, dovrà definire i sistemi
di valutazione delle performance individuale ed organizzativa, i quali
dovranno essere operativi da gennaio 2011.
Successivamente al d.lgs. n. 150/2009, è stato emanato il decreto
legislativo 20 dicembre 2009 n. 198, anch’esso attuativo della legge
delega n. 15/2009, in vigore dal 15 gennaio 2010, il quale prevede la
c.d. Azione collettiva nei confronti della pubblica amministrazione per
i casi di violazione di standard qualitativi ed economici; azione
fondata su una concezione dell’amministrazione pubblica che deve
operare per raggiungere risultati effettivi, in armonia con il
principio del buon andamento e che, pertanto, è anch’essa strumentale a
sollecitare il ripristino dell’efficienza e ad attuare trasparenza
nell’attività della pubblica amministrazione.
La serie di interventi normativi che nel giro di poco tempo sta
tentando una profonda riforma della P.A. Evidenzia chiaramente un
“ritorno” alla legge quale fonte in materia di lavoro pubblico,
tendenza confermata dal principio di inderogabilità della legge da
parte della contrattazione collettiva, sancito dalla legge delega e
confermato nei decreti attuativi, per cui le disposizioni dei CCNL
vigenti, ove invadano il campo di competenza della legge così come
individuato dall’art. 40 del d.lgs. n. 165/2001, sono nulle e
sostituite automaticamente dalla normativa prevista dalla legge stessa.
Si evidenzia peraltro che il d.lgs. 150/2009 ridisegna, con molteplici
novità, regole e procedure di contrattazione, ridefinendo i comparti e
le aree di contrattazione, specificando nuovamente le materie affidate
alla contrattazione collettiva, modificando l’efficacia temporale dei
contratti nazionali, revisionando le tempistiche delle procedure di
contrattazione, ed infine revisionando meccanismi e controlli della
contrattazione collettiva integrativa.
Ciò non significa che nel nuovo corso della pubblica amministrazione
venga meno il ruolo della contrattazione collettiva, alla quale
necessariamente è demandata la negoziazione per ciascun comparto sulla
base delle nuove regole, con determinazione ed attuazione, anche in
sede decentrata, degli istituti retributivi collegati alla performance
individuale ed alla performance organizzativa.
Peraltro, già si pongono problemi di coordinamento tra le disposizioni
citate ed il recentissimo blocco delle retribuzioni per gli anni 2011,
2012 e 2013, disposto dall’art. 9 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78
(recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica”), convertito con legge del 30 luglio 2010 n.
122.
La recente manovra correttiva ha infatti previsto che il trattamento
economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica
dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, previsto dai
rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche, non può
superare in ogni caso il trattamento in godimento nell’anno 2010, fatta
salva l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale nelle misure
previste a decorrere dallo stesso anno 2010.
Così come è congelata la
contrattazione collettiva per il personale pubblico nel triennio 2010 –
2012.
Evidente è, dunque, la diversità e “virtuale conflittualità” tra le
norme esaminate, per la cui attuazione è previsto ampio spazio alla
contrattazione collettiva.
Indubbiamente la Riforma Brunetta ha il merito di rendere chiaro il
sistema degli incentivi nel pubblico impiego e di dotare i dirigenti di
strumenti più efficaci per poter incidere sui comportamenti del
personale assegnato alla sua responsabilità, riportandoli a standard
adeguati. Tuttavia, il cambiamento auspicato dagli organi politici e
sollecitato a livello normativo con la riforma in atto, in tanto sarà
possibile in quanto si verifichi un cambiamento a livello culturale da
parte dei diretti destinatari della riforma, ed in particolare proprio
da quelli che, seppur in minoranza, hanno indotto il legislatore ad
introdurre norme “anti-fannulloni”, destando la reazione di quei
dirigenti e dipendenti che, invece, hanno sempre con profitto gestito e
servito “la cosa pubblica”.
Allo stato, il traguardo che la
macchina della riforma deve raggiungere, è ancora lontano. (di
Daniela Carbone da http://www.laprevidenza.it/)
redazione@aetnanet.org